Il sommelier nel Rinascimento

Il sommelier nel Rinascimento

di Pietro Stara

L’epopea della cucina Rinascimentale, che si enfatizza per la preparazione di vivande tendenti al dolce o all’agro-dolce grazie all’uso del burro e dello zucchero come leganti per le salse, vede la comparsa di testi e ricettari indirizzati alla miglior preparazione dei cibi, ai principi di qualità delle materie prime utilizzate, alla disposizione degli strumenti adeguati alla loro realizzazione, ai ruoli a ed alle funzioni del personale di servizio, alla ottima disposizione della tavola e della sequenza delle portate. Tre sono gli scritti che si distinguono fra i più: il primo è il trattato di Cristoforo Messisbugo (fine 1500–1548), ferrarese, amministratore e scalco (quegli che ordina il convito e mette in tavola le vivande; e anche quegli che le trincia) presso la corte Estense. Il suo libro, stampato per la prima volta a Ferrara nel 1549, s’intitola Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivande secondo la diversità dei tempi così di carne come di pesce. Et il modo d’ordinar banchetti, apparecchiar tavole, fornir palazzi, & ornar camere per ogni gran Prencipe. Opera assai bella, e molto bisognevole à Maestri di Casa, à Scalchi, à Credenzieri, & à Cuochi. qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivande.

Undici anni dopo, nel 1560, a Venezia, viene alla luce il secondo tra i libri più importanti del XVI secolo, che tratta sulla disposizione dei banchetti conviviali di corte, sull’organizzazione che presiede al servizio di bocca del principe, sui cerimoniali e sui compiti del personale di servizio. La parte finale del testo viene dedicata ai ricettari più sofisticati dell’epoca: la “La singolare dottrina di M. Domenico Romoli, sopranominato, Panunto dell’ufficio dello scalco, de i condimenti di tutte le vivande, le stagioni che si convengono a tutti gli animali … con la dichiaratione della qualità delle carni di tutti gli animali, & pesci, & di tutte le vivande circa la sanità ; nel fine un breve trattato del reggimento della sanità”. La singolare dottrina precede di altri 10 anni (1570) il libro del “cuoco secreto” (secreto sta per personale) di papa Pio V: l’Opera, divisa in sei libri, di Bartolomeo Scappi è il testo rinascimentale che raccoglie nella maniera più completa non solo i ricettari dell’epoca, ma anche le modalità di preparazione e di cottura dei cibi. Nel libro dello Scappi si parla anche di coloro che debbono disporlo e servirlo durante i banchetti: il bottigliere, di rango inferiore, al quale viene affidato il compito di preparare, nonché di assaggiare i vini (nel caso malaugurato in cui vi fosse stato mescolato del veleno). Il coppiere, che assume diversi compiti tra cui la scelta, il consiglio, talvolta l’acquisto dei vini, ha l’incarico di servire il signore della corte. Domenico Romoli, nella sua Singolar Dottrina, descrive così, in maniera compiuta, la figura del coppiere:

“Egli, oltre la galanteria della sua persona, bada esser tutto fede, giovane e non vecchio, disposto e non sgarbato, non guercio né cieco, mezzano e non troppo picciolo né troppo grande, bello di viso e non brutto, allegro e non melanconico, costumato e discreto e che abbia le sue mani bianche e delicate, portando nell’uno delle sue dita una gioietta di valuta e bella; che sia il vestir suo onesto e costumato di ricchi drappi lunghi e non corti, maggiormente le sue maniche, e per cosa del mondo non faccia mostra di quelle larghe lattugacce (gale a forma di lattughe) delle sue camiscie, delle braccia lavorate di mille colori come le vostre sgualdrine; dovería portare berrette da preti, calze di scarlatto, scarpe di velluto nero e non rosso, che non lo richiede la grandezza suo officio. (…) Pare a me molto polito quel portare in una tazza d’oro, almeno dorata, il bicchier coperto e la sua caraffina d’acqua portando rilevata (dritta), senza timidità e pusillaminità, come fan molti per la dappocaggine loro, che han sempre paura di non intropicciar co’ pedi e gli occhi di continuo fitti in terra, e come insensati van tremolando quel servigio della tazza che facilmente a qual suono si farebbe di moresca (danza araba), non sapendo ciò che si peschino; ma facendo el nostro modo la porterà rilevato e fermo di braccia, caminando e mostrando la sua faccia allegra, e comparso innanzi al suo Signore con la mano destra scuopra il bicchiere e si butti destramente un poco di vino nella tazza, porgendolo in mano del padrone e al simile un poco d’acqua, e fatta la credenza innacquato il vino, porga sotto il bicchiere la tazza[1].”

In molti documenti coevi l’appellativo di sommelier viene usato per indicare tutti i dipendenti della bottiglieria, e dunque anche i bottiglieri, anche se le patenti di nomina mostrano senza possibilità di dubbio che si trattava di due qualifiche distinte: “più elevata quella dei sommeliers, che comportava all’avvento di Carlo II un trattamento di 100 fiorini, più modesta quella dei bottiglieri, qualificati anche di coadiutori di sommelleria e pagati soltanto 10 fiorini[2]”. Non pare, peraltro, di poter individuare una divaricazione fra le competenze di questi ufficiali, pari al divario di rango e di trattamento economico. Ad essi spetta, subito dopo la vendemmia, percorrere il ducato per acquistare il vino migliore, o più a buon mercato, per la tavola del duca, e curarne il trasporto e la precaria conservazione fino a quando la nuova vendemmia non avrebbe messo nuovamente a disposizione il vino nuovo, il più pregiato.

Il loro compito è anche quello di provvedere ai lavori di manutenzione nelle cantine di tutti i castelli ducali, assoldando all’uopo muratori, bottai e uomini di fatica; “all’occasione, poi, erano loro affidate commissioni di maggior rilievo, come quella di provvedere alla riparazione delle strade del Canavese, Val di Lanzo e Val di Susa, conferita nel 1535 al bottigliere Antonio Mora, per la buona ragione che l’impraticabilità delle strade impediva l’afflusso di vino e vettovaglie a corte[3].”

Quest’ultimo aspetto riconduce, in maniera curiosa ed emblematica, ad una possibile origine dell’etimo di sommelier, al provenzale antico “saumalier”[4], il “conduttore di bestie da soma” atte al trasporto delle botti di vino.

[1] Testo tratto da Emilio Faccioli, La cucina, in Storia d’Italia, volume 16. I documenti. Gente d’Italia: costumi e vita quotidiana, Il Sole 24 Ore, Einaudi, 2005 (prima edizione 1973 Torino), Milano 2005, pag. 988

[2] Alessandro Barbero, La corte di Carlo II, duca di Savoia (1504-1553), in A. Barbero, Il ducato di Savoia. Amministrazione e corte di uno stato franco-italiano (1416- 1536), Roma-Bari, Laterza, 2002

[3] Ibidem

[4] Étymol. et Hist. 1. xiiies. [ms.] « conducteur de bêtes de somme » (Continuations de Perceval, éd. W. Roach, t. 3, 1repart., p. 89, var. [ms. Bibl. publ. de Mons 331/206], du v. 1378: soumelier); 2. 1316 « officier chargé de la garde et des transports de bagages dans les voyages de la cour » (doc. ds Du Cange, s.v. sagma: des sommeliers, barilliers, portebouts, aideurs et autres appartenans à l’Eschançonnerie); 1322 sommelier des nappes de la reyne (doc. ds Longnon, Doc. relatifs au comté de Champagne, p. 195 ds IGLF); 3. a) 1671 (Pomey: sommelier, qui a soin de la dépense du vin, dans une maison); b) 1812 sommelier de tel hôtel (Mozin-Biber). http://www.cnrtl.fr/etymologie/sommelier

 

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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