Il senso di De Fermo per i vini di Loreto Aprutino

Il senso di De Fermo per i vini di Loreto Aprutino

di Jacopo Cossater

Tra le molte cose che sono emerse chiacchierando in vigna con Stefano Papetti una mi ha colpito più di altre: la sua straordinaria consapevolezza di essere di passaggio. Di essere una piccola parte di una storia più grande e ampia di lui, che inizia molte generazioni prima e che, si augura, possa continuare nel tempo.

Una recente visita all’Azienda Agricola De Fermo si è trasformata in una straordinaria scoperta. Era infatti -credo- il 2014 quando a Cerea per la prima volta mi ero imbattuto nel “Prologo” 2012 trovandolo per certi versi folgorante. Un Montepulciano d’Abruzzo che con il senno di poi ha rappresentato una tappa fondamentale nel mio personalissimo percorso di conoscenza della tipologia in generale e dei vini di Loreto Aprutino in particolare. Mi ero tuttavia fermato lì, assaggiandolo nel tempo non così spesso come avrei voluto e senza approfondirne la genesi. Ecco, la sua origine. Riuscire a elencare le innumerevoli vicende che hanno portato all’attuale composizione della cantina è compito non solo assai arduo ma anche molto meno affascinante rispetto alla “forma racconto” dello stesso Stefano, appassionato e avvincente cantore di vicende storiche legate non solo ai De Fermo ma anche a tutto il territorio circostante. Per ora basti sapere che lui e la moglie, Eloisa De Fermo (oggi proprietaria insieme alla sorella Lucrezia dell’azienda agricola), si sono conosciuti a Bologna mentre entrambi studiavano giurisprudenza e che solo con il passare degli anni Stefano si è gradualmente avvicinato a quella realtà che fino al 2009 conferiva interamente le uve provenienti dai 17 ettari che si trovano appena oltre la SS81, di fronte alla storica sede. Dal 2010 nasce così il “nuovo” progetto De Fermo con le prime bottiglie commercializzate dopo un paio di vendemmie di prova. Un progetto portato avanti fino a pochi anni fa nei ritagli di tempo della professione legale, su e giù tra Bologna e Loreto Aprutino. Per la cronaca, ancora oggi una parte molto importante delle uve prende la strada della locale cantina sociale. In futuro, chissà.

La bellezza che circonda i vigneti dei De Fermo è davanti agli occhi: la Maiella e il Gran Sasso da una parte, il mare dall’altra, sullo sfondo. Una collina splendidamente esposta dove è la spalliera a farla da padrone, caso piuttosto raro in un contesto dominato dal classicissimo tendone abruzzese. In campagna la regola è quella biodinamica, non solo in vigna ma anche nell’approccio alle altre colture, grano in particolare (in totale è azienda agricola che conta circa 150 ettari di proprietà). In cantina le fermentazioni non possono che essere spontanee, i materiali quelli che sono presenti tra quelle mura da decenni, cemento e legno. No chiarifiche, no filtrazioni, anidride solforosa in quantità minime. Questo il contesto che introduce ad assaggi di grande articolazione gustativa, golosi e ricchi di materia non senza agilità e soprattutto una misurata eleganza. Vini che ho trovato non solo molto buoni ma anche molto “giusti”, perfetta sintesi tra le peculiarità del luogo e il carattere e la visione di Stefano Papetti.

De Fermo

Prendiamo lo Chardonnay “Launegild” 2016. Un bianco tutto giocato tra acidità e corpo, appena accennato nella cremosità, ben calibrato nell’allungo. Uno Chardonnay che non vuole ammiccare e che al tempo stesso non nasconde la sua naturale finezza. Da bere e al tempo stesso da ammirare per compostezza e quadratura. In zona nonostante una certa tradizione non saprei a chi citofonare per trovare interpretazioni più centrate.

Il Pecorino “Don Carlino” 2015 stupisce non solo per la sua naturale struttura ma anche per una sferzata acida tutta luce e agrumi che ne irradia lo svolgimento gustativo. Scattante e saporito, chiude con un finale che richiama la piacevolezza della polpa dell’ananas e della polpa gialla. Il fatto sia l’unico vino aziendale che storicamente non riesce a fare la fermentazione malolattica è indicazione puramente tecnica che può aiutare a inquadrarlo al meglio.

Il Cerasuolo d’Abruzzo “Le Cince” 2015 apre con un accenno appena vinoso che in pochi secondi vira verso una meraviglia di frutti rossi non senza un tocco vegetale. Completo, appagante nella trama e dissetante nella freschezza, corposo senza apparire pesante. Un Cerasuolo buonissimo e anche di più, tra i riferimenti per la tipologia.

Il Montepulciano d’Abruzzo “Concrete” 2016 è un vino d’annata “rossissimo”. Non solo nella concentrazione del colore ma anche grazie a tutte le suggestioni soprattutto fruttate che porta con sé. Saporito e tenace, no ambizioni, sì bere con gusto.

E poi il vino più importante, quello già citato in apertura. Il Montepulciano d’Abruzzo “Prologo” ha la stoffa dei migliori grazie a una tessitura appagante e definita, una fibra ricca di energia che ne definisce la ruvida eleganza e che richiama alcuni dei migliori assaggi di Montepulciano targati Loreto Aprutino. Un rosso che non teme il trascorrere del tempo e che anzi con il passare delle stagioni sembra guadagnare in generosità e allungo. Il 2010 assaggiato la scorsa settimana, il primo vino prodotto da Stefano Papetti, mi è sembrato andare proprio in questa direzione: una grande distensione degli elementi senza perdere di vista quella forza esplosiva che caratterizza questi Montepulciano, vini profondi e ricchi di energia.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

1 Commento

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Emanuele

circa 7 anni fa - Link

E il trattore Laverda, c'è ancora?

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