Il ristorante degli ordini sbagliati

Il ristorante degli ordini sbagliati

di Leonardo Romanelli

“Questo cameriere è demente” è un pensiero poco “politically correct” che aleggia nella mente quando in certi ristoranti non funziona niente, forse il cibo è buono ma il servizio langue, fa rimpiangere di non essere rimasti a casa, rovina una serata partita bene. Ma in questo ristorante è tutto vero, chi serve a tavola sono persone affette da demenza senile, morbo di Alzheimer e tutte quelle malattie “brutte” da esporre in pubblico e che invece nel ristorante creato per loro, vengono mostrate senza pudori.

Sono i malati che non vanno sulle pagine dei giornali, come quelli di altre malattie sempre terribili come il cancro, che dovranno trascorrere una buona fetta della loro esistenza con questa compagna di vita infingarda e cattiva, che spesso umilia la loro personalità. Persone brillanti, allegre vivaci che regrediscono ad uno stato infantile e, come tali, non è più il caso di far vedere agli altri, in occasioni pubbliche, almeno secondo il pensiero comune.

Si sentono umiliati, i figli soprattutto, non accettano che i loro genitori, spesso un faro nella loro vita, tornino allo stato di bambini e nel disperarsi preferiscono nascondere l’amara verità. Non è questa la ricetta, è il caso di dirlo, in Giappone, dove si tenta una strada alternativa.

I clienti si liberano dagli schemi abituali, si va a mangiare pronti ad accettare tutto quello che accadrà, si sta al caso su cosa ci sarà nel piatto, si ordina ma chissà cosa arriverà; ma questo è il modo di stabilire un contatto, di abbattere quelle barriere che non sono quelle architettoniche ma mentali, che non fanno accettare il diversamente abile. Quegli occhi che guardano senza vedere, quei gesti scordati da dover reimparare, il bisogno di una guida che accompagni e non diriga a bacchetta: in pratica, il capire che essere da soli non basta per andare avanti, è insieme che si riesce a vivere.

I cuochi sono veri, troppo rischioso, per la salute e l’incolumità di tutti, farli cucinare, ma chissà che non si riesca ad arrivare a poterlo fare. C’è da mettersi a piangere a vedere nonne che hanno nutrito figli e nipoti,  ferme con un piatto in sala senza capire cosa devono fare. Invece di chiudersi, lo stomaco si può aprire, perché accettare con un sorriso il piatto non ordinato infonde calore e fiducia, anche se non esiste il lieto fine: il gesto sbagliato si ripeterà, ma è il concetto di sbagliato che deve essere allontanato.

E, in questo caso, non è più bandito il contatto fisico, una carezza, una mano posata sull’altra non saranno eccesso di confidenza, si riparte dal cibo, dal nutrire e quindi dare vita ad un essere umano, per evitare che si spenga la fiammella. Ben venga un abbraccio finale, anche se la camicia si è sporcata, e la tovaglia si è trasformata in un quadro di Pollock.

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Leonardo Romanelli

“Una vita con le gambe sotto al tavolo”: critico gastronomico in pianta stabile, lascia una promettente carriera di marciatore per darsi all’enogastronomia in tutte le sfaccettature. Insegnante alla scuola alberghiera e all’università, sommelier, scrittore, commediografo, attore, si diletta nell’organizzazione di eventi gastronomici. Mescolare i generi fino a confonderli è lo sport che preferisce.

3 Commenti

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Alessandro

circa 5 anni fa - Link

Bellissimo articolo

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Nelle Nuvole

circa 5 anni fa - Link

Grazie Leonardo. Grazie e grazie!

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Andrea

circa 5 anni fa - Link

Toccante e commovente. Grazie

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