Il Mugaritz di Andoni Luis Aduriz: quando il ristorante è un’estasi che dura a lungo

Il Mugaritz di Andoni Luis Aduriz: quando il ristorante è un’estasi che dura a lungo

di Andrea Gori

Esiste un luogo dove, stando seduti tre ore, si può capire molto di più sullo stato attuale dell’enogastronomia che viaggiando mesi per mari, vigne e terre lontane. In un percorso di centottanta minuti al Mugaritz, a Errenteria, nella provincia basca di Guipúzcoa in Spagna, con la direzione dello chef Andoni Luis Aduriz e con i vini del sommelier Guillermo Cruz Alcubierre, si assaggiano 25 piatti con le influenze più disparate, e in nessun ordine classico di servizio (per lo più mangiando con le mani) e 18 vini e bevande da tutto il mondo, più 6 cru di cioccolato: se avete la fortuna rara di capitare qui in uno dei pochissimi giorni dove splende il sole, l’impressione è di trovarsi esattamente al centro del mondo, nel luogo dove vorreste passare la maggior parte della vita a pochi passi dall’Oceano (e dalla tavola da surf) ma immerso nelle lussureggianti colline dell’entroterra di San Sebastian.

Chef-Andoni-Luis-Aduriz

Un’estasi che dura a lungo, e che rimane dentro ancora di più, scavando nel palato e nel cervello solchi nuovi di riflessione in grado di sovvertire quelli che pensavano fossero i confini di creatività e gusto. Non tutto ciò che si mangia o si assimila o da cui si viene accarezzati – a volte pare improprio parlare di mangiare – è perfetto e sconvolgente, ma niente scorre via senza suscitare un pensiero, un brivido (di piacere o di disgusto anche), un lampo, una connessione. Tanto che alla fine sei esausto, per la moltitudine di sollecitazioni sensoriali cui si è sottoposti tra assaggi e note da trascrivere in un ritmo quasi forsennato. Attorno a te decine di uomini in nero: sommelier, commis e runner più maitre e personale che ti accoglie, e sorride capace di leggere ogni tuo desiderio spesso prima che tu lo possa formulare. In questo vortice di persone forse manca una figura sola di riferimento cui appigliarsi, ma è un dettaglio di poco conto, perché dopo qualche minuto in cui cerchi di affrontare assaggi e portate nella maniera classica finisci per arrenderti: le parole di Daniel “Dany” Lasa, collaboratore della prima ora di Andoni e responsabile del laboratorio di ricerca del ristorante aperto 10 mesi l’anno, ti entrano in testa.

Guillermo Cruz Alcubierre è stato “master” di Cava due anni fa: si viene accolti in giardino e messi subito a proprio agio da una copa di Cava Recaredo Terres Brut Nature Gran Reserva 2009: soffice, stiloso, nocciolato e agile su Humus fresco e accenti marini, da consumare avvolgendolo nella foglia su cui è disposto. Un benvenuto rinfrescante e balsamico, che fa da contraltare alla grassezza della Cozza cremosa, una finta cozza realizzata in maniera mirabile, con una non ben precisata sostanza grassa, e seguito da una sorta di midollo cavo in cui sono adagiati funghi fermentati coperti da pancetta di maiale.

mugaritz 5

È già tempo di accomodarsi all’interno, ad un tavolo ampio e spazioso – completamente bianco e disadorno se non per una scultura di un piatto spezzato in due. È simbolo, più che di rivoluzione, di un invito costante ad abbandonare certezze e abitudini. Il percorso del vino però inizia da uno Champagne (tra le pochissime concessioni alla classicità) della maison di casa del Mugaritz, Gosset, con il suo millesimato Celebris edizione 1995: vino dorato, splendido, piccante, speziato, con canditi e miele, pan briosciato, nocciole, crema, menta e pepe. Sentori iodati e zuccherini che esaltano l’ostrica al bacio sul ghiaccio, eccentrica preparazione che richiede di baciare una palla di neve ipertrofica su cui è adagiata l’ostrica privata del suo guscio. Umami e scossa elettrica da freddo colpiscono duro, e lo Champagne è la carezza giusta per resettare e svegliare il palato nel mentre il cavo orale fa resuscitare gli aromi del mollusco e del vino stesso.

finta cozza mugaritz

Ci si addentra nel menu, senza ancora vedere una forchetta o altro utensile e nemmeno un piatto propriamente detto, con il biodinamico Sylvaner di Leopold BattenFeldSpanier “Hohen Sülzen” 2016 dal Rheinhessen, un concentrato di pompelmo, lime, scorze di cedro, sapidità e croccantezza “dinamiche”, poi sale, succo di sambuco, mela golden, rafano, zenzero. La bocca è gustosa e meno arcigna di quello che si pensi, piena, carnosa di albicocca che arrotonda gli spigoli dell’orecchio di Venere cotto in due versioni, con la sua carnosità e succulenza da apprezzare in versione calda e fredda, e infine con il suo piede intero avvolto in un’alga.

Arriva un coltello (senza forchetta o piatto) ma è conficcato in un’acciuga intera cotta e affogata in un puff di cotenna di maiale soffiata: un concentrato di grasso e cedevole croccantezza che si mangia con le dita, leccandosele fino in fondo, mentre la cotenna stile rice krispies ti mantiene viva l’attenzione diluendo e accogliendo il salato e morbido dell’acciuga. Pure qui il Sylvaner fa il suo dovere, anche se si è tentati di farsi versare altro Champagne per svincolarsi da grasso e sovradosaggio di sensazioni importanti al palato.

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Giunge in tavola una palla ricoperta di peli che si rivela ripiena di una crema e dadolata di verdure. Elastica e gommosa la palla stessa, croccante eppure cremoso l’interno con sensazioni vegetali molto forti e cangianti: è accompagnata dal rarissimo Anfora wine Ambyth Paso Robles Grenache blanc 2015, un bianco non bianco che sa di fieno, humus, sale e miele, rose e fiori di giardino. In bocca diventa succo di pera, melone, mela verde e sapidità. E solo alla fine si scopre che si tratta di una preparazione a base di testicoli di toro con germogli di chia fermentati in esterno a simulare l’effetto testicolo. Ehm.

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Come dicevamo, l’ordine verdura-pesce-carne non esiste, e si salta di continuo tra intensità e corposità diverse in un vorticoso susseguirsi di cenni di sapore ed esplosioni di gusto.

Delicati i Fiori di loto e seppia cruda, ammiccanti e sottili le Baby carote con crema di latte di pecora fermentato, un richiamo infantile ma goloso allo stesso tempo. Arriva la Manzanilla Deliciosa en Rama Valdespino 2016, vino rosato fortificato stile sherry, secco, asciutto, sapido con note di nocelle mandorla e gesso, che richiama note vegetali e fruttate rosse sul finale.

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Si beve poi il Ca N’Estruc B.I. 009, Sumoll 100%, una delle 408 bottiglie prodotte di un vino ancestrale e pulsante dalla Catalogna di Ana Marti, mito contadino della denominazione Monastrell: presenta una bollicina inconsueta, rifermentata di fragole lime, ribes, tabacco, sale vivo e ricco da condire al meglio la Vongola in brodo dashi, un concentrato di umami e mare da bere e mangiare come pochi. Sempre in tema umami ecco (su un sasso, ovviamente) il Fungo Amanita Tesaria con funghi fermentati e ananas, e subito dopo la Pelle del latte con fragole, un sorta di sorbetto (almeno come funzione) che con la sua netta dolcezza, e la neutra e blobbosa consistenza di budino allentato, permette al palato di rifiatare un po’ in vista del prossimo sprint.

È il turno adesso dei Gamberetti di nassa Atlantico con le sue uova blu e salsa di sherry (delicati ma profondi e suadenti, cremosi per consistenza ma raffinati nel sapore blu di mare) e la Tartare di Triglia in diverse consistenze da mangiare (ovvove!) con la forchetta.

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Sempre con coltello e forchetta affrontiamo la piccola grande meraviglia mediterranea del Pomodoro fermentato e fiori di origano da tagliare a profonde fette e da godere mentre rivoli di umami e sensazioni intense e carnose invadono il palato. Nei bicchieri c’è un Sake (degli oltre 60 presenti in carta!), lo Yoshido Soku Junmai Dainginjo con purezza del chicco al 45% e una nota burrosa e vegetale ricca e festosa, che si rivela ideale su Riso cotto fermentato e pesce, e sul pesce da cuocere nella propria ciotola servendosi da soli del brodo che l’accompagna.

La Ricciola, emulsione di grasso di vacca e peperone è un assaggio pesante e ricco, con un gusto spumoso e debordante, necessita di un rosso per essere addomesticato così come lo stupendo piatto che segue, la Cotenna soffiata di maiale ripiena di sedano e carne di maiale. Giunge salvifico il derby della granache con il Cannonau di Contini ‘Inu 2013, orgoglio sardo: fresco, sapido, croccante, insospettabilmente lontano dall’archetipo di questo vino che va per la maggiore. E una garnacha della Rioja, Escondite dell’Ardacho, un cru sperduto in mezzo a campi di tempranillo che ha dalla sua un grande frutto di lampone, e ribes dolce in ingresso, che fila via nitido, netto sapido e croccante, un vino che ti dà la sveglia e mette in riga qualsiasi grassezza.

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Il derby Spagna-Sardegna continua e nei bicchieri arrivano l’Amontillado di Botega Tradicion, vino opulento, ricco e sfaccettato, con naso di miele e di eucalipto, canditi e pepe. La bocca è salata, sapida gessosa, marino e desertico, roccioso e preciso.  E la Vernaccia di Oristano Contini 1994 fresca, insospettabile, con note di noci, fieno e pesca, bocca gessosa, sapida profonda e sottile: i due principi dell’ossidazione svelano ogni dettaglio della Chia fermentata e tostata, un piatto che rappresenta la vita e morte della chia così come i due vini rappresentano vita e morte delle uve grazie ai loro processi di produzione.

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Teniamo volentieri la Vernaccia però per il piatto successivo, Pane carasau bottarga e sale, e anche sul piatto semplicemente denominato Agnello, in realtà grasso di agnello soffiato che si presenta come un blob enorme e vuoto, che una volta addentato rivela note di grasso miste ad erbe aromatiche. Piatto che riteniamo niente male se gustato anche con una delle meraviglie iberiche invidiate da tutto il mondo, la Vina Tondonia Rioja 2000 di Lopez de Heredia, ultimo rosato a base di un misto di uve bianche e rosse prima del cambio di legge europea, grenacha e verdelho rosado, vino sottile ma forte e quasi rabbioso, con naso carnoso di lamponi e che in bocca è quasi un brodo di ribes rosso, ciliegie e menta, soffuso ma dal grande finale di incenso, granatina e melograno salato.

Un vino capace di spingersi, e bene, anche su Carne Wagyu e vinaigrette con emulsione dashi su lattuga e peperoncino, che rievoca la carne ancestrale e la sua alternanza ideale di grasso, sale e magro appena rinfrescati dalla lattuga croccantissima, e ravvivato dal peperoncino in polvere deposto sopra: abbinamento armonico e raffinato per un piatto che è richiamo mentale alla carne più buona che si possa immaginare, e alla potenza del vino in grado di esaltarlo senza soffocarlo, impensabile compito per un rosato, se non di questa caratura.

Ci si riprende a fatica ma si ha incredibilmente ancora fame, e ancora voglia di gustare e sfruttare fino in fondo ogni papilla gustativa rimasta libera. E allora cosa di meglio di muffa e passiti?

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Il piatto – anzi, la composizione – è una mela tagliata a metà ma completamente soggiogata dalla muffa nobile, con confettura di arancio all’interno che ne esalta il lato dolce e candito. Ma mai quanto fanno i quattro vini muffati serviti in abbinamento (anche se col contagocce). Uno accanto all’altro attorno alla nostra mela ecco nei bicchieri quattro piccole meraviglie: lo Jakob Prün 1997 Auslese dal Rheingau con note di kerosene, pomodoro, senape mela e pepe, freddissimo ed elettrico; lo Chateau Giraud 1998 Sauternes con note di curry, sale, miele, cannella e vaniglia, ricco lunghissimo e profondo; il Tokaji Chateau Dereszla 1993 fitto di rimandi alle mele cotte, sale, sole e ginestra, freschezza e stupore: si allarga e spinge a fondo ma non come l’austriaco 1998 Chardonnay Trockenbereenauslese Poysdorfer Hohenleiten, sorprendente ma tipicissimo chard nel suo bouquet di agrumi canditi, con sole, dolcezza al limite dello stucchevole ma ben riscattata dal sale, e sapidità in fondo al tunnel della muffa, che regala note di cannella, pepe, timo e liquirizia sul finale.

vini mugarits

La magia del Mugaritz è quasi finita, ma da qualche parte serve un “punto” e un dolce di qualche specie e ci andrebbe bene in questo momento anche un tortino con il cuore caldo di cioccolato: arriva qualcosa del genere, in versione spagnola. È il rotolo di Pio Nono, un dolce (ma esiste anche in versione salata) tipico iberico, simile alla nostra girella con pan di spagna: dulce de leche, marmellata, creme e frutta fresca ma stavolta è avvolto in un ristretto di carne di toro. L’assaggio è forte e deciso, con una senso di brodo che colpisce, ma non è proprio delicato e soave al termine della maratona degustativa di tre ore…

Arriva, alla fine, il “punto” conclusivo, che è effettivamente un punto marrone su un piatto bianco, classico, composto da brodo ristretto di gallina anice e rosmarino.

Si rifiata, ci si ricompone, e ci si accomoda all’esterno, sotto un sole splendido e 25 piacevolissimi gradi di tepore estivo appena ombreggiati dalle fronde degli alberi, per ricevere al tavolo i Sette peccati capitali, sette dischi toroidali cavi che ospitano altrettanti diversi tipi di cioccolato da varie parti dal mondo, preparati da maestri cioccolatieri francesi, spagnoli e baschi.

Poi il caffè, espresso, ottimo, e si può accendere un sigaro in tutta serenità.

Quasi non si riesce ad afferrare quanto appena provato e gustato, perché l’esperienza è davvero soggiogante e capace di mettere a dura prova concentrazione e attenzione. Ogni cosa viene ripagata comunque nelle ore successive: cominci a pensare che il nostro non è più un mondo che può girare attorno a carne/pesce, antipasto primo secondo dolce e dessert, e coniugare innovazione e tradizione per noi non è possibile, oppure non sappiamo farlo nel modo giusto. Non c’è stato bisogno di posate per mangiare, e nemmeno di pane che durante il pasto non si palesa nemmeno sotto forma di grissino o biscotto.

Sconsolante la presenza italiana sulla carta dei vini, dove a parte Sassicaia e Monfortino appaiono solo un paio di Brunello di Montalcino e qualche Barolo, salvo poi dedicare una pagina alla verticale di Emidio Pepe, appena ricevuto con tutti gli onori del caso. Il clima e le stagioni non ci favoriscono perché tutto l’abbinamento di vino è composto (e non solo al Mugaritz) da vini bianchi e rosati, sake, acqua aromatizzata, vini macerati, anfora o comunque ossidativi e in genere da pesi piuma, che sono i vini perfetti per la sperimentazione, e in questo tipo di preparazioni i nostri tannini e le nostre sovra estrazioni non trovano spazio. Più in generale, e vista da una prospettiva spagnola, ci sono i tedeschi e francesi mostri sacri (ma non i classici Bordeaux e ancora meno Borgogna), poi subito dietro gli spagnoli stessi mentre l’Italia è un altro produttore di vino come lo sono Sudafrica, Cile, Ungheria e altri.

Ogni vino ha bisogno della sua storia e della sua particolarità, e ogni bottiglia deve racchiuderne una, il più possibile esclusiva e sorprendente per la gioia e lo stupore del commensale, che in realtà forse a fine pasto non ne può più di questi vini assolutamente unici e originali. Però poi li ritrovi in ogni stellato della zona e non capisci bene chi ha copiato chi. Ma sono dettagli insignificanti, e punti di sospensione sui quali si chiudono entrambi gli occhi perché l’esperienza del Mugaritz oggi non è magari raccomandabile a tutti, ma in questo momento è davvero tra le più complete e significative che si possano desiderare nel panorama dell’enogastronomia mondiale.

Prezzo menu degustazione (obbligatorio, non c’è menu alla carta) 205€

Costo abbinamento vini 165€, abbinamento analcolico (acque aromatizzate) 35 €

[Credits photo cover]

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

9 Commenti

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vinogodi

circa 7 anni fa - Link

... tutto molto bello ...io non mi stupsco dei vini proposti, perfette simbiosi dove il cibo è protagonista. Non dimentichiamo che in questi templi dell'alta cucina , il vino , sempre e comunque, è trattato come puro elemento decorativo o, appunto, complementare . I vini di grande personalità, quelli davvero grandi, luccicano di luce propria ; molte volte talmente complessi e articolati da non contemplare alcun cibo per autoreferenziamento oppure per oggettiva ritrosia all'accoppiamento . Qui il sommelier ha lavorato da Dio , perché l'esperienza andava fatta di "pancia" . Anche perché i grandi vini , costosetti, avrebbero pure reso inavvicinabile qualsiasi consesso di grande ristorante, qualsiasi filosofia che muova ... e i grandissimi vini vanno auscultati , e condivisi, con pochi amici nell'intimo di casa propria ...

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Andrea Gori

circa 7 anni fa - Link

hai centrato il punto... sono due esperienze diverse...cmq hanno una pagina di Romaèe Conti da far paura...

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Francesco Annibali

circa 7 anni fa - Link

La cena della vita, novembre scorso

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Andrea Gori

circa 7 anni fa - Link

davvero? e ne hai scritto? che vini c'erano nel tuo percorso?

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Francesco Annibali

circa 7 anni fa - Link

Cava non indimenticabile, poi presi uno spatlese giovane di Müller e un bicchiere d rioja giovane di un top modernista molto buono (finca allende?). Poi un oloroso da ribaltarsi. Ma i vini in pratica non li ricordo. E ti ho detto tutto

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pstrada75

circa 7 anni fa - Link

Mamma mia che invidia....complimenti veramente una cena top con una descrizione top. E quello che a me ha anche stupito e la ricercatezza spettacolare nelle proposte dei vini, veramente a mio avviso commoventi. A proposito di quel Rosado di Tondonia ho due bottiglie in cantina, una 1998 e una 2000. Il mio grande quesito e' su cosa aprirle? Cosa mi consigli dopo averlo bevuto???

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Andrea Gori

circa 7 anni fa - Link

Direi che intanto le puoi aprire che sono mature al punto giusto...come abbinamento direi che sono ottimi jolly, altrimenti al Mugaritz non le userebbero con così tanta disinvoltura. Non ha molto corpo ma ha ottima persistenza e un gusto che colpisce per una innaturale freschezza. Ci vuole un prosciutto con del bel grasso o anche una costina di maiale BBQ fatta bene secondo me...

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pstrada75

circa 7 anni fa - Link

L'idea delle Costine BBQ mi sembra magnifica.....mi hai fatto venire una gran voglia di stappare......grazie per il suggerimento e per la condivisione dell'esperienza fantastica.....

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wine princess

circa 7 anni fa - Link

Ovviamente una donna di gran classe non starà seduta tre ore a biascicare palle di toro spelacchiate, verdure mezze ammarcite o grasso rappreso di poeri agnellucci sgozzati, nè tantomeno berrà del kerosene, il kerosene lo bevono gli aereoplani... Al contrario, un bel piatto di barbina al burro e parmigiano ed una bottiglina di Corton Charlemagne 2002 Coche Dury ben fresco, saranno un vero e proprio esempio di sobrietà e finezza per gli altri commensali, e dopo un'ora scarsa si alzerà ed eterea e impalpabile toglierà le tende lasciando tutti con un palmo di naso a riflettere sul significato della parola “eleganza“...

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