Il mondo preso a morsi: la cucina filippina di Jappy Afzelius
di Salvatore AgustaPer la serie il mondo va preso a morsi, oggi vi racconto del mio tabù con le cucine esotiche.
Ammetto che non sono un gran appassionato e che tendo a galleggiare all’interno dei confini della cucina mediterranea ma, come si dice, chi non risica non rosica. Il ristorante che ho vistato si chiama Tsismis e si trova downtown Manhattan; la cucina di casa qui è filippina.
Lo chef/proprietario, Jappy Afzelius, originario di Dumaguete nella regione di Negros Oriental nelle Filippine, è un ragazzo molto cortese che ha dedicato al settore della ristorazione la sua intera carriera.
Si definisce un grandissimo fan di Carlo Petrini tanto da aver studiato presso la UNISG – Università degli Studi di Scienze Gastronomiche dove ha sviluppato una particolare predisposizione per la cucina a chilometro zero; tra le sue esperienze internazionali ricorda con nostalgia anche il suo periodo a Parigi alla corte di Alain Ducasse presso Chez Alain.
Mi parla della cultura culinaria del suo paese quasi come di una lingua morta, dove vecchie preparazioni e antiche ricette cominciano a sparire per via della globalizzazione culinaria.
Racconta che “la cucina filippina è molto antica. Prima della colonizzazione spagnola nel 1565 avevamo già avuto la nostra cucina tribale; i leader delle tribù indigene dedicavano molto tempo alla pesca e alla caccia per poi cucinare il tutto nel bambù. Alcune parti delle Filippine sono ancora poco sviluppate e continuano a praticare questo stile di vita.”
L’idea di perdere parte di questa conoscenza lo rende triste, perché rappresenta una grande ricchezza storico culturale. Gli chiedo di indicarmi alcuni punti di contatto tra la nostra tradizione e quella del suo paese e senza esitare un attimo indica nell’utilizzo del pesce, del riso e delle verdure di stagione tra i fattori di comunanza tra le due cucine.
Ammette anche di aver più volte dato vita a piatti frutto di fusioni gastronomiche e ci tiene a raccontarmi di quando durante una cena organizzata tra amici in Piemonte osò aggiungere ad un tradizionale risotto ai porcini un preparato fatto con tuorlo d’uovo, olio si sesamo e melanzane affumicate.
Decisamente una mossa intraprendente che però riscontrò i favori di tutti i commensali presenti.
Alcuni degli ingredienti principali della cucina filippina sono aceto di canna, latte di cocco, zenzero e peperoncini misti. Si tratta di una cucina tendenzialmente fresca e speziata con aromi esotici e predilezione per pietanze proteiche.
A questo punto gli chiedo di parlarmi del piatto più tipico della sua cucina e suggermi un vino in abbinamento. Mi fa assaggiare due piatti considerati l’espressione più alta della sua cucina.
Per iniziare assaggio il Adobong Manok, piatto nazionale filippino, ossia di un piatto tipicamente a base di pollo, risultato di una lunga preparazione che predilige l’utilizzo di aceto, spezie, cipolla, alloro e zucchero. Il Risultato è di natura leggermente agrodolce con delle sfumature pepate. Nella sua ricetta, lo zenzero rappresenta l’ago della bilancia dove i tre aspetti (acidità, dolcezza e spezie) si fondono in un unicum avvolgente.
Suggerisce in abbinamento Blanco de Tempranillo di Pago Del Vicario, cantina al centro della Spagna in Tierra de Castilla.
Si tratta di un vino fresco e diligente, di medio corpo, caratterizzato da sentori di macchia mediterranea ed erbe aromatiche. Mi accorgo subito che gli abbinamenti con la cucina filippina sono davvero ostici ed è difficile intercettare un vino veramente adatto.
Il secondo piatto di cui parla è ancora a base di carne: Bisteak Tagalog. In realtà, si tratta di una preparazione più che di un semplice piatto che volendo può essere ripetuta con diversi tipi di carne o pesce.
Qui, l’ingrediente segreto è il calamondino, ossia un ibrido intragenerico tra due piante, la prima del genere citrus e la seconda del tipo kumquat; in particolare quest’ultima appartiene alla famiglia degli agrumi giapponesi. Viene condito con cipolla caramellate e accompagnato da patate arrosto. Anche in questa pietanza percepisco una base agrodolce con una punta di piccante data dai peperoncini freschi. Come abbinamento suggerisce un Chateau Tour Sieujean Pauillac Cru Bourgeois Bordeaux 2010, blend a maggioranza di cabernet sauvignon.
Immagino che molti di voi non avranno mai avuto l’occasione di provare questa cucina, tuttavia se vi dovesse capitare l’opportunità non negatevi questo piacere; devo ammettere che sono rimasto molto colpito dalla complessità dei sapori e dalla semplicità dei piatti.
Se dovessi suggerirvi un abbinamento, consiglierei di prediligere vini appartenenti a climi temperati, con un profilo più tropicale che secco pungente. Decisamente i bianchi sono il miglior abbinamento possibile e penso che i bianchi campani o siculi possano rappresentare una buona scelta.
Prossima tappa cucina Etiope, mi hanno detto che si tratterà di una esperienza molto intensa!
4 Commenti
Tre Galline
circa 5 anni fa - LinkBuongiorno Sarò a New York la Prossima settimana: altri ristoranti da suggerire? Questo filippino lo visiterò senz’altro anche perché ho alcune affinità : mi sono sposato all Università di Pollenzo, sono amico di Carlin Petrini e uno dei firmatari del Manifesto di Slow Food a Parigi nel 1989, e fans di Alen Ducasse (Luigi XVI)
RispondiSalvo
circa 5 anni fa - LinkCiao Qui ci sono un po' di informazioni su cosa fare. http://www.intravino.com/primo-piano/r-o-k-c-a-new-york-il-giappone-rivisitato-al-meglio/ http://www.intravino.com/primo-piano/i-13-paradisi-del-vino-a-new-york-compra-bevi-mangia/
RispondiDAR
circa 5 anni fa - LinkBuono!
RispondiVincenzo Busiello
circa 5 anni fa - LinkTre galline....DAR....mah !?
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