Il mio Muro di Berlino 30 anni e tanti vermut dopo

Il mio Muro di Berlino 30 anni e tanti vermut dopo

di Angela Mion

Trent’anni fa cadeva il muro di Berlino, era il 9 novembre dell’89 e io facevo la terza elementare. La prima volta che andai a Berlino era il 2000 credo, anno più anno meno. Partii con la bronchite, due amiche e uno zaino. Di quella città ricordo come fosse adesso i colori, per l’esattezza quelli che non c’erano. Era inverno, di sera le strade erano spoglie regnava il grigio e il freddo ti pungeva ovunque; stavamo in una casa dell’ex Germania dell’est con la stufa a carbone, il pavimento in cemento, ospiti di un amico sassofonista all’epoca artista squattrinato come noi.

Camminando per strada guardavo le luci nascoste dietro alle finestre delle case e mi facevo un sacco di domande. Le gru svettavano ovunque ci si girasse, piccole insegne luminose di locali aprivano la porta ad un mondo: dietro c’era il jazz, la musica, l’arte in ogni sua forma, la cucina etnica, una rivoluzione. Si beveva la birra, tanta, sempre, tutti.

Alexander Platz auf wiederseen – c’era la neve – faccio quattro passi a piedi fino alla frontiera: – “vengo con te”. Era tutto proprio così.

Quella gente, quelle persone di quella Germania avevano orecchie che volevano ascoltare, occhi che volevano vedere, erano menti che volevano volare. Negli anni quelle gru sono diventati palazzi, musei, condomini, centri culturali, ristoranti; quelle orecchie e quegli occhi hanno dato vita ad una capitale della cultura, al luogo in cui la musica e l’arte sono di artisti che arrivano da tutto il mondo. Camminando per strada adesso Berlino è un passo avanti a noi: senza perdere nello sfondo il suo grigio e senza dimenticare quella profonda Germania che sta in quel che resta del suo muro.

Come se fosse una cicatrice sulla carne.

La rivoluzione e la libertà hanno toccato tutto: vi starete chiedendo e allora?! Perdonatemi ma forse lo sapete che ciò di cui scrivo è quasi sempre qualcosa che mi genera emozioni e poche cose come il vino (o in questo caso affini) sanno fare uguale. Sabato scorso, il 9 novembre giorno dell’anniversario della caduta del muro, è capitata nelle mie mani una bottiglia di vermouth tedesco, un’etichetta di Berlino, che mi ha aperto il cassetto di questi ricordi e di tanti pensieri. In un vermouth in quel giorno lì ho visto tutta una rivoluzione, una fioritura, un passaggio alla libertà e all’emancipazione, ho rivisto un muro venire giù.

Il vermouth in realtà è un’altra delle mie perversioni alcoliche e questo per originalità e gusto merita tutto questo viaggio.
L’etichetta è: red vermouth BELSAZAR – giovane come i ragazzi che nel 2013 hanno dato vita al marchio Belsazar (già acquisito da Diageo) specializzandosi nella produzione di vermouth. Vermouth deriva dalla parola tedesca Wermut, artemisia maggiore, quindi da Torino alla Germania in realtà il passo è breve. Belsazar produce utilizzando i vini della regione Baden-Württemberg, in collaborazione con una storica distilleria della Foresta Nera, distilleria Schladerer, dalla quale provengono le acquaviti alla frutta che vanno a fortificare la base vino.

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Erbe (impropriamente botanicals), radici, fiori, spezie e profumate scorze arrivano anch’esse dalla Foresta Nera, come il mosto, la cui fermentazione viene bloccata dall’aggiunta di brandy invecchiato in botti di quercia, che andrà a dare la dolcezza e la rotondità a questo vino fortificato – versione red.

Io sarei un po’ talebana coi vermut, e mi piace pure scriverlo in italiano, ovvero pedissequa seguace del vecchio disciplinare di Torino: per farla spiccia vino, preferibilmente bianco, più infusione con assenzio ed altre botaniche più zucchero/caramello per il vermut rosso. Poi nel corso del tempo ho iniziato ad apprezzare altre sfumature e prodotti davvero sostanzialmente diversi e incredibilmente interessanti come questo.

Belsazar red, la versione rossa quindi, è un vermouth pieno, rotondo, in bocca sentori vivaci di ciliegia sotto spirito, frutti rossi, cioccolato, speziatura dolce, vaniglia e un finale amaricante non prepotente ed elegante.
Il sentore quasi di cola con la vicina nota di amaro e di bruciato che caratterizzano a mio avviso molti vermut, in particolare quelli che prevedono il caramello per renderli rossi, in questo non lo troviamo e questa cosa lo rende abbastanza singolare. La ciliegia qui batte il pugno.

Ricapitoliamo? Ricapitolo: vino rosso da pinot noir + mosto fortificato con riserva di Brandy francese invecchiato 30 anni + infuso di erbe e spezie + acquavite di frutta prodotta dalla distilleria (ciliegia – pera questo lo deduco io).
Il tutto viene miscelato con una gradazione di 18° e lasciato riposare tre mesi in botti di cemento.
Dopo il riposo in botte è arrivato a casa mia: il primo assaggio l’ho fatto sabato sera in pigiama in una tazzina da caffè, un sorso della curiosità per capire il carattere di un tedesco; il secondo assaggio domenica pomeriggio alle tre e mezza con ghiaccio, zest e due gocce di limone.

– In realtà era da un po’ che avevo voglia di tornare a Berlino…

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Angela Mion

Veneta, classe 1981, studi giuridici e azienda di famiglia. La svolta cubista arriva quando ormai maggiorenne incontra il vino: Sommelier, Master Alma-Ais ed altre cose in pentola. “Vin, avec toi on fait le tour du monde sans bouger de la table”. Bucolica e un po' fuori schema con la passione per la penna, il vino, il mondo e la corsa. L’attimo migliore? Quello sospeso fra la sobrietà e l’ebbrezza.

1 Commento

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Lanegano

circa 4 anni fa - Link

Per gli appassionati di Vermouth segnalo un prodotto artigianale di Cascina Melognis, un vero nettare degli dei in pochissime bottiglie.....

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