Il “Classico” di Antinori: che multa rischia la cantina toscana
di Michele Antonio FinoNel brillante articolo di Andrea Gori dedicato a un vino toscano che fu Chianti Classico DOCG e ora, da IGT, non intende rinunciare a usare furbescamente la parola “classico”, si mette il dito in una piaga purulenta fra le più infette del Paese.
Disclaimer: a chi scrive la furbizia d’accatto (scilicet: quella di chi sogna come massimo risultato nella vita di appioppare al frescone di turno un mattone incartato per un autoradio in un parcheggio di autogrill) dà così tanto sui nervi che al confronto le ballerine indossate impunemente dalla donna che si accinge ad accompagnare a cena sembrano accettabili.
Ma, si badi bene, non solo il buon gusto e l’etica commerciale militano contro le “trovate”.
Anche la legge dice la sua e varrebbe la pena tenerne conto, anche se mi rendo conto che 4000 euro di sanzione e l’obbligo di ritirare una campagna cartellonistica, per una holding plurisecolare, sia un rischio più che accettabile e financo il modesto prezzo della marchionale affermazione per eccellenza: io so’ io e voi… no.
Peccato, perché a me continua a sembrare che lo stile sia qualità da dimostrare con maggiore acribia quando si è grandi, blasonati e antichi, ma si vede cha anche questo, ormai, è questione di gusti.
Dunque, la legge.
Ci sono due concetti chiave da tenere bene a mente.
Il primo è che le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche altro non sono che PAROLE, sottratte all’uso comune e arbitrario da parte di chicchessia, ma in primo luogo da parte di chi il vino produce.
Se faccio vino rosso comune a Barolo, devo scrivere Barolo piccolino, come mi impone la legge, altrimenti, il rischio è “un rischio di confusione nello spirito delle persone a cui sono destinate tali informazioni, segnatamente per quanto concerne i nomi delle DOP e IGP protette”.
Il secondo concetto chiave è che etichetta, pubblicità sito internet, pagina social dell’azienda sono, come diceva il turco in “Mediterraneo”, una fazza una razza. Stessa roba, stesso identico potere confusivo: tutte queste species appartengono al genus etichettatura. Pertanto, le regole dell’etichetta valgono pure per spot, manifesti, post e via dicendo. Chiaro?
Cosa se ne ricava?
Se io sono un produttore di Prosecco DOC, la parola Superiore me la devo dimenticare.
Perché?
Perché quando è stata creata la DOC interregionale, la parola superiore è stata attribuita ai Prosecco DOCG di Conegliano-Valdobbiadene e, rispettivamente, Asolo.
Se faccio i ravioli con Gorgonzola DOP e vino da uve appassite, non devo scrivere Passito, perché “passito” è una menzione riservata a dei vini DOP: in primis, al Passito di Pantelleria DOC.
Se faccio dello spumante metodo Martinotti, non posso dire che sia un classico per la mia azienda, perché il consumatore (o meglio: il suo spirito) potrebbe non sapere più se il metodo di produzione sia quello nato ad Asti oltre 120 anni fa oppure quello dell’abate Dom Pérignon.
E lo stesso vale, ovviamente, per un IGT Toscana che porta il marchio commerciale di ciò che fino a pochi anni or sono era un Chianti Classico DOCG.
Come dice l’amico Dario Bressanini, non ci vuole davvero molto per essere persone serie e per fare del marketing rimanendo brave persone.
Basta volerlo.
10 Commenti
Nelle Nuvole
circa 4 anni fa - LinkChiaro e lapallllissssiano, anche se un pochino deprimente Nel senso che c'era davvero bisogno che una Griff..., pardon, una Maiso..., oops voglio dire, un'azienda familiare, storica, iconica, blasonata, aristocratica, finanziariamente solidissima, si affidasse ad un modo di promuoversi piuttosto comsì-comsà? Chi c'è dietro quel cartellone incriminato è un punto di riferimento per tanti di noi, non solo come notorietà e quantità, anche come qualità, compresa la qualità dell'immagine. A parte ciò, caro Michele Antonio Prof. Fino, in realtà intervengo perché profondamente offesa, come donna e come portatrice sana di ballerine, dal tuo disprezzo per tale tipo di calzature.
RispondiMichele A. Fino
circa 4 anni fa - LinkPoenitentiam ago. È più forte di me. Sputa pure, s'il te plait, sul povero writer. :-)
RispondiFrancesco Bonfio
circa 4 anni fa - LinkMi sembra che quella azienda famigliare, storica... anni fa per un'operazione di marketing abbia cancellato dalle mappe la Fattoria di Santa Cristina sostituendola con altro nome... Ah, forse è solo nostalgia.
RispondiMaurizio
circa 4 anni fa - LinkMeglio il rogo alle ballerine
RispondiLanegano
circa 4 anni fa - LinkI 'maisonisti cristinici' hanno fatto decisamente magra figura ben poco degna di cotanti nobili natali. Soprattutto perchè non dettata dal bisogno. Detto peraltro da un parmigiano e quindi di natura un poco cialtrone e vanesio come cultura ducale vuole.... Saluti Michele, se riusciamo a luglio si fa una zingarata su da voi !
RispondiMichele A. Fino
circa 4 anni fa - LinkVi aspettiamo come la più bella delle occasioni!
RispondiMaurizio
circa 4 anni fa - LinkIl mondo del vino è strapieno di utilizzi impropri di termini e denominazioni oltre all'etichetta in sé. Basterebbe guardare la regolarità degli imballi o di quello che è scritto sui tappi per rendersene conto. Mi sembra proprio che più che il peccato, che purtroppo è cosa proprio frivola, a far notizia sia più il peccatore.
RispondiMarco
circa 4 anni fa - LinkTrattasi di una mossa di marketing studiata ad hoc? 1 - quante persone “comuni” identificano Santa Cristina con Marchesi Antinori? 2 - quanto costerebbe “incidere” con una campagna di comunicazione adeguata ad un vino di fascia media, venduto prevalentemente sugli scaffali in DO e GDO? Tra l’altro nel momento storico in cui si sono rivelati i canali di vendita del vino in maggiore crescita? 3 - una sanzione ridicola è un costo accettabile per mettere in pratica il vecchio detto: “che se ne parli bene o che se ne parli male...”?
RispondiAndrea Gori
circa 4 anni fa - LinkAnche solo questi due post valgono 10k bottiglie vendute in più!
RispondiMichele A. Fino
circa 4 anni fa - Link♥️
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