Il buon vino del signor Weston è un Leòn Barral del 2012

Il buon vino del signor Weston è un Leòn Barral del 2012

di Samantha Vitaletti

1923, campagna inglese, precisamente villaggio di Folly Down, il cui nome è già di per sé un programma.

Un furgoncino attraversa le stradine polverose sotto gli occhi curiosi e pettegoli degli abitanti del posto. Poco dopo, appena si fa buio, una scritta, apparentemente miracolosa, rischiara il cielo: Il buon vino del signor Weston.

Così comincia il libro che mi ha dato una piccola, divertente, scossa e ha rimescolato le carte di questa estate sonnecchiante. Si tratta di un fantasy molto, molto noir, continuamente ravvivato dall’inconfondibile humour inglese, scritto nel 1927 da Theodore F. Powys, da noi poco noto ma considerato in patria e altrove un pilastro della letteratura inglese. Che sia stato figlio di un vicario di campagna, e che questa condizione l’abbia reso quantomeno ironico verso il sacro, trapela da ogni riga e rende la lettura agevole e divertente.

Chi è, dunque, il signor Weston? E cosa è venuto a fare a Folly Down, in quel villaggio di pettegoli, vecchie guardone, delinquenti, preti che non credono in Dio, dove il tempo è capace di fermarsi e di mettere in subbuglio l’esistenza di uomini e bestie? E’ un mercante di vino, venuto a proporre la sua merce dopo un accurato studio dei potenziali nuovi clienti di cui, chissà com’è possibile, sa proprio tutto. Perché in realtà il signor Weston è… molto di più di un mercante di vino, ma sia mai venisse a qualcuno la voglia di leggerlo, mantengo lo stretto riserbo sulla sua vera identità.

Per me letteratura e vino sono due rette niente affatto rette e tantomeno parallele che non di rado si incontrano e si incrociano e spesso si compenetrano e si confondono.
L’estate che procede sonnecchiando non solo mi ha sorpresa a sfogliare pigramente i miei soliti rassicuranti autori dei tempi di quiete ma, in effetti, mi ha anche trovata piuttosto propensa a scegliere bottiglie anch’esse “sicure”: i vecchi vini amici o i vini di vecchi amici, quelli che senz’altro non deludono, che accompagnano una conversazione senza alzare la voce, che ci sono sempre.

Arriva, dunque, a casa, insieme al signor Weston, questa bottiglia nuova. La stappiamo in compagnia di una cara amica e non ci soffermiamo sull’etichetta, la copriamo persino, per concederci il divertimento di leggerla a bottiglia finita. Non lo facciamo per vezzo e tantomeno perché sia moralmente obbligatorio bere sempre alla cieca, semplicemente perché nella già citata sonnecchiante serata d’estate fatta di leggerezza non ci sarebbe stato posto per un battibecco con le solite infami Parche: le aspettative.

Questa bottiglia non sfigurerebbe affatto nella carta del signor Weston. Anzi, probabilmente il signor Weston un vino così non l’avrebbe venduto, lo avrebbe usato per inondare Folly Down e far cosi rinsavire i suoi folli abitanti. Leòn Barral 2012 Vin de France, trabocca energia, ogni sorso sottintende un “oltre”: oltre il sorso, perché in esso non si esaurisce; oltre la descrizione, perché una, due, dieci istantanee non sarebbero abbastanza per agguantarne l’essenza cangiante e immortalarla rendendola con parole o immagini; oltre l’impressione, perché non ne ispira una ma ne offre a bizzeffe, tutte valide, tutte vere, anche quando apparentemente in contraddizione.

Al di là di qualsiasi analisi organolettica (vino vivo, mobile, in cui si inseguono albicocche croccanti a bagno nel bergamotto, bucce d’arancia, sale, miele e mandorle, vino quasi da mordere, saliscendi di intensità e pienezza del sorso, cambia forma come i tasselli colorati di un caleidoscopio, passa, ma solo per un attimo di quiete, alla carezzevole rotondità per tornare subito dopo a pungere con stilettate acute di zenzero e agrumi), io in questo vino ho trovato un compendio di tante cose udite e soprattutto vissute nelle serate porthosiane. Soprattutto non mi abbandona la sensazione di benessere, il senso di nutrimento dello spirito e di godimento dei sensi che ho portato dentro per tante ore dopo aver finito la bottiglia.

E’ anima e sostanza, concretezza e lenta apertura col passare dei minuti, non è un tremolante ologramma in doppiopetto, non uno scheletro immobile benvestito. L’espressività di questo “Vin de France” porta con sé l’idea che il suo luogo di origine sia un luogo brulicante di vita. Il Domaine Leòn Barral si trova nella Languedoc-Roussillon, denominazione Pays d’Hérault AOC, in questa annata uve terrent gris e terrent blanc per l’80% con saldo di viognier e di roussanne. Fermentazione spontanea in tini di cemento, breve macerazione e affinamento in barriques usate, nessuna filtrazione.

Un vino che si fa ricordare, da chi lo ha amato e da chi l’ha detestato. A me, che l’ho amato, e che non amo le rette parallele, piace pensare che a portarmelo a casa sia stato proprio il furgoncino del signor Weston. E se qualcuno può dimostrare il contrario, per favore, non me lo faccia.

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Samantha Vitaletti

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull'isola deserta, azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l'articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

2 Commenti

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Stefano Cinelli Colombini

circa 6 anni fa - Link

Non ho idea se quel vin de France sia davvero così buono come dici (cos'è, l'equivalente di un vino da tavola senza indicazione geografica?), ma l'idea del libro mi intriga moltissimo e l'ho appena acquistato in formato e-book.

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Leonardo Finch

circa 6 anni fa - Link

Sì i VDF sono l'equivalente dei nostri vini da tavola. Nello specifico il Leon Barral Bianco è uscito nel corso degli anni sia come VDF che come IGP Vin de Pays de l'Hérault. Perchè? Perchè la Languedoc sconta un caos legislativo abbastanza importante sia perchè è una regione che sta cercando una sua identità qualitativa importante (e forse per i rossi l'ha già trovata) sia perchè l'INAO non è che faccia scelte sempre illuminate. Il risultato è che alcuni vitigni bianchi storici della zona non sono ammessi nell'AOC Faugeres (tutti i rossi di Barral escono sotto questa AOC visto anche che Barral ha a disposizione cru importanti). L'unico modo per fare un vino bianco territoriale è quello di uscire dall'AOC e inserirsi in denominazioni "minori". Caratteristica comune a tanti produttori della Languedoc e del Roussillon.

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