Il Barolo secondo Maria Teresa Mascarello, verticale in 4 annate

Il Barolo secondo Maria Teresa Mascarello, verticale in 4 annate

di Jacopo Cossater

Il programma di questa edizione di ViniVeri (qui il report di Angela Mion), l’annuale appuntamento associativo che dal 2010 si svolge a Cerea nei giorni immediatamente precedenti Vinitaly, era impreziosito da una degustazione non perdibile, rare infatti le occasioni durante le quali assaggiare più annate raccontate dalla voce di Maria Teresa Mascarello. Un approfondimento il cui ricavato è stato devoluto alla Cooperativa Libraria La Torre di Alba, cui Beppe Rinaldi (a lui era dedicata questa edizione della rassegna) era particolare sostenitore.

Cinque ettari, sempre gli stessi dal 1919 – 4 a Barolo tra Cannubi, San Lorenzo, Ruè e poco più di 1 a La Morra, a Rocca dell’Annunziata – e 4 vini, come in casa si è sempre fatto – Barolo ma anche Barbera, Dolcetto, Freisa. Tre quelli di nebbiolo destinati a Barolo per una produzione complessiva di 15/17.000 bottiglie. Un contesto che non vede particolari differenze in termini di maturazione, “in una settimana si raccoglie tutto”, e che a parlare di vinificazione sembra più semplice che mai: le fermentazioni sono spontanee e avvengono in vasche di cemento e in tini di legno senza controllo della temperatura, 2 i rimontati giornalieri, macerazioni lunghe e 3 anni in botti di rovere di Slavonia da 50 ettolitri prima di un ulteriore anno in bottiglia.

Les jeux sont faits. Informazioni che però non bastano a raccontare la ricetta di alcuni dei più vibranti, profondi, trascinanti Barolo sia possibile trovare oggi. “Per me è più importante quello che c’è dentro la bottiglia di quello che viene scritto in etichetta – racconta Maria Teresa Mascarello – abbiamo sempre prodotto un Barolo di assemblaggio, le uve provenienti dalle varie vigne fermentano insieme, co-fermentano, non abbiamo mai vinificato gli appezzamenti separatamente come va così di moda oggi“.

In un certo senso siamo stati anche penalizzati: se prima del 2010 per chiarezza scrivevamo in etichetta il nome delle nostre 4 vigne, con l’introduzione delle Menzioni Geografiche Aggiuntive non è stato più possibile farlo. Se ne può mettere solo una, il nome del comune di provenienza delle uve, oppure come nel nostro caso semplicemente Barolo. Con Baldo Cappellano e con Beppe Rinaldi, con cui sono cresciuta,  siamo sempre stati un po’ critici e un po’ sospettosi, abituati a dire pubblicamente ciò che pensiamo: è curioso che con questa legge comunitaria sia comunque possibile tagliare ogni vino con il 15% di altre uve, seppur ovviamente sempre di nebbiolo. E allora ci si ritrova a non poter dichiarare la provenienza quando altri possono magari scrivere Cannubi in etichetta e poi tagliare con un 15%, percentuale a volte interpretata con elasticità, di, non so, Ruè.

Negli anni 60, lo facevamo anche noi con Cannubi, si usava mettere in etichetta il nome della vigna più prestigiosa dell’azienda, ma non necessariamente le uve provenivano tutte da lì, anzi. Adesso si vuole illudere il consumatore – continua Maria Teresa – che a vigna singola corrisponda qualità assoluta quando non solo questa è pratica che non appartiene alla nostra storia, che è stata importata dalla Borgogna, ma anche che non ci aiuta con il cambiamento climatico in corso“. Un passaggio centrale questo sul clima, che ha accompagnato un po’ tutta la degustazione e che vede il vignaiolo “non capirci più niente: le vendemmie sono a sorpresa, possono iniziare a metà settembre come a metà ottobre, abbiamo perso ogni punto di riferimento. Il clima è sempre stata la variabile, adesso però lo è più che mai, in questo senso avere la possibilità di compensare eventuali criticità di una vigna con le virtù di un’altra è quanto mai importante.

Degustazione Mascarello

Bartolo Mascarello, Barolo 2015

Apre su note terragne di sottobosco, profumi che in pochi istanti lasciano spazio a raffinate sensazioni che ricordano non solo la bellezza di certi frutti rossi raccolti a piena maturità ma anche a note di anguria, di erbe officinali, di tartufo bianco. Un rosso che stupisce per bilanciamento: se da una parte il suo fiato alcolico è lì, ben ancorato al palato, dall’altra risulta addirittura rinfrescante, splendidamente puntuale nella trama tannica e puntualissimo nella chiusura, decisa e trascinante.

Uno squillo di trombe, giovane ma non giovanile, Barolo che apre la degustazione, che è seguito da 3 vini di maggior complessità e che nelle mie personalissime preferenze si ritaglia uno spazio di primissimo piano per la sua più facile leggibilità. Quello che mi sarei portato a cena.

Bartolo Mascarello, Barolo 2011

Il caldo dell’annata, specie in vendemmia, c’è e si sente. Ha più materia degli altri, il frutto è carico e lo sbuffo alcolico presente. Nonostante questo per una strana alchimia risulta spiazzante per finezza complessiva: un nonsense organolettico che si traduce in una forza e in un’eleganza pazzesche tra richiami floreali e freschezza. Vibrante per acidità è saporitissimo, spiazzante per qualità tannica e splendido per persistenza. Quello che vorrei continuare a riassaggiare, oggi.

Bartolo Mascarello, Barolo 2008

Quando nei libri si raccontano i grandi, grandissimi Barolo immagino ci si riferisca a bottiglie come questa. C’è tutto il vocabolario della tipologia, dall’autunno e tutti i suoi profumi, tartufo e licheni, corteccia e cenere, fino all’anguria, la rosa, il brodo quello buono della domenica. Ma anche una punta di spaziatura e una leggera balsamicità, non senza la giusta carnosità. Sanguigno, slanciato, caleidoscopico: vino pazzesco non tanto per integrità, in fondo ha “solo” 10 anni, quanto per complessità espressiva e puntualità gustativa. Classico, classicissimo nel senso più bello e completo del termine. Quello che mi sarei portato a casa.

Bartolo Mascarello, Barolo 2005

Il frutto è maturo, sui lati anche caratterizzato da richiami passiti. Cenere, bouillon de poulet, menta anticipano un assaggio di particolare finezza tannica e di notevole spalla acida. Esemplare per proporzioni, intenso ma non grosso, progressivo, suadente, di gran finezza in un contesto più sussurrato, meno potente che in altre annate ma di sicuro fascino.

Sempre Maria Teresa: “capita spesso, un’annata grande schiacciata tra vendemmie che almeno a livello mediatico hanno suscitato maggior clamore, come in questo caso con la 2004 e la 2006. Ma la 2005 è per noi una grande annata, eccome”. E ancora: “questa è stata la mia prima vendemmia senza Bartolo, per certi versi comunque presente, come fosse lì a controllare il nostro lavoro. Ed è andata bene, abbiamo finito di vendemmiare subito prima che iniziasse una settimana di piogge”. Quello che vorrei riassaggiare a Barolo, in cantina.

[immagini: Dienne Foto, Barbara Ghinfanti]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

3 Commenti

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Davide Bruni

circa 5 anni fa - Link

Questi sono i produttori giusti! Chi va in vigna lo sa! Brava all'erede del Bartolaccio! Ciao a tutti ✋✋

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arnaldo

circa 5 anni fa - Link

Credo che quello piu' pronto da bere sia la 2011 molto intenso pieno godibile.

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daniele cernilli

circa 5 anni fa - Link

Maria Teresa Mascarello interpreta i suoi Barolo con grazia ed eleganza, e in qualche modo le somigliano. Il suo 2015, assaggiato in privato con amici, è semplicemente delizioso. E questo in un'annata dove la parte occidentale della denominazione è stata forse meno felice della parte orientale. Ma lei è una fuoriclasse totale, per senso dell'armonia probabilmente.

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