I vini della Valtellina estrema di Marco Fay

I vini della Valtellina estrema di Marco Fay

di Alberto Muscolino

Scorrazzando in lungo e in largo per l’Italia enologica, molto spesso, si viene colti da stupore e meraviglia (cit. Alberto Angela). Ci sono luoghi in cui la viticoltura non è stata semplicemente un’opzione tra tante, ma la migliore espressione di una vocazione del territorio. Sto parlando della Valtellina, dove il nebbiolo/chiavennasca si coltiva da più di 1000 anni, su porzioni di terra strappate alla fascia pedemontana delle Alpi Retiche, grazie a 2500 chilometri di ingegnosi terrazzamenti.

Il colpo d’occhio è da togliere il fiato, la montagna è aspra, imponente, come un gigante di pietra incatenato dalla morsa dei muretti. L’uomo, qui, supera i propri limiti e scolpisce nella roccia le proprie aspirazioni, in barba a qualunque vincolo topografico, sfidando altitudine e latitudine senza cedere a compromessi. Procedendo da ovest a est la valle accoglie oltre 850 ettari di vigne, con esposizione a sud e forti escursioni termiche giornaliere. Terra estrema, quindi, che rende la viticoltura, a tratti, eroica.

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Entrando nel merito della produzione, il disciplinare individua 5 sottozone particolarmente vocate (Sassella, Inferno, Grumello, Valgella e Maroggia) che rappresentano l’apice qualitativo e rendono il panorama particolarmente sfaccettato. La scelta, in questa occasione, è caduta sulla Valgella, la più orientale e, da me, meno conosciuta e per raccontarla meglio sono andato a conoscere Marco Fay, dell’azienda agricola Fay. Partiamo subito dalle vigne, salendo a quota 500 metri, per parlare della biodiversità che in Valtellina, mi spiega Marco, è un fattore determinante.

Tra i filari si ritrova, infatti, un’incredibile varietà di cloni di nebbiolo che fa della valle la più grande banca genetica del nebbiolo al mondo (altro che Piemonte!). Inoltre bisognerebbe sfatare il mito della netta differenziazione tra le varie sottozone e considerare, invece, che qui le reali differenze specifiche si riscontrano a livello di altitudine (e addirittura di singolo terrazzamento). Alle quote più basse, infatti, si produce generalmente il Valtellina Superiore, per i vari cru si predilige la fascia intermedia e, infine, in alto si selezionano le uve da appassimento. Mentre camminiamo tra i filari, noto dei laccetti rossi annodati ad alcune viti e Marco mi spiega che si tratta di diffusori di feromoni che contribuiscono alla lotta ai parassiti, compromettendone le capacità di accoppiamento.

La volontà è quella di andare verso una conduzione della vigna minimamente invasiva, superando anche l’eccessivo utilizzo del rame che si fa nel biologico, ma la strada è ancora lunga e alcuni trattamenti semi-sistemici, al momento, risultano il miglior compromesso. Per la seconda tappa saliamo verso quota 800 metri, dove troviamo gli ultimi strenui filari di nebbiolo e una bella sorpresa: “vedi quel vigneto lì? E’ il più in alto di tutti e non è nebbiolo, perché a 830 metri il nebbiolo soffre troppo e allora ho pensato a un bianco, molto resistente, ispirato alla borgogna…” – riecco la Borgogna che ormai nei trend topic sta sotto solo a #biologico, #naturale e #biancofruttato – “e quindi chardonnay!”. La cosa si fa interessante ed è arrivato il momento di tornare giù in cantina a ridare ossigeno alle menti e pure ai calici.

Delle 5 bottiglie sul tavolo scelgo di focalizzarmi solo sul nebbiolo in purezza (escludo quindi il terrazze retiche “La Faya” che è un blend di merlot, syrah e nebbiolo) e cominciamo l’excursus dai piedi della montagna fin su in cima:

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Valtellina Superiore Costa Bassa 2015
Vigneti posti su terrazzamenti che occupano la prima fascia, fino ai 450 m. È l’espressione più semplice e immediata del nebbiolo della Valgella, delicato al naso, dove risalta, soprattutto, una nota mentolata che lascia spazio al lampone e ai petali di rosa, così come in bocca, perché ha tannini soffici, acidità contenuta e una struttura poco impegnativa.

Valtellina Superiore Cà Moréi 2015
Si sale di quota, arrivando nella seconda fascia che dai 450 m si spinge fino ai 550 m. Qui si verifica il fenomeno dell’inversione termica, per cui fa più caldo rispetto al livello inferiore, con conseguenze dirette sulla maturazione delle uve. Il naso questa volta è più intenso, l’impatto dei frutti rossi e dei fiori (rosa e violetta) è nitido e sempre accompagnato dalla nota mentolata che, stavolta, è mista a cioccolato (after eight!). Il sorso è altrettanto irruento e definito da una trama tannica più decisa, è caldo e materico, ma il finale balsamico e sapido compensa bene questi ardori giovanili.

Valtellina Superiore Riserva Carterìa 2014
Stessa quota del Cà Moréi (500 m), ma diversa ubicazione del vigneto e maggiore affinamento in bottiglia, per questa riserva che colpisce per eleganza ed equilibrio. L’annata 2014, molto spesso, si esprime in punta di piedi, senza ambire a vette di potenza, ma accarezzando il palato con una beva apprezzabile sin da subito. E dunque fiori secchi, prugne matura, lieve speziatura e il ritorno dell’after eight anche qui. In bocca è velluto, tannino cesellato, molto verticale e sapido abbastanza per invogliare, irrimediabilmente, a un secondo sorso.

Sforzato di Valtellina Ronco del Picchio 2013
Le uve per lo sforzato vengono selezionate dalle sommità dei terrazzamenti, intorno ai 750 m e, dopo la raccolta, rimangono ad appassire per circa 2 mesi nei fruttai. Il risultato dell’appassimento è chiaramente riconoscibile per l’apporto di maggiore complessità al naso: impatto etereo di smalto e poi frutta matura (prugna), i fiori secchi, le spezie dolci, ancora frutta ma secca, liquirizia e leggere note di sottobosco. Al palato è austero, la morbidezza non ha intaccato l’acidità di questo nebbiolo delle vette, l’alcolicità è importante (15°) così come la trama tannica, chiude balsamico e mentolato.

*Bonus: lo Chardonnay del vigneto a 830 metri non ancora in commercio
Marco si allontana un attimo per ritornare, dopo pochi minuti, con un’ampolla che contiene proprio lo chardonnay di cui ci aveva parlato. E’ tuttora in fase di valutazione e uscirà quando sarà pienamente convinto del risultato, ma intanto le impressioni sono promettenti. Al naso ha una piacevole nota vegetale di erba fresca appena tagliata, pesca bianca e un agrumato delicato di pompelmo. In bocca è invitante perché già bilanciato bene su acidità e sapidità, non risente minimamente del passaggio in tonneaux, ormai esauste, che conferiscono, però, una certa rotondità. Già piacevolissimo adesso, saprà sviluppare a pieno la sua marca distintiva quando, tra qualche anno, le viti avranno raggiunto la giusta maturità produttiva.

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Alberto Muscolino

Classe '86, di origini sicule dell’entroterra, dove il mare non c’è, le montagne sono alte più di mille metri e dio solo sa come sono fatte le strade. Emigrato a Bologna ho fatto tutto ciò che andava fatto (negli anni Ottanta però!): teatro, canto, semiotica, vino, un paio di corsi al DAMS, vino, incontrare Umberto Eco, vino, lavoro, vino. Dato il numero di occorrenze della parola “vino” alla fine ho deciso di diventare sommelier.

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