I vini del Mondo raccontati da un dotto bevitore del 1871 – parte terza (ed ultima)

I vini del Mondo raccontati da un dotto bevitore del 1871 – parte terza (ed ultima)

di Thomas Pennazzi

Concludendo con i vini del Mondo l’analisi dell’opera di Paolo Mantegazza (1831-1910) [qui e qui le prime due parti], c’è da restare ammirati per quanto quest’ingegno oggi del tutto dimenticato fosse veramente un tuttologo. Celebre professore di fisiologia ed igiene, etno-antropologo, darwinista convinto, romanziere fantascientifico, primo a descrivere la coca andina ed a farne conoscere il suo uso in Europa, divulgatore delle cose del vino e della retta pratica enologica, la sua fama perdurava nel tempo tra le due Guerre. La polvere ha poi ricoperto la memoria di questo grande scienziato italiano.

L’ultima parte del suo ponderoso volume «Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze» del 1871, di cui mi sono occupato in precedenza, contiene un’amplissima descrizione dei vini d’Italia e del Mondo, forse la prima mai concepita in tempi moderni, per ricchezza di enumerazione e profondità di analisi. Al Nostro piaceva bere, evidentemente, e aveva girato parecchio. Ma era anche un prolifico storyteller d’epoca.

Come per il capitolo dedicato ai vini nostrani, quello dei vini esteri ci regala una panoramica di cosa si beveva al tempo dell’Unità d’Italia nelle case alto-borghesi italiane. Il saggio è profondo e disseminato di dati, letteratura, citazioni, e riflessioni originali.

Mi è piaciuto spigolare qua e là alla ricerca del Mantegazza-pensiero sul vino del tempo, oltre a restituirvi l’idea di una virtuale enoteca di centocinquanta anni fa.

Mettetevi comodi, e buona lettura.

 

VINI GRECI

«La Grecia, che elevò il Dio del vino ai più alti scanni del1’Olimpo, facendone il figlio prediletto di Giove, ebbe nella remota antichità vini squisiti, che ad esser meglio conosciuti oggi sui mercati d’Europa, non abbisognano che di un po’ più d’arte e di reclame. La Grecia moderna ha trovato sempre facili mercati ai suoi vini in Russia ed in Turchia, ma da qualche tempo si vanno stringendo vincoli enofili fra essa e l’Inghilterra, così come si sono mandati in Francia molti giovani greci, per impararvi l’arte di fare il vino. A Venezia fino a questi ultimi tempi si consumava e si apprezzava il vino di Cipro, ricordo di tempi gloriosi per quella repubblica.

In molti paesi della Grecia si serba l’antico costume di mischiare al vino nuovo della colofonia, della calce e del catrame; così come a Cipro si aggiunge al così detto vino Commanderi un terzo del suo volume di catrame, onde renderlo più soave e più dolce. Napoli di Malvasia nella Laconia dà il famoso Malvasia, celebrato un tempo soprattutto in Inghilterra, e che si associa nella storia alla morte di Giorgio Duca di Clarence. La piccola Isola di Santorino era tutta coperta di vigne, pochi anni or sono, e benchè piccolissima, era così affollata di viti da dare essa sola il decimo di tutto il vino greco. Nei tempi antichi alcuni dei vini più celebri venivano dai dintorni di Smirne, e oggi a Costantinopoli si beve moltissimo vino dell’Isola di Tenedor e delle pianure di Troja».

 

VINI D’AUSTRALIA

«Shaw [Thomas G. Shaw – Wine, the vine and the cellar – London, 1863, NdR] dice francamente di aver più volte bevuto del vino d’Australia, ma di non aver mai avuto la voglia di beverne un secondo bicchiere, dopo averne preso il primo. […] Egli crede che nè il suolo nè il clima di quel remoto continente riesca favorevole alla vite, la quale non vi trova neppure quelle amorose cure delle quali ha bisogno dal primo giorno di gennajo all’ultimo di dicembre, essendo ancora scarsissima la popolazione e molto alto il prezzo del lavoro.

Le vigne abbondano a Beechworth e in tutta la contrada che sta intorno ad Albury nel New South Wales; e in quel paese i migliori fabbricatori di vino sono i tedeschi. Il distretto di Hunter River è il paese più vinicolo dell’Australia, e pochi anni or sono uno scrittore di Sydney poteva parlare di certi signori Wyndham, che dalla loro vigna di Dalwood raccoglievano 14000 galloni di vino, e del signor Lindemann, che raccoglieva 6000 galloni da una vigna di circa 20 acri di estensione.

I signori Ritchie e Farrington, che stanno forse alla testa del commercio del vino coloniale a Vittoria, classificano in questo ordine i vini dell’Australia Meridionale, indicando dall’1 al 6 la ricerca che ne fa il commercio australiano. Bianchi: Erlana 4; Verdeilho 5; Pedro Ximenes 1; Malvasia 2; Moscatello 3; Hock 1; Riesling 3. Rossi: Hermitage 6; Richeburg 3; Constantia 2.

[…] Alcuni sono d’avviso che i vini dell’Australia meridionale potranno presto rivaleggiare coi migliori vini di Francia e fors’anche superarli».

 

VINI AFRICANI

«Il vino di Madera è il più celebre fra i vini africani, ed è messo da molti fra i portoghesi, perchè quell’isola appartiene al Portogallo: lo stesso varrebbe chiamare inglese il vino del Capo di Buona Speranza. Prima che l’oidio invadesse quel paradiso terrestre, Madera dava ogni anno da 25 a 30000 pipe [1 pipa = 126 galloni; NdR] di vino, delle quali da 10 a 15.000 erano esportate e le altre erano bevute nell’isola o distillate. In quell’epoca le varietà più delicate di vini portavano i nomi di Sercial, Boal e Malmsey. Cernier notava già da una ventina d’anni prima della comparsa dell’oidio (1852-1853) che il vino di Madera era caduto in discredito, perchè le esigenze del commercio erano superiori alla produzione e insieme all’ottimo si vendeva anche il mediocre e il cattivo, per cui il Xeres pigliò poco a poco il posto del Madera.

Il vino di Madera, come io l’ho bevuto nell’isola stessa, e di quello anteriore all’epidemia oidica, è secco, ambrato, più aromatico del Xeres, più soave del Marsala; uno fra gli ottimi vini liquori.

Vini di Teneriffa. –  Il vino dell’Isola di Teneriffa fu celebre fin dai primi tempi in cui le Isole Canarie furono conquistate dagli Spagnuoli; e in Inghilterra fin da tre secoli or sono il vino canario era conosciuto col nome di Canary Lack. […] Tanto il Madera quanto il Teneriffa furono poco dimandati sui mercati inglesi, che ne erano i primi consumatori, appena Giorgio IV incominciò a preferire lo sherry agli altri vini alcoolici.

Io ho bevuto ad Orotava del vino bianco che ho trovato poco diverso del buon Madera d’altri tempi.

Vino del Capo. –  Questo vino, che ebbe anche i nomi di South-African e Constantia, subì varie vicende a seconda che fu difeso da un dazio di protezione, o fu abbandonato alle sue proprie forze, onde nella lotta dello struggle after life si avesse a conquistare il suo posto al sole. Finchè pagava una tassa inferiore della metà di quella degli altri vini, era importato in Inghilterra in grandi quantità e mischiato ad altri vini, serviva a fare del falso Sherry, Tolta la protezione, il vino del Capo decadde.

[…] Shaw, il quale parla con troppo disprezzo del vino del Capo, confessa però di aver bevuto due o tre volte del Constantia che era ottimo (remarkably fine), e racconta che ne giungevano alcune volte dei carichi in Inghilterra abbastanza buoni (tolerably good). In queste parole vi è un diploma di compatimento, un succés d’estime; un accessit, ma non un premio».

 

VINI D’AMERICA

«I vini americani sono poco conosciuti, benchè la vigna trovi nel vasto continente di Colombo tal varietà di terre e di climi da poter dare tutti quanti i tesori dell’Olimpo enologico che possiede 1’Europa. La scarsa popolazione e la molta ricchezza di quei paesi rendono più facile agli Americani il comperare vini stranieri a carissimo prezzo che il farne di proprii; ma ciò li espone anche a bevere alcuni liquidi inebbrianti rossi e bianchi dai mille e svariati battesimi, ma che non ebbero il menomo contatto colla vitis vinifera.

Negli Stati Uniti le vigne più celebri si trovano nell’Ohio, nel Missourì (sic) e nell’Indiana. Si fa del vino anche nella Virginia occidentale, nello Stato di Nuova York, nella Pensilvania (sic) e nel Maryland. Sono celebri fra tutti i vini di Cincinnati e specialmente quelli che provengono dalle grandi vigne dei signori Longworth e Zimmermann, i quali sono divenuti famosi per il loro Catawba splendente. Negli Stati del Nord e del Nord-Ovest si fanno vini di ogni specie, imitando ì più riputati d’Europa; ma Shaw assicura che hanno tutti uno speciale odore e sapore americano, che non piace neppure agli Americani, i quali preferiscono i vini europei.

Negli Stati Uniti si suol sorbire una bevanda fatta di Isabella, di Catawba dolce, zuccaro, liquori e ghiaccio pesto. Altre bevande consimili portano gli strambi nomi di cocktail, brandy-smash, mint-julep, cobbler,  hot tom and jerries, slings, greased lightning, ecc.; e si sogliono succhiare, con una cannuccia di paglia, come fanno gli Argentini col mate. [Questa potrebbe essere la prima menzione dei cocktails nella letteratura italiana, siamo nel 1871; curiosamente sembra che cocktail sia solo il nome di una delle bevande e non il genere; NdR].

Lo Scuppernong è un vino della Carolina, che rassomiglia al vino del Reno, ma è più dolciastro e non regge a lunghi viaggi. In California si hanno già buoni vini, e i più famosi portano i nomi dì Angelico, Aliso, Porto e Champagne.

Una Compagnia tedesca ha in un solo anno piantato mezzo milione di viti a circa venti miglia di distanza da Angelos [Los Angeles; NdR]. I vini di California possono, senza arrossire, sostenere il confronto con quelli d’Europa, e già se ne vendono a Brema, ad Amburgo e a Parigi.

Anche nel Canadà si studiava pochi anni or sono la coltivazione della vite, e i vini fatti in quel freddo paese furono già lodati da Day, da Drummond e da W.J. Bickle di Quebec, che è vecchio negoziante di vini e che dovrebbe poter dare profondi giudizii in proposito.

Il Perù ha vini celebrati. Il vino di Pisco, detto anche Jerez de Pisco, si produce in valli profonde a 44° di latitudine sud, irrigate dall’acqua che sgocciola dagli eterni ghiacci delle Cordigliere. Nell’interno della provincia di Tarapaca, fra 20° e 30° di latitudine sud, e a più di 3400 piedi d’altezza dal mare, benchè ancora a’ piedi delle Ande, si produce in piccola quantità dell’ottimo vino bianco e rosso che si dice di Pica. Io ne ho bevuto del rosso che aveva otto anni di età, e che era davvero eccellente. Era un vino-liquore, dolce, aromatico e molto alcoolico.

Un altro vino peruviano si ha dalla provincia di Mocquebar. Shaw dubita assai della autenticità del vino peruviano (peruvian sherry) che si beve a Londra; e crede che sia semplicemente del vino fatto in Inghilterra, e che dopo una gita di piacere o un viaggio igienico sulle Coste del Perù, se ne ritorna a Londra.

La Bolivia dà vini eccellenti in quella parte dove il clima concede la vita alla vite; e chi abita nelle provincie argentine di Salta e Jujùi può assaggiarne qualche volta. Ho udito io stesso rinomatissimi tra gli altri quelli di Cinti.

Fin dal 1500 il Padre Acosta parla nel suo libro:

«del Peru et Chile oue sono uigne [vigne; NdR], et si fa uino, et molto buono, et ciaschedun giorno cresce assai in quantitade. Perch’è grande ricchezze in quella terra, come in bontade, perche s’intende meglio il modo di farlo. Le uigne del Perù sono communemente in ualli calidi, oue sono fossi, dai quali la rigano a mano, perchè la pioggia del Cielo non è nei piani, et nei monti non le hai a tempo. Sono parti, oue si adacquano le uigne ne’ cui fossi, nè dal cielo, et sono in grande abondanza, come nella valle di Yca. Similmente nelle fosse, che chiamano di Villacuri, ove fra alcuni luoghi arenosi morti si trouano alcuni fossi, o terra bassa di incredibile freschezza tutto l’anno, et non mai ui pioue, ne meno ui sono fossi di acque. Ouero hanno auto di acque. La cagione è 1’essere quel terreno spongoso, et il succhiare l’acqua, che cascano dai monti, et si perdono per quei luoghi arenosi. Ouvero se è humidita del mare (come altri pensarò) si deue intendere che lo scolare per l’arena faccia, che l’acqua non sia sterile et inutile come il filosofo significa. Sono cosi cresciute le uigne che pee sua cagione le decime delle chiese sono o 5 o 6 tanto di quelle che soleuano essere già uinti anni. Le ualli più fertili di uigne sono uittore intorno di Areguipa, Yca nei termini di Lima, Caracato in quei di Chuquiano. Portasi questo uino in Potosi ed al Cuzco et in diuerse parti et è grande auanzo. Perchè uale con tutta l’abondanza una botte, o rubio cinque, o sei ducati. Et se è di Spagna (che sempre se ne porta nelle Flotte) uale diece o dodeci. Nel Regno di Chile si fa uino, come quello di Spagna. Perchè è la medesima temperie di aere. Se nondimeno si conduce nel Perù, si guasta.»

Io ho nella mia cantina vini eccellenti della Repubblica Argentina. Ebbi già occasione altre volte di lodare il vino rosso di Cafayate, che si ha nei Valles Calchaquies della provincia di Salta; e dissi che è un Borgogna alla quinta potenza, un tesoro di nerbo, di sapore, di voluttuosa amarezza. L’illustre zoologo tedesco Burmeister, ridotto a mal partito dagli strapazzi di lunghi viaggi nell’America meridionale e logorato da profuse diarree, fu restituito alla scienza dal vino di Cafayate, a cui presto d’allora in poi culto di riverenza e di gratitudine. Io ne portai in Europa, or sono parecchi anni, e nel passare la linea [dell’Equatore; NdR] si intorbidì e divenne alquanto acido. La solforazione però lo restituì all’antica sua dignità.

Posseggo anche del vino bianco assai vecchio di Riobamba nella provincia di Rioia, ed è un vino di lusso, dolce, ma molto profumato e che da una più tarda vecchiaia aspetta sempre nuove fragranze. Oltre la Rioja, anche San Juan Mendoza, Cordoba, Catamarca, danno vini per lo più bianchi, e che hanno un grande avvenire».

[Fine]

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto fatica a ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito (il cognac), e per qualche anno ne ha scritto in rete sotto pseudonimo.

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