Hail to England. Il metodo classico in Inghilterra, storia assaggi e inevitabili confronti

Hail to England. Il metodo classico in Inghilterra, storia assaggi e inevitabili confronti

di Andrea Gori

Hail to England, lo storico disco tributo alla perfida Albione dei Manowar, risale al 1984. Fu inciso per scusarsi di un tour promesso e poi cancellato. Fu un notevole successo di pubblico e ci ha lasciato almeno due pezzi validi: la title track e Blood of my enemies. Fu proprio in quegli anni che si cominciò a pensare di fare bollicine in Gran Bretagna, partendo ovviamente da sud (Kent e Sussex), l’unica zona che grazie al suolo e al clima (la corrente del Golfo) poteva rendere possibile un’impresa sulla carta assurda. Ma alcuni pionieri, tra cui la famiglia Mosses dietro Nyetimber (di recente scelta da Meregalli per la nuova distribuzione Visconti43) e Bolney (che aveva cominciato a piantare uva rossa negli anni ’70) si innamorarono dell’idea, e andarono avanti nonostante tutto.

hail to england manowar

Del resto data 1662 un documento in cui Christopher Merret presenta, alla Royal Society di Londra, il processo per ottenere un metodo classico a partire dal vino, ben 30 anni prima che la stessa tecnica fosse descritta in Champagne. Gli epigoni di oggi sono tanti, e sono stati di recente affiancati da maison come Louis Roederer e Pommery (che uscirà con uno sparkling inglese nel 2018 in collaborazione con Hattingley Valley). Molti di loro erano presenti in un denso e molto animato stand nel pittoresco padiglione 9 di Prowein, quello del “resto del mondo”, per certi versi il più interessante della fiera.

Ecco i nostri assaggi, condotti tra un gin tonic e un ricco aperitivo a base di biscotti salati, salame e pasticci britannici a rendere l’atmosfera davvero coinvolgente.

Come d’uso nelle note relative all’assemblaggio scrivo pn per pinot nero, pm per pinot meunier e ch per chardonnay.

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Gusboune Brut 2013 – 55%pn 27%pm 18%ch. Tono molto limonoso, agrumi, lime, fine sottile, bocca che conferma la vena acida del naso e risulta pimpante e godereccia, anche se non finissima. 84

Gusbourne Blanc de Blancs – 100% ch. Mirabelle e gesso, bocca cortese, placida, piacevole e floreale, bella marcia ed equilibrio complessivo. 88

Gusbourne Rosè 2013 – 100%pn. Piacevole, invitante, con note di fragole, melograno e arancio rosso, non molto lungo in bocca però. 84

Bolney Bubbly Brut nv – muller thurgau e chardonnay. Mela e tiglio, floreale bianco e intenso agrumato, bocca meno succosa e molto corta, sgraziata. 82

Bolney Bubbly Rosé – 100%pn. Dolce di fragola e lamponi, agile e piacevole, ben dosato e furbo, godereccio. 87

Lynchgate White 2015. Citrino e limonoso, naso dolce e floreale. 85

Lynchgate Red 2014 – 100%pn. Note boscose di mirtillo, lampone e tocco animalesco, bocca fresca e fruttata ma bizzosa come equilibrio. 83

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Ridgeview Bloomsbury Brut 2014 – 58%ch 28%pn 14%pm. Iodato e floreale, bocca limonosa e croccante, gusto e profondità, salato e balsamico, roccioso, bello e divertente. 89

(Su Ridgeview abbiamo anche questo video)

Ridgeview 2014 Cavendish – 43%ch 28%pn 14%pm. Note floreali ricche e fresche di camomilla e tè, pepe e menta, bocca corta ma potente, fresca e immediata. 86

Ridgeview Rosé Fitzrovia 2014 – 50%ch 33%pn 17%pm. Gesso e fragole, tabacco e zenzero, croccante , bocca piaciona fruttata e fresca, bel ritmo. 88

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Chapel Down brut – 44%ch 38%pn 11%pinot bianco 7%pm. Floreale intenso bianco e giallo, bocca dal grande equilibrio e stile, personale e lungo, “inglese” ma maturo e fruttato. 88

Chapel Down Three Graces 2011 – 58%ch 34%pn 8%pm. Ampio, fine, mela, zenzero e rafano, lunghezza e ampiezza, grande passo e piacere al palato. 91

Chapel Down Rosé brut – 100%pn. Dolce, fine, lamponi e fragole, pepe e tabacco, dosaggio che equilibra. 85

Chapel Down Chardonnay – vino bianco fermo. Naso piacevole, frutta gialla, bocca un po’ evanescente. 82

Chapel Down Bacchus 2015 – vino bianco fermo. Note di uva fragole e rose, dolcissimo: talco, moscato quasi al naso ma bocca acquosa e poco altro. 82

Chapel Down Curious Brew – lager con lieviti Champagne. Bella dorata e ricca, piacevolmente amara nel finale gastronomico.

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Hattingley Valley Classic Cuvée 2013 – 48%ch 33%pn 17%pm 2%pinot grigio. Ampio, fine, delicato e molto champenoise, bocca succosa, mela e lamponi, finale con corpo e struttura. 87

Hattingley Valley 2011 Blanc de Blancs – 100%ch. Quattro anni sui lieviti: biancospino e zenzero, pepe nero e lime, bocca aspra e tesa, con aggressività che finisce con piacere. 86

Hattingley Valley Rosé – 59%pn 36%pm 5%”fruhburgunder” (pinot precoce). Lamponi e rose, bocca piccante e citrina, finale di frutta rossa e arancio, corto. 84

Nyetimber Blanc de Blancs 2009. Lime e pompelmo, floreale, candido e dolce di glicine e fiore di pesco, fiore di vite e pepe bianco. Bocca soave e incalzante, ben ritmata, sapida e un lungo finale citrino. Concentrazione e finezza con un frutto miracolosamente ben maturo. 92

Nyetimber Rosé Brut. Viole, rosa thea, melograno e lamponi dolci, cipria e confetto, anice e talco. Bollicine fini ma non troppo, finale veloce ma sapido e netto. 86

Una rassegna incompleta, perché mancano due tra i migliori del lotto, Wiston e Camel Valley. Nonostante questo racchiudeva tanti vini molto ben raccomandati da Decanter. L’effetto che producono, avendo come riferimento sia Champagne che zone spumantistiche italiane, è che le premesse siano molto buone e che in annate più mature e calde, con una scorta di vin de reserve da usare alla bisogna, il livello medio potrebbe davvero alzarsi, arrivando ad impensierire molte cuvée d’Oltralpe. Ma la casistica racconta invece che la maturazione delle uve sia ancora molto critica, e che dietro l’acidità (spesso scambiata per “viva e pulsante mineralità”) ci sia poco di interessante.

Di certo l’arrivo di Taittinger, Louis Roederer e altre maison porterà linfa vitale e know how in grado di far progredire il metodo classico inglese, che comunque già oggi può contare su 2 mila ettari di vigneto con 133 cantine e 3 milioni di bottiglie prodotte ogni anno (di cui i due terzi bollicine), per un fatturato vicino ai 100 milioni di sterline lo scorso Natale. Decisamente non (più) uno scherzo, ma si entra in una fase dove i risultati devono essere continui e costanti se vorrà davvero sostituire in molti locale lo Champagne, unico termine di paragone per gli inglesi che non studiano né considerano alcuna altra denominazione enoica del settore.

In questo modo peccano forse di una certa supponenza, nonostante l’export delle loro bollicine sia per ora solo di 250 mila bottiglie l’anno. Ma in mezzo a tante battaglie tra zone spumantistiche, questa è senz’altro una di quelle che sarà più interessante seguire nei prossimi anni.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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