Gli esercizi di stile di Cantrina nella Valtènesi

Gli esercizi di stile di Cantrina nella Valtènesi

di Redazione

Dopo quello sui vini della Galizia e quello sul Vin Santo di Vigoleno ospitiamo ancora un lungo pezzo di Massimiliano Ferrari, oggi dedicato a una bella realtà del bresciano: Cantrina. (jacopo)

Prologo

Raymond Queneau è stato un signore francese di belle lettere che, in un certo senso, cambiò la storia recente della letteratura, senza dubbio quella francese.
Nel 1947 pubblicò per il prestigioso editore transalpino Gallimard un volumetto intitolato Exercises de style, facilmente traducibile con Esercizi di stile.
Il titolo rimane senza dubbio la sola parte del libro dove il lavoro del traduttore si rivela di una semplicità disarmante. È aprendolo che il gioco inizia a farsi duro.
Il sottotitolo, ipotetico, del libercolo potrebbe infatti recitare, 99 differenti modi di raccontare un episodio qualunque.
Per l’appunto è questo il gioco mefistofelico architettato da Queneau: prendere un fatto banale e ordinario, e modellarlo in novantanove diverse variazioni letterarie, mischiando figure retoriche di ogni tipo, virtuosismi linguistici e rompicapi matematico-verbali da far ammattire il più mansueto dei traduttori.
Una metafora della vita? Forse, ma le interpretazioni del seminale libro queneauniano sono molteplici e non è il caso qui di aggiungerne ulteriori.

Ammetto di non sapere se Cristina Inganni pensasse al libro di Queneau quando, nel immaginare i vini di Cantrina, stabilì che il modo migliore per definirli sarebbe stato con una frase che strizzasse l’occhio proprio all’opera dello scrittore della Normandia, “libero esercizio di stile”. Ricorda qualcosa?
Tre parole che definiscono meglio di qualsiasi arringa lo spirito che sta dietro la piccola cantina sita nel comune di Bedizzole, provincia orientale di Brescia.
Non che sia indispensabile conoscere l’opera dell’autore francese per gustare un vino di Cantrina ma può tornare utile per decrittare quello che è il sottofondo filosofico di questa piccola cantina bresciana.
Libero esercizio di stile diventa una formula, un mandala tibetano da mandare praticamente a memoria. Il fatto che Cristina non nasca come vignaiola ma lo diventi dopo una carriera come decoratrice d’interni, perciò solida formazione artistica, può aiutare a capire meglio di cosa stiamo parlando.
La produzione dei vini a Cantrina tende infatti a replicare più una pratica artistica che il tradizionale lavoro di un vignaiolo, opinione supportata nei fatti e nelle parole di Cristina. “Quello che provo a mettere in campo è un approccio creativo, sono convinta che un gesto artistico non è così dissimile dal fare vino”, mi spiega la signora di Cantrina.

Libero esercizio di stile diventa quindi la possibilità di sondare cammini laterali della viticoltura, scegliere di fare vini in libertà che, si badi bene, non significa farli così tanto per farli ma assecondando la stagione in vigna, le possibilità offerte dalle uve e dalla loro salute senza dover sottostare a diktat mercantili o commerciali. Tradotto significa anche non uscire con un’annata se non viene ritenuta all’altezza.
Gli esercizi di stile di Cantrina si snodano lungo una camera delle meraviglie dove, nel corso degli anni, hanno trovato posto una vendemmia tardiva da chardonnay, un rosato da petit verdot, diversi esperimenti con il pinot nero tra qui l’Eretico, vino dolce prodotto da uve surmature, la cui ultima annata prodotta è stata la 2007. Come mi dice Cristina, “gli ho fatto di tutto a sto pinot nero!” E se contiamo anche il Rosanoire, rosato nato sempre da grappoli del capriccioso vitigno, non possiamo che essere d’accordo.

CantrinaOttobre

Resilienza di una vignaiola

La lingua del vino e intorno al vino è spesso condizionata da una ridondanza di termini e vocaboli, un parlarsi addosso che crea spesso un vuoto pneumatico di significato.
Ma c’è una bella parola che credo si applica senza paura alla narrativa di Cristina e Cantrina, bisticcio di parole quanto mai foriero di risvolti, ed è resilienza.
Esistono numerose declinazioni della suddetta, dal momento che ne possiamo seguire le tracce nei meandri di biologia, psicologia, informatica fino all’ingegneria meccanica. Ognuna custodisce il proprio concetto di resilienza. In modo sommario si può definire come la capacità di un soggetto, fisico e non, di resistere e sapersi adattare al cambiamento di un contesto.
Cantrina nasce da una intuizione del marito di Cristina, Dario Dattoli, origini calabresi, ristoratore in quel di Brescia dove trova il suo Graal diventando un punto di riferimento della scena cittadina. Personalità vulcanica, grande amante di vini francesi, decide di acquistare dei terreni in quel di Cantrina, raccolta frazione, tutta case in sasso e chiesetta, nel comune di Bedizzole, entroterra della Riviera gardesana orientale. Decide di fare vino qui, nel cuore della Valtènesi storica enclave di Chiaretto, piantando varietà internazionali. Pinot nero, merlot, riesling, chardonnay, semillon, quasi un piccolo clos francese in salsa bresciana.

All’improvviso un incidente, “uno scherzo” come mi dice Cristina, porta via Dario e la lascia in uno di quei momenti della vita in cui ci si trova di fronte alla scelta con la S maiuscola. Continuare il progetto o mollare tutto?
Cristina lascia il suo lavoro, lascia Brescia, e decide di percorrere la strada in salita, il classico salto nel buio. Diventare produttrice di vino. Ecco, rivedere alla voce resilienza.
Giusto il tempo di riordinare i pensieri, siamo nel 1999, e l’avventura di Cantrina riparte.
Ci si circonda di collaboratori fidati, gente su cui si può contare. Anche perché Cristina è a digiuno di qualsiasi nozione di viticoltura, se non una spolverata di didattica AIS, come voler costruire un Boeing avendo fatto volare aereoplanini di carta fino a ieri. Uno di questi è Diego Lavo, agronomo ed esperto nell’impianto di vigneti, ancora oggi socio nell’avventura di Cantrina, figura fondamentale di questa storia.
La strada che si segue inizialmente è quella dei vini Igt e vini da tavola. L’obiettivo è lampante: produrre vini senza l’assillo di diktat normativi e vincoli imposti dall’alto.
Il punto di partenza è contraddistinto da “tanta incoscienza ma con un credo molto forte”, mi spiega sempre la padrona di casa.
Cristina è un flusso ininterrotto di sorrisi, racconti, cambi di rotta e repentini andirivieni fra cantina e sala degustazione, una corsa alla scrivania per stampare una bolla e una fuga a servire un cliente arrivato, improvviso, a prendere del vino. Mi confida però che “il lavoro burocratico è quello che sopporto meno; ho iniziato lavorando in vigna e poi in cantina. Oggi le cose da fare sono tante, le vendite vanno, quindi devo seguire io tutto il lavoro in ufficio. Una segretaria mi farebbe comodo ma siamo una realtà familiare e bisogna arrangiarsi.

Cantrina si presenta ai nastri di partenza con un tridente composto dal Riné, dal Nepomuceno e dal Sole di Dario. Sono questi tre gli alfieri con cui inizia nel ‘99 in modo ufficiale il suo percorso. Il primo è un bianco dalle suggestive ascendenze nordiche complice la maggioritaria presenza di riesling, al quale si aggiungono oggi un saldo di chardonnay e di incrocio manzoni.
Il Nepomuceno, fino al 2004 100% merlot, è un vino rosso dato dalla sintesi di merlot come attore protagonista, marzemino e rebo nella parte di due caratteristi che sanno recitare alla perfezione il proprio ruolo. Un vino dove la struttura non è mai soverchiante, in cui la capacità di beva rimane intatta così come una naturale capacità di evolvere.
Infine il Sole di Dario. “È il vino a cui sono più affezionata”, mi rivela Cristina, un passito dove sauvignon, semillon e riesling creano una polifonia aromatica di confettura d’albicocca, mielosa e candita, con un assaggio di memorabile tensione fra la pars zuccherina e quella acida. Un vino quest’ultimo che non scimiotta il classico vino dolce da fine pasto, ma è una variazione originale, dalla struttura intensa ma senza cedere un grammo di freschezza e agilità gustativa.
Gli inizi ovviamente non sono stati semplici“, continua, “giravo con i miei vini per i ristoranti e tanti non volevano neanche assaggiarli.”
Sorprendentemente i primi a darle credito sono alcuni stellati, forse meno condizionati dalle sabbie mobili delle tradizioni locali. Qui, nell’entroterra bresciano del Lago di Garda, il mondo del vino iniziava e finiva con il Groppello, versione in rosso o Chiaretto.
Quello che sorprende, approfondendo la piccola cosmogonia portatile di Cantrina, citando un altro titolo di Queneau, è l’assoluta libertà che ne ha contraddistinto fin dai primordi la produzione dei vini. Nessun debito da saldare con il territorio, Cristina ha preso la sua strada, impervia a volte, e ha tirato dritto. “Ho sempre cercato di privilegiare la qualità sopra tutto, cercando di estrarre il meglio da queste uve in concordanza con il territorio di provenienza”, spiega questa vignaiola indomita.
Basti a conferma di quello appena scritto il fatto che il primo Chiaretto, vino-totem della denominazione, ha visto la luce solo nel 2018, praticamente vent’anni dopo la nascita della cantina mentre la personale versione di Groppello arriva nel 2008.
Sia ben chiaro, non si tratta di spavalderia o di mettersi nei panni del bastian contrario ad ogni costo, quanto piuttosto il rinnovato approssimarsi del motto di casa, libertà di fare secondo il proprio credo seguendo la corrente. Libero esercizio di stile, appunto. Repetita iuvant.

Et Groppello Valtenesi

Il Sol dell’Avvenire

Una visita a Cantrina rischia di trasformarsi in un vortice denso di immagini, di citazioni artistiche, di percorsi battuti e deviazioni inaspettate. Ma c’è un simbolo che ha catturato fin da subito la mia attenzione, insistente nel volersi mostrare e decifrare. Un sigillo che torna spesso nelle vicende di Cantrina, il Sole.
Mi sono chiesto cosa rappresentasse quel sole nascente, quell’emblema che fa capolino al di sopra del nome aziendale, facendosi logo, in una rivisitazione moderna di un araldo cinquecentesco.
Poi nel cercare un significato inciampo in una azzeccata perifrasi del vino, copyright Galileo Galilei, come “sole imbottigliato”, unione di “umore e sole” e allora tutto si tiene. Perché se il vino diventa questo, un emanazione solare chiusa in bottiglia, il Sole che campeggia ubiquo sul mondo-Cantrina è il miglior viatico ai vini prodotti, lo abbiamo già incontrato nel passito che qui viene prodotto, Il Sole di Dario per l’appunto, ma è anche il sole mediterraneo che su queste colline moreniche si fa liquido fermentato.

Nel decifrare i vini di Cantrina ho cercato una definizione che ne potesse racchiudere l’essenza, una formula magica che potesse sintetizzarne l’anima.
L’ho trovata in vini-farfalla, così scritto, un’unica parola, sarà poi chi legge a decretarne l’efficacia o meno.
Ma trovo che sia pertinente, basti a dimostrazione l’assaggio del Groppello 2016 e 2018, entrambi succosi, entrambi animati da una leggerezza fruttata, più vivace e pepato il primo, più terroso e dai contorni di frutto scuro il secondo. Un vino privo di qualsiasi zavorra stilistica, con quel rubino evanescente e quella tenue nota di spezia che mi rimandano ad un Pinot nero in miniatura ogni volta che lo bevo.
I vini di Cantrina giocano sul filo di un equilibrio che, mentre con il piede destro misura i passi dell’eleganza e della sottigliezza con il sinistro si sposta lungo il crinale della durata, della possibilità di invecchiare senza sfiorire. Leggeri e trasparenti come una farfalla ma dalla intrinseca struttura che gli permette di volare a lungo senza subire alcuna flessione.

Alla fine la mattina si srotola veloce intorno ad una tavolo, con bottiglie che via via riempiono lo spazio, un taccuino che alla fine rimarrà praticamente in bianco, bicchieri versati e già svuotati che danno la cadenza alle chiacchiere e alle parole. In mezzo a tutto ciò i racconti di Cristina mi aiutano a ricostruire la “picciola historia” di questo angolo di Valtènesi.
Oltretutto il 2019 è stato un anniversario importante, si sono festeggiati i primi vent’anni di Cantrina e l’occasione è stata propizia per celebrarli riavvolgendo il nastro con una verticale dei tre vini da cui tutto è partito, Riné, Nepomuceno e Sole di Dario. “Ma è stata più un ritrovarsi fra vecchi amici e qualche giornalista che una vera celebrazione in pompa magna“, stigmatizza lei. Mi candido subito alla prossima adunata.
In ogni caso dopo vent’anni si possono tirare le somme e volgere uno sguardo al tempo passato senza retorica ed enfasi. Lo sguardo si relativizza, si prendono le giuste misure alle cose e si decreta che non esiste solo il vino nella vita, si certo è importante, ma non è l’unica cosa.
Nei miei primi vent’anni di esperienza, mi illustra con ironia Cristina, “sono partita da una fase entusiastica, di grande energia. Oggi ho capito che non c’è solo il vino, nonostante questo modo di vivere ti investa completamente, ci sono altre passioni, così come altre vanno e vengono, perché concentrandosi troppo su una cosa sola si rischia di perderne altre e di non mettere a fuoco tutto quello che sta intorno.”

Prima di salutarci mi rivela una cosa, semplice se vogliamo ma, a mio giudizio, ricca di significato e che con il vino non c’entra nulla. Mi svela che il suo sogno sarebbe quello di vivere al mare un giorno.
Ripenso a questo desiderio e lo collego alla frase da cui tutto è iniziato, libero esercizio di stile, e immagino che, sostituendo vita con stile, si ottenga un comandamento profano che aiuterebbe a vivere meglio applicandolo giorno per giorno. O almeno con Cristina penso che abbia funzionato.

4 Commenti

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Renato Salvatici

circa 4 anni fa - Link

Mi scuso se il mio commento non ha nessuna attinenza con l’articolo ma sono rimasto molto turbato dalla triste foto della cena degli auguri del presidente del consiglio con tutti i ministri senza un sola bottiglia di vino , ma solo acqua liscia e gassata. Probabilmente non era il caso di bere e far vedere Sassicaia, ma almeno il vino della casa si.

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Gigi

circa 4 anni fa - Link

Faccio i complimenti per l'articolo. Massimiliano, lei scrive molto bene, ma soprattutto de-scrive in modo coinvolgente la passione e le sensazioni che la accompagnano in queste piccole esplorazioni. Nel frenetico e superficiale mondo in cui siamo immersi pochi si prenderanno il tempo di leggere ciò che è stato scritto con passo lento e preciso. La ringrazio a nome dei suoi pochi lettori, sperando anche io di vivere al mare, un giorno

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Cristina

circa 4 anni fa - Link

Sono perfettamente d accordo con te, trovo incantevole il modo di scrivere di Massimigliano, é cosi fuori dall ordinario, é stato attento e profondo nel cogliere i dettagli, non ha dato nulla per scontato, ha raccontato le sue impressioni conferendo una luce straordinaria alla mia esperienza, ha arricchito la mia consapevolezza. Credo che sia l articolo più bello che mi sia mai stato dedicato. Grazie di cuore .

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HappyWiners

circa 4 anni fa - Link

Abbiamo scoperto Cantrina al recente Mercato dei Vignaioli FIVI a Piacenza. Azienda davvero molto interessante, con vini di personalità. Abbiamo anche fatto una recensione del loro Zerdì, vino rosso fermo, 100% rebo.

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