Giacomo Baraldo, dal giro del mondo alla Valle Senza Nome
di Tommaso CiuffolettiLa Valle senza nome
“Al gigante scappava da cacare e così poggiò una chiappa sul Monte Amiata, l’altra sul Monte Cetona e cacò Radicofani”. Certo la mitologia di queste parti non ha toni eccessivamente epici, ma se da San Giovanni delle Contee guardate verso nord, la vista si apre a perdita d’occhio sulle valli del fiume Paglia e del fiume Fiora. Ad incorniciare quest’ampia scena si vedono proprio 3 cime (con quelle ai lati che svettano più alte di quella centrale) e che sono, da ovest a est: l’Amiata (1.738 metri, la cima più alta della Toscana), poi Radicofani, la collina su cui sorge la rocca che fu imprendibile ai tempi di Ghino di Tacco, e infine il Monte Cetona, 1.138 metri d’altitudine, su cui si trovano antichissime tracce di presenza umana e le sorgenti del fiume Orcia, che nel suo corso disegna la campagna più elegante del mondo.
Questa che s’apre ad una vista che conosco da sempre, è una strana terra, che nel giro di pochi chilometri attraversa i confini di Toscana, Lazio e Umbria, correndo dai versanti sud dell’Amiata, passando sotto Radicofani e arrivando ai piedi del Monte Cetona. Antonio Leotti, scrittore e sceneggiatore, gli ha dedicato un libro dal titolo inequivocabile “Nella Valle Senza Nome”, chiarendo che “non è uno scherzo badate, è proprio una zona che, probabilmente a causa della sua irrilevanza storica, non ha un nome”. L’osservazione pare fondata, anche se a parer mio, questa terra una sua rilevanza storica l’ha avuta, ma la gente qua è sempre stata talmente povera ed impegnata a vivere giorno per giorno, che non ha mai avuto troppo tempo per pensare ad un nome.
Si tratta di una terra fatta di morbidissime colline con prevalenza d’argilla, i cui fianchi scivolano all’improvviso in quelle celebri crete che da queste parti son chiamate anche “cretoni”.
Argilla, limo e qua e là, affioranti, tracce calcaree. Quanto basta per far storcere il naso alla vasta schiera dei tanti geologi da degustazione. “In realtà – mi spiega il ragazzo che ho di fronte – qua il terreno, oltre i 570 metri circa, cambia. Sì di base è argilloso, ma salendo sul Monte Cetona c’è un rimescolamento di elementi diversi, con spessi blocchi di roccia calcarea… d’altronde se ci pensi, il blocco che arriva fino al monte Cetona è lo stesso blocco Giurassico delle montagne del Jura”. Ed allora diciamo subito che il naso lo si può tranquillamente raddrizzare e portare ad un bicchiere di Bossolo Sangiovese, e sangiovese serissimo, fatto da un ragazzo che ha poco più di trent’anni, ma parla pesando ogni parola come una persona molto più saggia della sua età.
Il Bossolo nasce a due passi dal borgo di San Cascian de’Bagni*, esattamente ai piedi del Monte Cetona.
“La prima prova è stata nel 2011, vinificando insieme sangiovese e cabernet per sole 50 magnum. Poi l’anno dopo ho aggiunto il merlot e così anche per la 2013. Dalla 2014 ho separato il sangiovese, facendone un vino a parte, ma continuando a chiamarlo Bossolo. Dalla 2015 ho reso più netta la separazione e adesso Cabernet e Merlot vanno in un vino che si chiama Bossolotto ed il Bossolo è rimasto solo sangiovese”. Non stiamo parlando di grandi numeri “Dalla 2017 ci saranno 1.700 bottiglie di Bossolo”, ma di sicuro, come dice Andrea Gori, questo “è l’unico angolo di Toscana non ancora scoperto dalla critica mainstream […] luogo selvatico ma ricco di possibilità”. E per iniziare a scoprirlo, questo del Bossolo è il filo più interessante da tirare.
Il mondo
Perché a realizzare questo vino è quel ragazzo di cui sopra: Giacomo Baraldo, uno che ha iniziato a lavorare ancor prima di finire gli studi e che, se vicinissimo a casa ha fatto una vendemmia a Trinoro (la tenuta di Andrea Franchetti che poi col cugino Carlo ha iniziato a produrre pinot nero proprio nei dintorni di San Casciano), ha poi preso a girare il mondo per vigne e cantine. Me lo racconta nel suo modo attento, mentre siamo seduti in una delle sale del bar/ristorante/enoteca che la sua famiglia gestisce nella piazza più bella di San Cascian de’Bagni. Col bar che risale agli anni Venti, “ai tempi era una classica vineria con giusto un po’ di caramelle e noccioline per i bambini”, e con la ristorazione vera e propria che i genitori di Giacomo hanno iniziato negli anni Ottanta**.
“Nel 2012, dopo che mi sono laureato, volevo viaggiare. Così, ho rifiutato una bella offerta qua in Italia e sono andato a Bordeaux, nelle Graves, dove sono stato 3 mesi. Sono tornato in Italia, ma ormai avevo preso una strada che mi portava fuori e così sono tornato a Margaux, per poi iniziare la tiritera delle due vendemmie all’anno. Finché non m’è arrivata una chiamata dalla Borgogna, da De Montille, dove avevo già lavorato nel 2014 e 2015, facendo cantina e potatura. Nel 2016 il loro aiuto-enologo stava lasciando l’azienda e così mi hanno chiesto di andare su”.
Della Borgogna parla con gratitudine – “lì ho imparato a lavorare coi bianchi, con le fecce, i travasi, le sfecciature, ho imparato ad annusare le botti di rosso” – e gli chiedo di raccontarmi di ogni posto dov’è stato durante, come la chiama lui, la tiritera. La Nuova Zelanda (dove tuttora collabora con l’azienda Greystone, sulle Omihi hills vicino Christchurch), “lì ho imparato a fare i vini come avevo studiato all’università, in modo molto preciso e utilizzando questa tecnica della fermentazione in vigna, che poi ho usato anche qui”. La Patagonia, “beh lì ho imparato a non fare troppo affidamento sugli altri! E a fare delle vinifcazioni a strati, ovvero con grappoli interi e diraspati sovrapposti su più strati … cosa che peraltro ho provato a fare anche qui”. Ripete questa frase per la seconda volta e penso che nel suo caso, parlare di “bagaglio d’esperienza” non sia solo una formula retorica.
Chiude il tour tornando a Bordeaux: “anche lì mi sono capitati vini più didattici, ma intanto ho imparato il francese. E non è poco”.
Giacomo Baraldo
“A me, più di tutto piace la potatura. In questi giorni sono qui che fremo, ma devo lavorare al bar e non posso”. Perché al netto dei viaggi e delle collaborazioni dall’altra parte del mondo, Giacomo sta costruendo qui la sua vita di vigneron sancascianese. “Su, dove ti dicevo prima, lungo un costone del Monte Cetona, ad una bella altitudine, metterò una selezione di Pulcinculo fatta da due pergole che sono proprio qui, sotto la piazza, per farci un macerato (a maggio usciranno le prima 240 bottiglie di macerato, 2017, “Il Pergola” ndr). E poi una selezione di chardonnay che ho fatto in Borgogna, per farci un borgognone in stile classico, fermentato in botte”.
Si dilunga in particolari tecnici che sovrastimano le mie reali conoscenze, ma quello che capisco è che lui ha una visione di ciò che vuole. Curiosità e visione, in un territorio così vergine che t’invita a scoprirlo. “Ho preso altre due vigne tra qui e il paese di Piazze”. Immaginatevi una strada di sole curve che seguono il profilo di un fianco ripido del monte Cetona in direzione di Chiusi e dell’Umbria, attraverso una stretta valle di boschi che corre da sudovest a nordest. “Lì in mezzo ad un bosco c’è un vigneto che è stato tenuto mica tanto bene, ma è bellissimo e se riesco a riprenderlo… Sono 1.400 piante di impianti fatti a Chianti, un po’ di sangiovese, colorino, canaiolo, trebbiano e malvasia. Ma ti dico che ci sono parecchie piante a piede franco e si tratta di viti che hanno almeno 50 anni”. L’altro vigneto sono “nove filaretti, più avanti lungo la strada, in una zona chiamata Vecciano, da cui per ora ho tirato fuori 3 barrique”. Entrambi i vini da queste vigne usciranno con l’annata 2018.
Anche se poi il cuore del suo lavoro è Il Bossolo. Che ha le proprie vigne intorno alla casa in cui Giacomo vive, ai piedi di San Casciano. Poche centinaia di metri dal punto in cui si trovano alcune antiche vasche in pietra che raccolgono l’acqua delle vicine sorgenti termali. Un’acqua diversa da quella, ad esempio, di Saturnia (che è a base di zolfo) e che raggiunge i 39°, influendo in modo localizzato anche sul microclima del posto (e dove, più prosaicamente, si trascorrevano da ragazzi, tante notti d’estate e d’inverno).
Quella casa, che avevo visitato qualche tempo prima, è piena di libri e dischi che potrebbero essere i miei, non fosse che lui ascolta più jazz. E scorrendo tra gli scaffali i cd di Fela Kuti e i libri della Yourcenar, pensavo come dev’essere girare per tanti posti nel mondo e poi tornare lì. In una Valle senza nome, che nel non averlo, ha tanto del proprio fascino.
Lo stesso dei vini di Giacomo, che promettono davvero d’essere il filo da tirare per raccontare una storia nuova in una terra che è rimasta sempre tanto nascosta.
* Meraviglioso borgo medievale e luogo di culto, curiosamente più romano, che toscano. La sua bellezza di borgo splendidamente conservato, le sue calde acque termali (a rammentare la vivacità vulcanica di tutto il comprensorio) e il suo clima dolcemente ventilato, appassionano tanti celebri attori, scrittori, politici, produttori, giornalisti che salgono periodicamente dalla capitale.
** Sale di pietra a vista, semplici ed elegantissime, che mi piacevano talmente tanto che quando lavoravo a Roma e tornavo a San Giovanni, prendevo il treno fino a Chiusi e rubavo un passaggio in macchina fino a San casciano solo per andarci a pranzo e mangiare i tortelli col piccione.
7 Commenti
Sandra L. Ballerini
circa 5 anni fa - LinkCosa posso commentare? Viene voglia di montare in auto e venire a vedere i luoghi che descrivi e fermarsi nel ristorante di Giacomo per far godere gli occhi e il palato.
RispondiTommaso Ciuffoletti
circa 5 anni fa - Link<3
RispondiFranco
circa 5 anni fa - LinkComplimenti!! Grazie per gli stupendi riferimenti storici... la storia di Ghino di Tacco potrebbe benissimo diventare una serie tv stile games of thrones
RispondiTommaso Ciuffoletti
circa 5 anni fa - LinkGrazie Franco!
RispondiMichelangelo
circa 5 anni fa - LinkPiccola nota che nulla toglie all'interessante narrazione: l'Amiata non e' la vetta piu' alta della Toscana ma solo della Toscana del sud.
RispondiTommaso Ciuffoletti
circa 5 anni fa - LinkCavolo hai totalmente ragione Michelangelo!
RispondiAle
circa 5 anni fa - LinkCome si fa per acquistare questo vino così sconosciuto?
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