Galestro, macigno e sabbia. Il sangiovese del Chianti Classico della Berardenga nasce quasi tutto così

Galestro, macigno e sabbia. Il sangiovese del Chianti Classico della Berardenga nasce quasi tutto così

di Andrea Gori

Ce l’hanno insegnato durante Classico Berardenga, la manifestazione curata dall’associazione di produttori di Chianti Classico. All’interno del convegno, cui ha fatto seguito un nutrito banco d’assaggio nelle belle cantine sotterranee della Certosa di Pontignano, si sono succeduti interventi centrati e interessanti. Due in particolare molto illuminanti.

Nel primo Monica Larner ha sottolineato quanto sia importante l’impronta territoriale, all’interno di denominazioni così grandi (stiamo parlando di migliaia di ettari, e quasi 30 milioni di bottiglie), per aiutare ad orientare il consumatore. Nel secondo, su cui vogliamo concentrarci, Leonardo Bellaccini, enologo e direttore tecnico storico di Agricola San Felice, ha portato i risultati teorici e pratici (assaggi, cioè) di alcune micro vinificazioni di sangiovese su diversi suoli della Berardenga. I vini provenivano da aziende differenti, ma la vinificazione era simile (acciaio e cemento, breve sosta in legno grande) e tutti dall’annata 2016, un’annata classica con punte di eccellenza, né troppo fredda o piovosa né troppo calda.

Secondo Bellaccini si tratta di micro territori che si ripetono in pattern simili, in diverse zone della Berardenga, ma le proporzioni sono diverse a seconda delle aziende che hanno, spesso, un mix bilanciato dei tre suoli. Ci sono (poche) aziende che poggiano quasi solo su galestro/alberese, mentre la maggior parte hanno una prevalenza di macigno e sabbia con zone a galestro. Se ne deduce che le caratteristiche riconoscibili, e fortemente caratterizzanti dei vini della Berardenga, al netto dei vitigni complementari e della vinificazione (che comunque non può alterare più di tanto il risultato della vigna), sono un mix delle caratteristiche dei tre suoli, variando tra loro in base alle diverse percentuali di sangiovese che nasce dai diversi suoli: sabbia, macigno e galestro/alberese.

sabbie suolo berardenga

Le sabbie dei depositi marini sono suoli dove biomassa e respirazione microbica sono tra le più alte, c’è un buon drenaggio e ritenzione idrica che limitano e tamponano gli stress idrici (come nell’annata 2017). Sono terreni che danno vini con note vegetali piacevoli, ben in evidenza, che si amalgamano bene con i sentori di ciliegia e viola varietali del sangiovese, portandolo ad un esito meno intensamente fruttato e corposo di altre zone con note di sottobosco e humus gradevoli. Ma freschezza e intensità sono comunque ben rilevabili.

macigno berardenga

Il macigno (o meglio, sabbie e macigno) consiste in suoli sabbioso-scheletrici molto poveri di sostanza organica, azoto o biomassa microbica. Questi hanno un buon drenaggio e sono soggetti a stress idrico in condizioni stagionali molto aride. Le uve che si ottengono sono caratterizzate da brix medio-bassi, bassa acidità totale, polifenoli e antociani inferiori alla media. Alla degustazione i vini sono pronti già da giovani, con buona intensità aromatica (soprattutto amarena, marasca, mela rossa, lampone e fragole) e una discreta freschezza – vini quindi importanti, in un blend che deve, già nei primi mesi, appagare il consumatore (e il critico).

galestro berardenga

Il galestro (o alberese) è decisamente il suolo più pregiato – o meglio, quello in cui si ottiene il sangiovese più ricco di polifenoli e capace di vette di finezza e longevità importanti. Sono suoli argilloso-scheletrici, calcarei, poveri di sostanza organica e biomassa microbica. Hanno buon drenaggio, solo discreta capacità di ritenzione idrica che determina stress idrici più pericolosi che in altri suoli. I vini hanno brix, acidità e antociani più alti della media, con vini di ottima struttura, colore, gradazione e caratteristiche che li pongono al di sopra di tutti gli altri sottosuoli se parliamo di struttura, longevità e finezza.

Da questa analisi si potrebbe dedurre che le migliori aziende, o almeno le più blasonate, abbiano sotto le loro vigne soltanto galestro, mentre in realtà il mix vincente, come in una grande cuvée, spesso è l’unione delle diverse componenti in base agli esiti dell’annata. Pronti ad essere smentiti, ma ad esempio in un’annata calda e siccitosa come la 2017 nella Berardenga (che ricordiamo, è il comune più a sud e caldo del Chianti Classico) difficilmente avremo grandi vini da invecchiamento e alta qualità dal sangiovese cresciuto sul galestro, che avrà bisogno di macigno e sabbia per dare vini almeno sul breve-medio periodo piacevoli e intriganti. Ma anche in un’annata come la 2016, bicchiere alla mano, mescolando vini dei tre suoli si otteneva, non sorprendentemente, un risultato ben più interessante e completo rispetto al solo alberese. Che sempre e comunque è il suolo principe per la varietà italiana più importante.

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

3 Commenti

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Salvo

circa 6 anni fa - Link

Andrea, spiegaci un attimo. Se la chiave sta nel "mescolare" adeguatamente i risultati dei vari terreni, in parti diverse in base all'andamento climatico dell'annata, che vantaggio avremmo a ridisegnare i confini interni del Chianti secondo sub-appellation che mettano in evidenza una zona piuttosto che un'altra? Io, piuttosto, preferirei un piano di identificazione stile Bordeaux, con una classificazione dei castelli piuttosto che delle aree. L'impronta territoriale suggerita da M. Larner potrebbe non esser sufficiente a garantire delle classificazioni interne accolte univocamente da tutti e soprattutto idonee a generare un supporto al consumatore non esperto, specie se è estero e si trova a comprare fuori dai confini italici. Cosa ne pensi e aiutami a capire se mi sbaglio.

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Andrea Gori

circa 6 anni fa - Link

Secondo alcuni produttori (uno per tutti, Badia a Coltibuono) la variabilità intracomunale sarebbe altrettanto elevata che quella intercomunale e di fatto annullerebbe la suddivisione in zone così come immaginata anche dalla Larner. In pratica però ci sono fattori microclimatici che si stanno accentuando e che al giorno d'oggi cambiano e non poco l'espressività del sangiovese che non può essere ricondotta solamente al suolo su cui cresce. E in ogni caso il rapporto medio tra alberese, macigno e sabbia dei vari comuni resta diverso e particolare il che comunque, unito alla mano e alle consuetudini delle varie zone, può comunque avvalorare la suddivisione. Suddivisione che in ogni caso rimane per una certa componente arbitraria pur aiutando a sbrogliare la matassa quando si voglia catalogare e ordinare gli assaggi in qualche modo.

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Roberto Stucchi

circa 6 anni fa - Link

confermo quanto riferito da Gori: per me la variabilità all'interno di molti comuni del Chianti Classico è ampia, ma questo indica la strada da seguire per delle Menzioni Geografiche in Chianti. Non basta la suddivisione in Comuni ma serve definire delle Menzioni di "Villaggio" o frazione. Poi un dubbio: Galestro è un tipo di roccia scisto-argillosa, Alberese una pietra calcarea... non capisco la sovrapposizione.

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