Fonterenza a Montalcino, la bellezza delle piccole cose

Fonterenza a Montalcino, la bellezza delle piccole cose

di Samantha Vitaletti

“Le favole dove stanno? Ce n’è una in ogni cosa: nel legno del tavolino, nel bicchiere, nella rosa…”

Ci scommetto, Gianni Rodari non si riferiva al calice a tulipano dallo stelo lungo, ma è certo che a cercar favole lì, difficilmente si rimane delusi. Quale sia il mio rapporto con le storie dei vini è presto detto, basta considerare le diverse varianti: può capitare, per esempio, che io venga a conoscenza della bellissima storia di una cantina e trovi obiettivamente altrettanto belli i suoi vini. In questo caso mi sento molto felice, trovo una corrispondenza tra creatore e creatura che mi appare assolutamente logica e conseguente. In un caso diverso può capitare che un vino di cui non so niente e che assaggio per la prima volta non mi piaccia affatto ma che il bel racconto dalle sue origini mi faccia ricredere almeno un po’. Questo è il caso in cui mi sento discretamente disonesta e anche abbastanza in colpa, conscia di buttare alle ortiche qualunque pretesa di coerenza e obiettività. Poi c’è la variante numero tre, quella per me più bella: assaggio un vino di cui non so niente e me ne innamoro, scoprendo in seguito che quello che si porta dietro è altrettanto coinvolgente.

Ed è quello che è accaduto incontrando, in momenti diversi, prima i vini di Fonterenza e poi chi li fa.

Fonterenza è un’azienda di donne: Silvana, che nel 1975 viene da Milano ad acquistare quella terra che da tempo conosce bene e ama, e Margherita e Francesca, che di quella terra faranno il loro lavoro e la loro vita creando la spina dorsale di un’azienda fatta di ricerca continua e continuo superamento dei propri limiti. Le prime vendemmie le vedono, ai primi passi con la gestione della vigna, con le prime raccolte e con le prime vinificazioni (anni 2002 e 2003), avvalersi dell’esperienza e dei consigli di figure di grande spessore del mondo del vino per poi scegliere di proseguire da sole, perseguendo l’obiettivo di un vino naturale il più possibile, in tutti gli stadi della sua genesi. Negli anni continueranno a seguire la linea del minore intervento possibile, sceglieranno la via dell’agricoltura biologica e poi la biodinamica, studieranno da sole, e tutt’ora lo fanno, trattamenti adatti ad ogni singola pianta, libere da etichette e categorie. Alla base della loro costante e instancabile ricerca c’è l’idea di un vino che sia il frutto dell’equilibrio delle caratteristiche della vite, di quelle della terra che la ospita e della mutevole situazione climatica.

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Qualche sera fa, a Porthos, Silvana, Margherita e Francesca hanno portato la loro storia insieme a questi vini:

Pettirosso 2016
Sangiovese e ciliegiolo in questa annata, uve che provengono da un viticoltore di Cinigiano insieme a quelle dei loro vigneti di San Polo. È il loro vino più immediato, quello giovane, l’apripista, quello che hai voglia di bere e ribere in compagnia e la cui fine arriva inevitabilmente troppo presto. Bottiglia accogliente e pulita da subito, floreale, sanguigna e salata. Di sostanza, rassicurante e, mi si permetta: di buon umore.

L’Alberello 2015
Un Rosso di Montalcino da vigneto sangiovese ad alberello impiantato nel 2005 e vinificato separatamente. Vino profondo, animato, vivo. Complesso nella sua immediatezza, si aggrappa alla lingua, lunga persistenza di sale e di affumicatura su diversi strati di agrumi. Un vino fisico e gustoso che inizialmente inganna, apparendo diretto e immediato, per poi svolgersi sulla lingua liberando complessità e persistenza inattese.

Rosso di Montalcino 2008
Serio e complesso, profondo, scuro, di radici, di china, estremamente cangiante ad ogni riassaggio ma dai movimenti lenti e sinuosi. A qualcuno è sembrato stanco. A me è sembrato solo pacato, lento ma comunque mobile e sinuoso nella sua lentezza. Tannini croccanti come fosse un giovinetto.

Brunello di Montalcino 2007
Un intreccio di sapori, un vino gustoso fatto di spigoli di sale, di acuti d’agrumi addolciti da rotondità e curve di caffè, di liquirizia e di cacao. Dondola come fosse su un’altalena passando da un trillo allo schiarirsi di una voce tenorile. Profondo e potente senza cenni di stanchezza né di sovrappeso.

Il Lupo 2008 Cabernet Sauvignon, I.G.T. Toscana (bottiglia bevuta qualche sera dopo a casa)
Vigna impiantata nel 2002 e sovrainnestata a sangiovese nel 2012. L’ultima annata prodotta è stata la 2011. È leggiadro questo Cabernet Sauvignon e accosta allo spessore e alla robustezza una grande bevibilità e la decisa agilità del fil di ferro. Sanguigno e carnoso, piccoli frutti scuri, frutta da guscio e pepe nero. Punzecchia la lingua e la avvolge, eccitante e al contempo consolatorio.

Il filo rosso che si riconosce nitidamente è contenuto in una parola e in ciò che essa, prima ancora di significare, accudisce: leggerezza. Che non è mancanza di serietà, non è riso garrulo, tantomeno è taglia 40 e scapole in vista. È capacità di mutare e, mutando, di rinnovarsi continuamente e costantemente; di farlo senza provare né esprimere fatica, con i muscoli ben tesi e, laddove lo siano meno, di far proprie le qualità di una ballerina in carne capace come nessun’altra di farsi tutt’uno con la musica. Perciò, “liberatevi della zavorra, uomini! Lasciate che l’imbarcazione della vostra vita sia leggera, carica soltanto di quello di cui avete bisogno: una casa accogliente e qualche semplice piacere, un paio di amici degni di questo nome, qualcuno da amare e che vi ami, un gatto, un cane, e una o due pipe, cibo e indumenti a sufficienza e da bere in abbondanza, perché la sete è una compagna pericolosa.” (J.K.Jerome – Tre uomini in barca).

Liberiamoci, soprattutto, della facile retorica che racconterebbe questi vini come i vini delle donne, delle graziose mani femminili, dell’addio alla mondanità per la scelta bucolica nella splendida cornice. Siamo liberi e leggeri, anche nell’assaggio, facciamo che la favola sia davvero in ogni cosa:” nel legno del tavolino, nel bicchiere e nella rosa.” E se proprio è difficile vederla forse è solo perchè: “E’ lì da tanto tempo e non parla: è una bella addormentata e bisogna svegliarla.”

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Samantha Vitaletti

Nascere a Jesi è nascere a un bivio: fioretto o verdicchio? Sport è salute, per questo, con sacrifici e fatica, coltiva da anni le discipline dello stappo carpiato e del sollevamento magnum. Indecisa fra Borgogna e Champagne, dovesse portare una sola bottiglia sull'isola deserta, azzarderebbe un blend. Nel tempo libero colleziona multe, legge sudamericani e fa volontariato in una comunità di recupero per astemi-vegani. Infrange quotidianamente l'articolo del codice penale sulla modica quantità: di carbonara.

2 Commenti

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Silvana Biasutti

circa 6 anni fa - Link

(Silvana) Scrivo, incantata da questa recensione, per obbligo di verità e correttezza nei confronti delle figlie. Dunque io sono la madre, solo "solo" la madre, però mi attribuisco un merito d'origine, che forse non è poco; magari è poco qui tra la gente del vino o che di vino sa. Il mio merito è solo quello di avere scelto la terra, quando avrei potuto scegliere altro, in modo - secondo me - più miope, ma che le mie figlie, e altri che le o ci conoscono, potrebbero anche riconoscere come scelta di un certo coraggio. Per una di città, vissuta sempre in mezzo alla carta, alla gente che scrive, alla pubblicità, al mondo dei libri ... E quello che mi preme dire, affinché lo si sappia nel modo più allargato possibile, ho scelto la terra per via del paesaggio (infatti il vino è cosa loro, nel senso che non so nemmeno quante bottiglie facciano). Ancorché Montalcino fosse già piuttosto Montalcino, a me piaceva il luogo (da trent'anni prima), per via del mosaico, del susseguirsi, dell' incalzare di paesaggi che mutano di stagione in stagione e ad ogni variabile di luce . Questo mi premeva si sapesse, perché so che è un sentimento condiviso da Francesca e da Margherita. Grazie per questa smagliante recensione e per aver usato il verbo "dondolare" per il Brunello di Fonterenza.

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Emanuele

circa 6 anni fa - Link

Com'è bella, questa precisazione.

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