Ezio Rivella può aiutare Barolo e Barbaresco in un modo solo: rimanendo a Montalcino

di Alessandro Morichetti

“Le tradizioni sono palle al piede, servono al massimo come ancoraggio storico”. “Le flessioni di mercato del Brunello di Montalcino dopo Brunellopoli? Vaneggiamenti di giornalisti che si sono masturbati”. “Qualità è quello che piace. Chi vende ha ragione. Chi non vende non ha niente da insegnare”. “I blog si autoincensano, ci sono dietro degli incompetenti”. Oltre 100 minuti di questa solfa e sono ancora vivo, deve essere un miracolo. Ma andiamo per gradi, così anche mia mamma segue il ragionamento perché c’è tanta di quella ciccia che tra poco scoppio.

Il cav. Ezio Rivella – presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino e deus ex machina di Castello Banfi, azienda che ha esportato il brand Brunello nel mondo – è stato invitato ieri a Barolo per il primo dei cinque seminari (promossi da “Strada del Barolo e grandi vini di Langa” e “Vini del Piemonte”) sul tema: Piangersi addosso o reagire alle difficoltà? Tra crisi e competizione, uniamo le forze per affrontare il mercato. Niente di nuovo sul fronte occidentale: a questi ingenui barolisti serviva proprio una lezione di economia di mercato applicata al vino. E allora ecco: business is business, le tradizioni sono folklore, contano i bilanci e il resto è fuffa. Invece passione, amore per il vino, attaccamento alla terra e voglia di affermare un’identità nel mondo sono argomenti oscuri per Rivella, e dobbiamo farcene una ragione. Lui bada a volumi, fatturato, affermazione commerciale e brand funzionali al reddito, nient’altro. Tutta roba che sta fuori e intorno alla bottiglia; liquido odoroso, senso del luogo, terroir (chi?) e storia valgono zero.

In una platea delle grandi occasioni (circa 100 persone) c’era tutto l’arco costituzionale dei barolisti: da Maria Teresa Mascarello e Giuseppe Rinaldi ad Angelo Gaja, passando per Enzo e Oreste Brezza, Cristina Oddero, Federico Scarzello, Lorenzo Tablino, Eleonora Barale, Davide Rosso, Enrico Scavino, Michele Chiarlo e tanti altri che non conosco. Tutti ad ascoltare la ricetta di Rivella. Ho preso appunti ma la faccio breve: Rivella non è Satana. Rivella è il dio-mercato. Biondi Santi, a Montalcino, è stato, per decenni, più poesia che economia. Poche bottiglie, trasparenti e tipiche ma invendute, dure e pure ma sconosciute nel mondo. Poi arriva l’armata Banfi: colore, materia, struttura e marketing. Nasce un Brunello moderno, fortunato e vincente. Apre la strada a tutti: anche a Biondi Santi, che diventa il mito che non era. Se il mercato sono gli Stati Uniti, noi adottiamo uno stile californiano, disse Rivella: a Montalcino come a Barolo, in Napa Valley come a Loreto Aprutino. Sorvolo su quantitativi, ettari, parallelismi Montalcino/Barolo e roba del genere perché stiamo parlando di visione del mondo, filosofia di vita e sviluppo territoriale, non di estimo, architettura romanica, botanica e macroeconomia.

Ezio Rivella ha avuto dei meriti su cui riflettere. Ha creato un mercato. Non lo ha allargato o abbellito, lo ha creato. Il Brunello era una roba local fino a quando, con l’annata 1990, non raggiunge una notorietà mondiale. I mercati si aprono, si inventano. Non si arriva a vendere 9,5 milioni di bottiglie per caso, dall’oggi al domani. Questo, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, è un talento imprenditoriale indiscutibile di cui bisogna dare atto a Rivella e la sua orchestra. Poi, però, è necessario interrogarsi sul modello di sviluppo intrapreso. Invadere gli USA con quintalate di Nike o farlo con scarpe su misura da 1.000 euro ciascuna, prodotte artigianalmente a Casette d’Ete, non sono la stessa cosa. Traduco per gli enostrippati: Bordeaux e Borgogna sono due visioni del mondo diverse e poco conciliabili. Castelli vs. cascine, grandi dimensioni (300.000 bottiglie) contro piccole quantità (30.000 bottiglie), alterigia della nobiltà vs. apologia del cru. Da una parte taglio bordolese all around the world, dall’altra pinot nero hic et nunc, cravatta ed elicottero vs. cavalli e biodinamica. “Ci siamo informati, sono semplificazioni” (cit. Gentili & Rizzari), ma rendono l’idea.

Qualcuno mi corregga ma salire a Barolo invocando “Chateau” e “Bordeaux” per invadere la Cina è qualcosa di anti-storico e a-territoriale. Molto del resto è verissimo: ci vogliono idee chiare, una politica territoriale coordinata e pragmatismo. Non puoi pensare di esportare l’Alta Langa o il Carema. I tuoi gioielli sono Barolo e Barbaresco, devi costruire una politica chirurgicamente mirata su quelli e, a dio piacendo, il resto verrà da sé. Tutto bello e tutto vero ma i primi a doversi chiariare le idee, qui, sono proprio i produttori. Sono loro che devono focalizzare cosa mettono in bottiglia, come vogliono raccontarlo, a chi e perché.

Qual è il percorso di sviluppo da seguire? Qual è l’esempio vitivinicolo da prendere a modello? Come lavorare insieme? Al netto dei cuoricini scambiati a distanza con Ezio Rivella, su un aspetto ha ragione Angelo Gaja: “le assemblee servono e rendiamo onore al merito di chi le organizza”, sono i produttori a doversi confrontare per capire dove vogliono andare. Gli incontri pubblici aiutano a riflettere sulla prospettiva di crescita auspicabile per un territorio. Più Borgogna o Bordeaux? Più classificazione delle vigne o massaggio enologico? Tante domande su cui i langhetti dovranno meditare.

A seminario terminato, nel silenzio post-bellico, io sono un po’ triste. Mai come ora avrei avuto tante cose da chiedere a Renato Ratti – quello che per primo mappò cru di Barolo e annate –  ma è ormai troppo tardi. Magari oggi si sarebbe un po’ incazzato anche lui, chissà. Cerco il nome di Alessandro Masnaghetti (direttore di Enogea e autore delle carte dei cru) tra gli invitati ai seminari ma niente, non è nella lista: in compenso, ci saranno Enzo Vizzari, Sergio Miravalle, Maria Carla Furlan e Lamberto Vallarino Gancia. Per un attimo, fantastico di svegliarmi domani e trovare una bella segnaletica stradale che indichi cru ed estensione, come nei posti in cui varietà e terra fanno l’amore. Confuso, mi schiarisco le idee riascoltando l’idealismo gioioso e anarchico di Teobaldo Cappellano in un pomeriggio senese, sorrido pensando che Bartolo Mascarello avrebbe gioito di un’Italia finalmente deberlusconizzata e ricordo sottovoce quella preghiera che mi hanno insegnato da piccolo e che faceva all’incirca “… dacci oggi il nostro Monfortino quotidiano, ora e sempre, nei secoli dei secoli, amen….”.

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

140 Commenti

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she-wolf going back to history

circa 12 anni fa - Link

Altro che fiori per San Valentino, oggi voleranno pietre! spero che i commenti siano ottimi e abbondanti. Intanto una domanda ingenua se non sbaglio la Banfi, allora solo villa, in seguito promossa a castello, ha cominciato a operare a Montalcino nel 1979 e forse anche prima. Cosa ha fatto prima del 1990 "annata in cui raggiunge notorietà mondiale" (quindi uscita nel 1995)? Forse era troppo occupata a cercare di vendere il Moscadello o il Bell'Agio?

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Sir Panzy

circa 12 anni fa - Link

con gli occhi del blog vediamo il Cav. come il male peggiore. Ma senza quell'uomo.. Biondi Santi e mezza Montalcino, oggi, si facevano ancora le pippe.. Compreso quel produttore che cogliona i clienti non dichiarando più la vigna... Si, si.. il moscadello è stato un flop, pure quell'altro... va bene..si, poi lo scandalo.. bla! ma il resto? Davanti a questo "vecchio-moderno" io mi tolgo il cappello... Carta canta.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Io invece me lo tengo in testa, e me lo calco, anche.

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Sir Panzy

circa 12 anni fa - Link

Perchè?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

No, scusate, essere ignoranti è un diritto riconosciuto dalla Costituzione, ma qui si esagera. Non ero presente e mi auguro che quanto attribuito al cavalier Rivella non sia stato realmente pronununciato, perché un simile cumulo di falsità è inaccettabile. Può esserlo da parte di un privato cittadino, ma non da parte del presidente del Consorzio del Brunello che rappresenta me ed altri 230 rispettabili produttori. Questa "ricostruzione" della storia del Brunello é falsa in ogni punto e offensiva per i tanti che hanno lavorato per generazioni per il successo del nostro vino. Non entro nel dettaglio perché ogni singolo punto toccato é falso, inesatto e ingeneroso verso il territorio e tutte le persone che si sforzano e si sono sforzati di esserne un'espressione. Non vado oltre perché prima mi riservo di sentire la registrazione, mi auguro che non sia vero.

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she-wolf going back to history 2

circa 12 anni fa - Link

Mi piacerebbe leggere qualche altro intervento da parte di produttori di Montalcino che magari leggono, ma sono timidi. Come ha evidenziato Stefano Cinelli Colombini le affermazioni del Presidente del Consorzio del Brunello hanno un peso ben maggiore di quelle di un qualsiasi privato cittadino, guardacaso 10 giorni prima del Benvenuto Brunello.

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Il Cav. Mascherato

circa 12 anni fa - Link

Quando dice "essere ignoranti è un diritto riconosciuto dalla Costituzione" parla di lei stesso e dei suoi colleghi di Montalcino che hanno votato il Cav.? Scusi non capisco... Tutti contro, tutti a rinnegare, ma alla fine lo avete eletto presidente. Perchè? Ma davvero: Perchè???

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Eh gia, questa e' proprio la domanda da un milione di dollari. Rappresentanti, leaders, capi bastone che vanno contro le proprie istituzioni. Ho l'impressione che oggi sia una pratica, maledettamente, corrente.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Ci dovremo vedere in altre occasioni che il Benvenuto Brunello organizzato dal consorzio presieduto da questo personaggio, con Stefano e con gli altri produttori. Sarà un piacere, come sempre quando si sta tra persone non così ridicolmente proterve.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Giusto per precisare, il cavalier Rivella è stato il consigliere meno votato delle ultime elezioni. Ha avuto il voto di pochissimi produttori, e poi le proposte su cui ha basato la sua presidenza sono state regolarmente e sonoramente battute in assemblea. Come nel caso del taglio del Rosso di Montalcino, che ha avuto poco più di duecento voti su oltre ottocento.

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mirko favalli

circa 12 anni fa - Link

Io da appasionato spero solo che la formula che sceglieranno sia quella del rispetto tra di loro e quindi poi quella di avere un gruppo forte di vignaioli uniti nelle idee che diano al mondo una visione di quello che è la langa e il nebbiolo non omologato ma con differenze di personalita e carattere che rendano ogni bottiglia quello che è, unica

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Dan Lerner (@Dan_Lerner)

circa 12 anni fa - Link

Quando ce vo' ce vo' Alessando: bravò, un post maiuscolo.

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Francesco Fabbretti

circa 12 anni fa - Link

Aborro il pensiero unico e per paradosso sono felice che si sia svolto un incontro del genere, con queste tematiche così distanti dal mio pensiero. Vedremo quanti duri e puri sapranno resistere alle sirene ammaliatrici di una prospettiva più confortante. Ormai un acquirente comune nemmeno se lo ricorda lo scandalo del barolo, non sa che Barbaresco e Barolo dovrebbero essere nebbiolo 100%. Di fronte a un panorama ricettivo così distante dalle mie (e di tanti/pochi altri) aspirazioni epistemiologiche che fare? (Anche chi vende si pone certi interrogativi) Io la mia risposta la so già e la percorro quotidianamente tenendo a mente una frase, riportata anche su questo blog, una frase che Nonno Dettori ripeteva ad Alessandro: "il sole, quando sorge, sorge per tutti"

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

Francesco, come quasi sempre sono d'accordo.

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Gianpaolo Paglia

circa 12 anni fa - Link

Magari Rivella non e' il diavolo, magari e' di un altra epoca, dove quello che lui oggi rivendica come un successo, anche suo, non sarebbe piu' ripetibile. Quel modello li' - vino di gusto internazionale, santa alleanza con la supercritica enologica- oggi scricchiola e non poco. Se c'e' uno sviluppo sostenibile, come ci insegna la Francia che ha successo, e' quello che conta sulla forza del territorio, sulle differenze all'interno di un insieme omogeneo e comunicabile al resto del mondo. Quello che e' vero pero' sononle pippe mentali di tanti all'interno del mondo del vino, che vogliono la distinzione all'infinito, come fossero la rappresentazione della sinistra italiana. Disuniti non si vince, e il Dio mercato non sono altro che tanti individui i quali, messi assieme, comprano il vino permettendo a questi produttori, e a questa agricoltura, di avere un futuro.

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Manzo

circa 12 anni fa - Link

secondo me questi sono discorsi molto complicati da affrontare in linea cosi generale.dal mio punto di vista, trovo giustissimo collaborare insieme per affrontare questi temi per crescere e rinnovare insieme un territorio. Ma credo che sia stupido e limitato badare solamente al ''dio mercato'' e veder le nostre colline come qualcosa da sfruttare e da ''fatturare''. La zona del Barolo ha sicuramente bisogno di svecchiarsi, di semplificarsi e di farsi conoscere sempre piu, ma ricordiamoci bene quello che siamo (non siamo proprio da buttar via, no?!!!) e quello che eravamo appena 50 anni fa.. nessuno si ricorda piu cos'era e cosa significava la langa ( e probabilmente anche montalcino) in quegli anni? era una vita dura con tanto lavoro, sudore, sacrificio. Guardiamo al futuro, diamo spazio a nuove idee, miglioriamoci, rimmetiamoci in discussione ma non dimentichiamoci quello che è stato! Spero con il cuore che i Barolisti del futuro restino sempre legati al terroir, alle vigne, alle loro radici di viticoltori e che non diventino mai degli azionisti gratabale in giacca e cravatta.. ''Il passato rivive ogni giorno perché non è mai passato''

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andrea bez.

circa 12 anni fa - Link

la logica di un discorso come quello del Sig. Rivella non ha punti deboli. Se la "giustezza" di un comportamento, la correttezza di scelte (produttive-imprenditoriali) si misurano in quantità di bottiglie vendute-prodotte e in termini di crescita di fatturato, allora ha senza dubbio ragione lui. O meglio, non c'è scelta, per andare là c'è solo e soltanto quella strada. Si potrebbe anche dire che il suo discorso è pleonastico. E'addirittura inutile. :) Imho non c'è un approccio, in assoluto, più o meno corretto, più o meno "etico", più o meno rispettoso di tradizioni o altro. C'è un approccio più o meno conforme alla proprie aspettative. Bisogna quindi forse più interrogarsi sulle aspettative, sulla meta, più che sul percorso. Quello dovrebbe venire di conseguenza. bez.

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Gianpaolo Giacobbo

circa 12 anni fa - Link

Rivella avrà anche avuto il merito di aver creato il mercato del Brunello di Montalcino ma sono passati 22 lunghi anni da allora. Il mercato di oggi va letto in maniera diversa. Il punto è che non è che il vino debba cambiare in relazione al mercato occorre una professionalità molto elevata da parte di chi il vino lo vende. Serve sensibilità e preaparazione ad individuare il segmento di mercato adatto per ogni vino. Poi grandi aziende e piccoli vigneron non importa. I produttori devono continuare a produrre il vino come lo hanno sempre fatto e la tradizione sarà sempre il punto di riferimento per tutti. Poi servono venditori preparati non sfogliatori di cataloghi, serve personale di sala formato non mescitori, servono selezionatori sul territorio capaci. E' un mercato che chiede professionalità più alta poi i risultati arrivano perchè il vino italiano è un prodotto unico e non clonabile che tutto il mondo vuole.

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Marco De Tomasi

circa 12 anni fa - Link

Praticamente vangelo

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Daccordo sulla professionalita' del personale, ma quello che conta a priori e' la qualita' coniugata con l'originalita'. In Italia invece molti produttori, inseguono, disordinatamente,le mode estere, come dei barboncini, avidi ed insicuri; tanto correre, e abbaiare, con il risultato di irritare e far perdere la pazienza.

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

Non sono 'solo' d'accordo; sono più che d'accordo. In quegli anni si è verificata una congiuntura irripetibile, di cui alcuni (troppi) hanno approfittato per darci dentro, senza guardare molto per il sottile. Non solo nel vino e non solo a Montalcino; ma Montalcino non ha saputo?, scelto? (di) cavalcare il mercato che gli si è dischiuso davanti. Ed era nelle condizioni di farlo. Quel mercato non c'è più, non c'è più quel mondo, la gente pensa (e consuma) molto diversamente. I pensieri della gente sono planetariamente diversi. Oggi la gente vuole territorio perché sa che sta scomparendo; oggi vuole tipicità e tradizione, perché si attacca (disperatamente) alle ultime possibilità di fare un'esperienza degna di questo nome, e i vini di territorio sono uno dei modi più felici per visitare ciò che resta del mondo come ancora lo immaginiamo (ma accorgendoci ogni tanto che non c'è più).

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Il Cav. Mascherato

circa 12 anni fa - Link

"Oggi la gente vuole territorio" Nella migliore delle ipotesi possiamo dire un buon 4-5% del 20% che beve vino?

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

l'80% dei consumatori di fascia alta pensa 'territoriale'; quanti siano i consumatori di vino in quel 'cluster' non so. Sappiamo solo che è una macro-tendenza...

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claudioT

circa 12 anni fa - Link

l'80% de consumatori di vino non si fa pippe...compra in base a prezzo, piacevolezza medio bassa e nome del produttore!!!

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anonimo montalcinese

circa 12 anni fa - Link

Se è vero che Rivella ha creato il mercato del Brunello, com'è che l'azienda che stava lì prima (Poggio alle Mura)e che è ststa comprata dai Mariani divenendo Villa Banfi aveva più del 10% delle vigne di Brunello e delle bottiglie vendute, mentre Villa Banfi sta al 7%? A questo villano ignorante pare che il 10% sia più del 7%, o sbaglio? Se è vero quello che dice Rivella e chi vende ha ragione, allora lui ha torto.

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Angelo Di Costanzo

circa 12 anni fa - Link

Nel mio ultimo passaggio da quelle parti ho colto due cose al di là dell'indimenticabile paesaggio: sulla via per Serralunga vengono su capannoni enormi e in giro ho visto parecchie "ventiquattrore"... E ciò può significare solo una cosa...

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Rizzo Fabiari

circa 12 anni fa - Link

Bel post. Correggi "Bordeuax", sembra un'anatra che ha appena bevuto Corretto, grazie. [ale]

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Laddove "Borde" è l'atto del bere e "Uaaax" l'atto liberatorio finale.

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fabio fusina

circa 12 anni fa - Link

Al mondo c'e' spazio per tutti. anche per Rivella. pero' sono libero di comprare altre bottiglie. al supermercato guardo sempre la zona vini e vedere i brunello citati, e non solo quelli, in bella vista sugli scaffali mi sconforta. nonostante scandali e non il mercato IMPONE quei vini. sta ai pochi aprire gli occhi ai molti e fargli conoscere altre realta'. nel mio piccolo piccolo lo faccio.

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Antonio Tomacelli

circa 12 anni fa - Link

Da sempre divido gli uomini in "pastori" e "pecore": il pastore detta la strada da percorrere e gli ovini lo seguono. Rivella non ha mai avuto uno straccio di strategia, ma ha solo seguito una moda lanciata da altri, cavalcando l'onda. Gli è andata anche bene ma l'onda è rifluita da un pezzo e lui è ancora lì che sculetta su di un surf insabbiato. Ora, mentre tutto il mondo cavalca l'onda del terroir e della tipicità Rivella, come un vecchio pugile suonato, ci racconta di quando conquistò il campionato del mondo a colpi di cabernet. È il classico atteggiamento da pecora che segue il gregge, ma di suo il cavaliere non ha mai inventato nulla. Da che mondo è mondo, è il pastore che IMPONE agli ovini la strada da percorrere e il Barolo ha bisogno di uomini che sappiano imporre al mercato delle scelte precise, non di ovini che belano.

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Rossano Ferrazzano

circa 12 anni fa - Link

Io penso che il Barolo non abbia bisogno di alcun pastore, sia esso Angelo Gaja o Roberto Conterno, Roberto Voerzio o Giuseppe Rinaldi, Lamberto Vallarino Gancia o Lorenzo Accomasso. L'identità di un vino di territorio è un affare collettivo e condiviso, in cui ognuno fa la sua parte, dove ci sono anche i solisti e il coro, ma mai un pastore e delle pecore. In realtà sono tranquillissimo, le Langhe non sono territorio dove il senso gregario attecchisca troppo. Magari quello conformista sì, ma è tutta un'altra cosa. Lo si è visto bene al momento delle votazioni che proponevano le modifiche dei Disciplinari di Barolo e Barbaresco. Fino a che si tratta di raccontare tutti la stessa canzone ai giornalisti e dire le stesse parole d'ordine durante le discussioni da salotto, tutto bene. Ma quando si tratta di decidere su che treno far salire il proprio futuro, è un'altro paio di maniche. Per fortuna anche a Montalcino alla fin fin non è che vada molto diversamente.

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Max Cochetti

circa 12 anni fa - Link

Secondo me in un territorio vocato se si vuole raggiungere un equilibrio tra vendita e tradizione c'è bisogno di entrambi. Vero che Rivella/Banfi hanno creato il mercato del Brunello, ma l'hanno fatto perché l'hanno venduto come anima di un territorio, aspro e piccolo, con un vitigno diverso dagli altri, che esprimeva una Toscana, che soprattutto gli stranieri vedono in modo romantico e all'antica. Perché sono riusciti con il Brunello e non con il Mosacadello? Perché il primo era quello che più esprimeva l'immaginario. Ma senza i Biondi-Santi e gli altri piccoli/grandi produttori, chi alimenta il mito? Hai un mercato ampio e ad alto margine se il prodotto che vendi ha in se anche un'aurea di qualcosa di indefinibile, che il marketing può creare fino ad un certo punto. Per questo mi fa ridere Rivella quando si concentra solo sull'aspetto commerciale. Se lo scandolo Brunello non ha scalfito le vendite è perché l'immaginario di quel vino è fatto di piccoli produttori, più artigianali che industriali. Di un vino fatto con un vitigno che in quel territorio da vini che durano una vita. E questa immagine serve più a Banfi, che agli stessi piccoli produttori. Nelle Langhe forse manca il grande produttore che con la sua forza riesca ad essere un ambasciatore del modello e fare da apripista, ma poi è la qualità o la percezione di essa che fa in modo che un prodotto rimanga di alto valore.

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Eleutherius Grootjans

circa 12 anni fa - Link

Max, gli argomenti da te giustamente prodotti sono ottimi ma inconciliabili. E' giusto esser laici. E allora: se "si fa" (diciamo "fabbrica") vino per "creare un mercato", la premessa non è l'espressione di identità territoriale ma un business plan, e l'obiettivo non è il vino ma un indice di efficienza economica. In questo caso parliamo di industria e la Toscana di turno, o le altre anime di un altro territorio, insieme a tutte le altre declamate diversità, esistono solo come elementi di una brand strategy. Sono claims. Possiamo leggere nell'ottica del posizionamento e del risultato economico (sacrosanto, se non altro per questioni di merito!) anche le politiche di vendita dei piccoli produttori tradizionali. Tuttavia nel loro caso la premessa non è il business plan, bensì l'espressione di identità territoriale; l'obiettivo, manco a dirlo, è un vino che la renda. In questo caso, se ti sembra pregnante, parliamo di artigianato. Sono due modalità di pensiero e di lavoro. Parabola: chiedi a Tizio cosa vuol fare e ti risponderà "vino, guadagnando il giusto". Chiedilo a Caio e ti risponderà "soldi, aggiustando un vino". A ciascuno il suo, secondo il gusto e il portafoglio. L'industria non è il male finché non ne fa all'intelligenza del proprio target proponendosi come artigianato-in-serie, che è un accostamento ossimorico. Il Cav. Rivella non è il male finché non spara a zero sulla tradizione, che non è il suo ambito di competenza ma evidentemente gli dà fastidio; e si salva se nel chiuso della sua cameretta, ripensando a prodotti di gran successo quali Eternit e Tylenol, si accorge di aver esagerato affermando che chi vende ha ragione a priori.

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Giovanni Solaroli

circa 12 anni fa - Link

Dipende da cosa si vuol fare da grandi. Certo che per un produttore fare vini "territoriali" e non venderli, è peggio che fare vini moderni e avere cantina vuota e bilanci solidi. Forse alzando un po il tiro e lo sguardo, ci si renderebbe conto che da noi si fanno cose uniche che altri cercano di imitare. E non credo affatto che sia per ingannare i consumatori, anche se c'è questo aspetto esiste senz'altro, bensì per il forte appeal o richiamo che nell'immaginario mondiale la nostra cultura rappresenta. Cio detto però, bisogna vendere il prodotto, farlo conoscere e cosi si promuove pure l'evoluzione-educazione del gusto. Il che non avviene via web, ne per posta, ma mobilitando e concentrando risorse in promozione invece di sprecarle in sovrapposizioni istituzionali. Ma finchè esisteranno casi come quello di un produttore che mi disse: "vado alla fiera di Hong-Kong, sai, non sono mai stato in oriente, mi faccio una vacanzina e il 40% me lo rimborsano", non credo si possa fare molta strada. Come disse mio nonno: "smetti di chiedere e comincia a sgranare i piselli"

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

Si possono fare eleganti disquisizioni, discettare del sesso degli angeli o della simpatia di Rivella, ma le quattro frasi citate inizialmente dall'amico Moricchia hanno tutte, più o meno, un gradiente di verità!

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Svetlana Sgrondalich

circa 12 anni fa - Link

"Qualità è quello che piace","Chi non vende non ha niente da insegnare". Catastrofico. Commento catastrofico.

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GiacomoPevere

circa 12 anni fa - Link

A seguir il ragionamento verrebbe da dire che Cocacola, patatine fritte e Big Mac siano la massima espressione della qualità visto il successo planetario che hanno.

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

Ottimo nickname!

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Andrea D'Agostino

circa 12 anni fa - Link

Barolo e Barbaresco hanno già dato! Il periodo che vorrebbe Rivella, i vini che vorrebbe Rivella, li hanno già fatti! De Grazia e tutto il movimento Langa In ha risposto proprio a quelle esigenze, ha fatto vini che, si pensava, avrebbero soddisfatto il gusto "internazionale", ha avuto anche un buon successo, ed ora è un'esperienza morta, rinnegata, relegata ad una nicchia di dinosauri. Si vuole riprovare? A fare cosa?

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

Non so da dove cominciare. Forse dalla Famiglia Mariani, proprietaria della Banfi USA, che decise di dare fiducia a Ezio Rivella e diventare produttore di vino italiano e non solo importatore. La maggior parte delle vigne furono comprate a Montalcino, perché erano in vendita in abbondanza e a buon prezzo, si parla degli anni '70. Che poi lo sbaglio iniziale relativo al Moscadello fu corretto re-innestando Sangiovese è un elemento importante della storia, ma non l'unico. Forse bisogna anche ricordarsi che dai primi anni '80 fino a quasi tutti i '90 i vini toscani, anzi "della Toscana" ebbero un'accelerazione di notorietà, grazie anche ai Supertuscan che nacquero sulla scia del Sassicaia e del Tignanello. La Banfi si inserì in questo salto "promozionale" fra gli attori principali. E' vero che ha portato in terra montalcinese e, direi italiana in generale, un modo di comunicare e vendere mai visto prima. Se vogliamo aggressivo e spregiudicato, ma senz'altro efficace. Però gli è stato possibile attuarlo, nonostante i vari flop del Moscadello, vino de-alcolato, peach-cooler, ecc., perché si trovava proprio in quel territorio lì, con quella storia lì e anche quella manciata di produttori locali che avranno venduto poche bottiglie, ma le vendevano già nei posti giusti e lo facevano da numerosi decenni, se non secoli. Negli anni del "risveglio" di Montalcino dopo un ventennio circa di sonno non ci fu certo solo la Banfi a baciare la Bella Addormentata di Montalcino. Il Brunello in America, Canada, Brasile, UK si vendeva già da un pezzo. I primi Wine Experience negli anni '80 organizzati dal Wine Spectator avevano fra i produttori sia Franco Biondi Santi che Francesca Colombini e nessun membro della famiglia Mariani. E il centenario del Brunello nel 1988, promosso da Biondi Santi, vide la partecipazione di moltissima stampa estera. Altro che "local", casomai "glocal" nel senso che se ne faceva di meno, ma quel meno si vendeva benissimo e un po' ovunque. Tutto questo per dire che i meriti del Cav. Rivella e della azienda che lui ha creato (questo sì) con capitale americano esistono, ma vanno ridimensionati e riportati ad un momento eccezionale per il vino toscano che non credo tornerà più. Lo sa la stessa Banfi che ha abbandonato certe strategie e adesso parla di selezione clonale del Sangiovese e di unicità del territorio. Lontani sono i tempi del Pinot Grigio San Angelo (che credo si faccia ancora ma non vedo su nessuno scaffale), e delle brochures con l'elicottero che sorvolava le vigne spruzzando roba chimica stile Apocalypse Now. E' per questo che suona grottesco quanto il Cav. Rivella afferma nella sua Lectio Magistralis a Barolo. Se non grottesco, quanto meno sorpassato. Anche per quadrare i bilanci.

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Manzo

circa 12 anni fa - Link

condivido in pieno

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Simone Maglioni

circa 12 anni fa - Link

condivido e anche io ricordo come se fosse ieri il Pinot Grigio Banfi ;-) ;-) ;-) ;-)

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suslov

circa 12 anni fa - Link

grande NN quello che andava bene negli anni 80 e 90 dell'edonismo reganiano e della deregulation non e' detto che vada bene negli anni 00 e 10 del 9/11 e della crisi dell'euro e non parlo solo del gusto ma anche dei $$$

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Alessio Pietrobattista

circa 12 anni fa - Link

Aggiungo all'analisi di Nelle Nuvole: francamente diffido sempre di quelli che mi (e ci) vogliono spiegare i segreti del loro successo esportando un modello che è solo il loro, specifico per la realtà e la situazione storica in cui ciò è stato possibile. In Italia siamo dei veri fenomeni a incensare e a considerare dei guru persone che spesso di meriti ne hanno, ma in quantità inferiori al minimo sindacale per entrare nella mitologia.

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Eleutherius Grootjans

circa 12 anni fa - Link

Nel post di NN è detto tutto e bene.

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Frizzo Abiari

circa 12 anni fa - Link

Esatto. Brava NN.

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Davide Bonucci

circa 12 anni fa - Link

Successi commerciali passati non sono garanzia di successi futuri. Rivella come uomo del futuro proprio non lo vedo. Nemmeno Gaja. Mi spiace... C'è una giusta misura. E non fa parte di quella logica. Anzi, trovo buoni motivi per combatterla attivamente e percepirne i danni retroattivi. Il finale del titolo sulla sua permanenza in terra ilcinese mi vedo dissentire con veemenza: è ora di un giusto ritiro dalle scene, la meritata pensione dorata. O che almeno la finisca di dare indicazioni commerciali disastrose e fuori tempo massimo

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vermentino sardegna

circa 12 anni fa - Link

condivido l'articolo pienamente.

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gionni1979

circa 12 anni fa - Link

Giusto sparare a zero sul dinosauro. Giusto pensare che i successi del passato non siano la salvezza per il futuro. Ma la domanda principale rimane.... Chi ce lo ha messo a fare il presidente del consorzio del Brunello???? E sopratutto, come si fa ad invitarlo per risolvere i problemi di Barolo, quando sta cercando di distruggere Montalcino?!?!?!?! Bah, rimango basito!!!!!

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roberto ferraris

circa 12 anni fa - Link

Ma il lavoro in vigna dei piccoli ed onesti produttori non conta nulla. Oggi il vino non nasce in vigna bensi in cantina. Gradirei avere una risposta da produttori certi Langaroli quali prodotti chimici vengono aggiunti durante e dopo la vinificazione

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

Comunque se volete menarmi io sarò a Benvenuto Brunello. C'è già la lista d'attesa di gente che mi aspetta con mazze, attizzatoi...

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Frate Patacca

circa 12 anni fa - Link

Ma chi ti aspetta a te? Al massimo un manipolo di irriducibili con salsiccie e birretta (che ti piacciono tanto) in mano per godersi lo spettacolo.

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

*tira un sospiro di sollievo*

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Riccardo Campinoti

circa 12 anni fa - Link

“Le tradizioni sono palle al piede, servono al massimo come ancoraggio storico” Un'affermazione simile basta per alzarsi e andar fuori a fare due passi in attesa del prossimo relatore. Per fortuna che in Langa non hanno bisogno di certi consigli

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Francesco Annibali

circa 12 anni fa - Link

Post notevole e intervento di NN su Apocalypse Now pure. Due considerazioni: 1 perchè a parlare di problemi di vendita viene invitato un enologo, e non - chessò - il direttore commerciale di una azienda che adesso vende bene? 2 barolo e barbaresco, tranne i 20 supernoti, vendono male?

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Francesco Annibali

circa 12 anni fa - Link

intendo dire: invitare un enologo a parlare di vendita non è come invitare un commerciale a parlare di produzione? voglio dire l'errore è alla radice

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

Molto d'accordo; come chiamare Armani a parlare di aree Nielsen.

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

Giorgio Armani, oc.

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Alessandro Dettori

circa 12 anni fa - Link

Quale errore?!!? :-) Gli enologi fanno i vini che si vendono e sono quindi abilissimi commerciali. Non tutti gli enologi per fortuna.

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MilaNese

circa 12 anni fa - Link

Enologo Rivella? Come Berlusconi che è laureato in legge. Ti risulti faccia l'avvocato? Ma dove vivi...?

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Alessandro Dettori

circa 12 anni fa - Link

Io vivo in un mondo dove c'è educazione, ne vorresti far parte? Ha iniziato la sua attività come direttore tecnico e commerciale di cantine sociali. Dopo essersi specializzato nello studio di nuove tecnologie per la lavorazione di vini, ha costituito una società di engineering e consulenza enologica. È stato vicepresidente della Villa Banfi Cellars SpA e consigliere delegato e direttore generale della Villa Banfi SpA. Ha prodotto e commercializzato spumanti e vini di qualità e ha realizzato a Montalcino (Siena) un’azienda considerata il più importante polo produttivo di vini di pregio, con 150 dipendenti e una capacità di produzione annua di 22 milioni di bottiglie. Ha fondato il Centro Studi Enologici ed è stato presidente dell’Associazione Enotecnici Italiani. Ha lasciato la Banfi nel 2001. Continua la sua attività nelle aziende di proprietà in Toscana. Per nove anni presidente dell’Associazione Mondiale degli Enologi, dal 1993 al 1998 è stato presidente del Comitato Nazionale Vini Doc presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Nel 1998 è stato eletto vicepresidente dell’Office International de la Vigne et du Vin di Parigi e nel 2001 presidente della Confederazione Italiana della Vite e del Vino-Unione Italiana Vini. È considerato uno dei maggiori esperti del settore. (Forte: http://www.cavalieridellavoro.it) Oltre ciò ho fatto una lunga chiacchierata di 6 ore con lui diversi anni fa.....

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vinogodi

circa 12 anni fa - Link

...Ciao Ale.Una pregunta: ti piacciono i suoi vini? A me , personalmente, piacciono più i tuoi, ma si sa, tutti i gusti sono gusti... PS: un abbraccio, Marco...

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Alessandro Dettori

circa 12 anni fa - Link

Ciao Marco. I suoi vini non sono nella mia tasting-list e visto che la vita è troppo breve per tutti i meravigliosi vini che aspettano di essere degustati, difficilmente andrò a procurarmeli. Non disdegnerò di assaggiarli se mi capitasse l'occasione fortuita (a casa di amici, in giro per degustazioni varie, e simili). C'è poi un problema che mi attanaglia....certi vini non riesco più a portarli alla bocca. Già all'olfatto mi indispongono, mi irritano, mi alienano la volontà di provarli. Quando è che ci vediamo noi due? Un abbraccio.

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MilaNese

circa 12 anni fa - Link

E tu che rispondi quando nessuno ti ha interpellato ne vuoi far parte? Se mi fossi rivolto a te il mio commento avrebbe avuto una dimensione più piccola. Solo incidentalmente sono finito dietro di te. Comunque se anche tu consideri Rivella uno che fa il vino e non uno che ha solo incarichi di rappresentanza nell'enologia mentre ha sempre avuto il ruolo di venderlo, il vino, prego. Accomodati.

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Abdul Ciabath

circa 12 anni fa - Link

Non si preoccupi: rivolto a una o a più persone, il suo commento ha comunque una dimensione piccola.

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alessio planeta

circa 12 anni fa - Link

ma mi chiedo : se inviti Rivella a parlare a questa platea cosa ti aspetti? Lui da par suo recita il ruolo del provocatore. Io lo ascolto sempre con piacere per poi magari fare e pensare altro. Morichetti scrive meglio di come parla. ma molto meglio.

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Giovanni Corazzol

circa 12 anni fa - Link

ma molto, molto meglio ;)

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Chissà come cambierebbero i rapporti personali in questo piccolo mondo se nei forum e nei blog, accanto al nome di ogni eroe che non si firma, apparisse come per incanto, da un giorno all'altro, l'IP. Nel mio mondo ideale, accade proprio così. Un giovedì di marzo, tipo. E sti conigli, tutti con un nome e un cognome. Sai le risate.

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GiacomoPevere

circa 12 anni fa - Link

:D :D :D

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toni lercher

circa 12 anni fa - Link

Sono pienamente d’accordo con Armando Castagno, ma d’altro canto capisco anche che è molto grande la tentazione di scrivere delle ca..ate in modo anonimo e senza dover rendere conto a nessuno.

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Alessio Pietrobattista

circa 12 anni fa - Link

Io assegnerei un IP statico pure a Rivella, per avere sempre certa la fonte di talune frescacce.

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Tommaso Farina

circa 12 anni fa - Link

Fai un whois a questo sito e avrai l'IP :) www.rivella.ch

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Lido

circa 12 anni fa - Link

Rivella e' stato un bravo e fortunato enologo/ commerciante,in un momento storico contestualizzato al vino piu' simile ad una bevanda che ad un prodotto della terra, capitali immensi politiche commerciali a dir poco allegre, quanti frigoriferi, quanti bicchieri, quante tende, quanti pagamenti a gommino sono stati elargiti, e poi fare bingo una volta non significa avere lo scrigno della saggezza eterno, io non vedo schiere di persone che chiedono Banfi, e sinceramente non ricordo quando ho stappato l'ultima bottiglia, non ricordo se il contenuto e' stato bevuto o .... Ma mi ricordo molto bene quando ho bevuto, Biondi Santi, Poggio di Sotto, Soldera, Il Paradiso di Manfredi, e tanti altri, mi ricordo molto bene quando da piccolo o ragazzino, girando le case degli amici vedevo in "salotto", una volta le grandi bottiglie si esponevano nella stanza più schic della casa, Biondi Santi, Tenuta Barbi Colombini, queste sono le aziende che sinceramente hanno contribuito con tante altre a fare grande un territorio. Mi spiace non mi ha mai convinto e mai mi convincerà io bevo vino, se poi si parla di grandi mercati di bevande, behhh Coca Cola ha fatto di meglio.

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Giovanni Solaroli

circa 12 anni fa - Link

@Nelle Nuvole: mi è piaciuta molto, seriamente, la tua mini lezione di storia ilcinese. E anche il post è interessante. Solo che dopo avere letto tutto questo mi sento più ignorante di prima. E provo a spiegare perchè ponendo domande: a)perchè hanno chiamato il Cav.Rivella? Forse il distretto soffre di una crisi?(l'ho sagacemente intuito dal titolo del convegno."piangersi addosso....") b)ma allora pensano che Rivella sia una marca di fazzoletti? c)In langa non sono pivelli, quindi sanno qual'è il Rivella pensiero, è possibile che esista un langarolo che approvi? magari qualcuno delle nuove generazioni, che solo per puro spirito di antagonismo generazionale, vuole imboccare nuove strade? d)se si accetta la verità che di immutabile non c'e nulla,non vedo l'utilità di sbarrare le porte senza sapere chi bussa. sui blog non ho domande: ho capito che Rivella deve essere ancora informatizzato. strano però, non è da lui odiare il nuovo. Ringrazio sin d'ora chi vorrà accendere un led nella mia mente buia.

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Eleutherius Grootjans

circa 12 anni fa - Link

Premessa/1: tutti noi siamo mediamente ignoranti, amnesici o pigri. Io per primo, e nella prima persona plurale mi associo ai narcisi incompetenti che frequentano i blog. Per non parlare di chi li anima. Trattandosi poi di consumatori abituali di vino, il Mild Cognitive Impairment è sempre in agguato. Premessa/2: prendo per citazioni testuali i virgolettati di Morichetti. Li considero fedeli anche per induzione da altre invettive rivelliane. A matter of style. Ciò posto: a) argumentum ad numerum; b) argumentum ad verecundiam. Solo due, a titolo di esempio, perché il campionario rivelliano è di rimarchevole dovizia. Ignoranti, amnesici o pigri quali siamo, manchiamo di quelle informazioni, o della velocità nell'elaborarle, o della capacità di riesumarle dall'oblio della maturità (che è forma eufemistica per senescenza), i quali ci consentirebbero di archiviare le esternazioni del tonitruante cavaliere sublimando la noia in un sorriso e uno sbuffo. Chiunque si occupi di promozione e vendita di un prodotto fa uso continuo e spesso inconsapevole dei sofismi. Questi dimenticati. Argumentum ad numerum (o ad populum) è sostenere che se tantaggènte mi compra, allora sono buono. Argumentum ad verecundiam è io so' io e voi nun séte 'n ca**o, quindi conta quel che dico io, voi siete incompetenti o dediti al bricolage erotico. I sofismi sono forme interruttive del ragionamento. Piccoli petardi di logica senza contenuti di fatto. Chi vi ricorre, lo fa perché non ha premesse valide o perché vuole sabotare la validità di quelle altrui. Mettiamoci pure il terzo, va': argumentum ad crumenam. Voi siete poveracci, io ho fatto i schèi, ho ragione io.

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Olimarox

circa 12 anni fa - Link

E perché non citare il Professor Scoglio col suo 'ragionamento ad minchiam'?

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Nico

circa 12 anni fa - Link

Beh signori chi vende ha sempre ragione?? NO! dipende da ciò che si sta vendendo e in che contesto. Se si parla di vendere vino delle Langhe o vino di Montalcino, se si parla di 2012 o di 1990. Ieri era un conto, oggi è un altro conto, sono passati diversi anni! Il Dott. Rivella è (stato) un esponente di primo piano nel mondo del vino, sia da Enologo che da commerciale, e questo è un dato di fatto, secondo me incontestabile. Non lo considererei però come il re Mida del Brunello, così come non lo considero uno scemo, diamogli atto di ciò che ha fatto. Dopo questa premessa mi permetto di dire che non condivido assolutamente il pensiero a riguardo delle tradizioni, ho i miei dubbi che siano palle al piede, perché se il vino lo si vende il merito è anche di tradizioni, terroir, passione, non solo dei capitali e del marketing. Il successo di Castello Banfi SPA non è dovuto all' innovazione chiamata Moscadello (per citarne una), ma anche alla tradizione del Brunello. Non si vende solo perchè si è bravi a vendere, ma anche perchè si è bravi a produrre! Nelle langhe hanno ascoltato il Dott. Rivella, ora sta a loro tirare le somme.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

E'sempre un piacere leggere queste discussioni su Intravino. E sono contento di vedere la partecipazione di Alessio Planeta. Dopo aver letto e metabolizzato tutto mi sono fatto un'opinione che mi piacerebbe condividere. La Tod's vende molto all'estero non perché ha omologato le sue scarpe alla produzione "cinese". Ma perché crea un prodotto d'elite, riservato ad una minoranza che vuole spendere di più. La gente ama comprare qualcosa che "non è di tutti". E' questo il fulcro del marketing. Inseguire i prodotti nazional-popolari è rischioso per diversi motivi. Principalmente perché lo fanno in molti e la concorrenza è spietata, con margini di guadagno spesso risicati; poi perché il mercato nazional-popolare (a differenza di quello di nicchia) risente fortemente delle oscillazioni. I prodotti di nicchia (vedi alta moda e simili) hanno risentito poco o nulla della crisi, i prodotti di fascia bassa sono andati a braccia aperte incontro al fallimento. Non voglio sembrare un "dietrologo" ma la mia impressione è che la grande produzione e distribuzione internazionale, statunitense in testa, voglia livellare le vette di qualità, specialmente in Italia ed in Francia. Non potendo incrementare la qualità dei prodotti made in Napa Valley vogliono livellare il mercato verso il basso. In questo contesto persone come Rivella, con i suoi trascorsi e le sue amicizie internazionali, fungono da testa di ponte, da cavallo di troia, per raggiungere questo risultato. Non mi sembra peregrino pensare che dietro Rivella si celino certi capitali internazionali che si sono infiltrati in quel di Montalcino ed in tante altre parti d'Italia. Credo che la strategia di marketing vincente debba essere quella di differenziare le nostre eccellenze (Barolo e Brunello in testa) rispetto al mercato di massa, convincere il pubblico che questi sono vini "diversi", riservati ad una nicchia di intenditori, convincere il pubblico che questo motiva un "sovrapprezzo" (la qualità si paga). Tutto questo richiede un'abile strategia della comunicazione: il Barolo come le Tod's o l'alta moda. Come si fanno le sfilate di moda, si organizzino "sfilate" di vini d'eccellenza, riservate ad un pubblico di eletti, con attori e celebrità. Vi assicuro che tutti staranno li a guardare ed a "desiderare" quel prodotto. Non serve certamente a nulla annacquare i vini con succo di frutta all'inseguimento di un improbabile mercato già sovrasaturo ed in declino.

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Andrea Gori

circa 12 anni fa - Link

la teoria di Rivella infiltrato sembra tratta da un film di spie di serie B di qualche anno fa! il complotto di abbassare Italia e Francia per far emergere Napa è una teoria fuori dal mondo e quasi "sciachimista" secondo me. Rivella non ha completamente ragione ma neanche completamente torto, vendere e promuovere il Brunello non può prescindere dal numero di bottiglie che si producono e che girano il mondo. E quindi bene che ci siano Brunello meno d'eccellenza ma che si trovano quasi ovunque e che ci siano Brunello d'eccellenza che facciano le stelle della situazione

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Infiltrato mi sembra eccessivo. Tanto meno alla James Bond. Il mondo ruota intorno ai soldi, non lo puoi negare, e le partnership servono a fare soldi. Non film d'azione. Semplicemente Rivella fa parte di una cordata che vuole, leggittimamente, fare soldi. Tutto quì. Niente complotti. Non ti convince invece la mia interpretazione alternativa a quella di Rivella su come "far fare soldi" a chi produce l'eccellenza vinicola italiana? Credo sinceramente che sia l'unica strada.

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

@Andrea Gori non sono per niente d'accordo su "E quindi bene che ci siano Brunello meno d’eccellenza ma che si trovano quasi ovunque e che ci siano Brunello d’eccellenza che facciano le stelle della situazione" ma proprio per niente Forse la formula funziona a Firenze, ma al di fuori del nostro naso italico non funziona affatto. Lasciando perdere il trascurabile aspetto della qualità intrinseca del prodotto e della sua tipicità che deve essere riconoscibile, e considerando solo il mero aspetto economico il discorso di fare Brunello mediocri in grande quantità che si trovino ovunque in modo che il nome Brunello giri e che il consumatore internazionale stufo di tale mediocrità un giorno si svegli e dica "Ohibò, Parbleu, My goodness ora voglio proprio provare un Brunello di alta qualità e sono disposto a pagarlo il doppio della semi-ciofeca che ho bevuto fino adesso!" è quantomeno moooolto ottimista. Purtroppo è già successo che su scaffali internazionali e nazionali si trovino Brunello così così, con la conseguenza che quelli veramente degni soffrono su certi mercati. Stiamo cercando di rendere consistente e continuativa l'immagine dei vini di Montalcino e non mi sembra una strategia vincente quella di presentare serie A, B e C con la stessa denominazione. Per dare costrutto alla mia opinione riporto due esempi opposti: Appelation Hermitage Controlée 140 ha, 730.000 bottiglie prodotte (fonte Terroir France) Nessuno si sogna di allargare la produzione. Il vino è strepitoso e non ci sono problemi a venderlo, caso mai a trovarlo. Yellow Tail Wines Capacità della cantina 300 milioni di litri, più naturalmente produzioni sparse un po' dovunque in Australia. Il successo commerciale, soprattutto negli USA di questo Brand ha trascinato verso il basso l'immagine del vino australiano con conseguenze molto pesanti per la produzione di qualità dei vini aussie e la sua commercializzazione. Entrambi gli esempi sono improponibili sia per Montalcino che per Barolo, ma fanno pensare. Ed è proprio quello che va fatto, riflettere su errori del passato nostri e altrui, non basarsi su certi miti dai piedi di argilla.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Eppero', se mi parli di Hermitage, accanto da esso vi sono Croze-Hermitage, e sopratutto Saint Joseph (e gli altri) che di numeri ne fanno e parecchi. Senza peraltro portare danno ad Hermitage, anzi, incoronandolo come la perla di una zona, Cote du Rhone, molto conosciuta, molto produttiva (80.000 ettari, piu' della Toscana), e molto apprezzata, anche e proprio in funzione di certe produzioni "di massa". Hermitage e' Hermitage, quello e' e finisce li', pero' non mi convince affatto l'equazione vino di successo = vino limitato, altrimenti basterebbe ridurre la DOC Zagarolo a 10 Ha per vedere i vini venduti a 100 euro a bottiglia. A Saint Joseph successe che le produzioni aumentarono troppo, ed andarano ad estirpare vigne, ma quelle vocate male. Quello e' il vero punto, togliere le vigne in posizioni sfortunate e non limitare la produzione perche' i numeri ci piacciono o non ci piacciono. Vive la liberte'!

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

Vive la liberté mais non la stupidité qui porte à la morte de la qualité. L'estirpazione delle vigne in zone meno vocate, et bien, c'est un rève!

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GiacomoPevere

circa 12 anni fa - Link

Da ignorante sono abbastanza daccordo con te NN nel senso che non dovrebbero esistere Brunelli di serie B (la serie C non la consideriamo nemmeno). Il pericolo però dall'altra parte è il passare dall'eccellenza (sacrosanta) alla esclusività di cui parla Massimiliano che invece mi trova in totale disaccordo, "Come si fanno le sfilate di moda, si organizzino “sfilate” di vini d’eccellenza, riservate ad un pubblico di eletti, con attori e celebrità.". Nulla di male se questa esclusività di limita ad alcune etichette di aziende storiche (serve far nomi?) ma innalzare tutta una denominazione alla categoria degli "eletti" (cit.) mi scusi Massimiliano ma è una cagata apocalittica (apocalittica anche nel senso che definirebbe il rischio di morte della denominazione stessa). L'eccellenza può ancor oggi far il paio con "prezzo abbordabile"? Parrebbe di si, a Montalcino si può ancora bere benissimo senza essere il presidente della Tod's.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

La "sfilata dei vini" vuole essere soltanto un'operazione di marketing. Non significa produrre vini solo per Della Valle. Vuoi vendere vino in USA? Organizza una serata d'eccezione su un roof garden di un grattacielo newyorkese, invita ambasciatori e personaggi noti, paga George Clooney per partecipare (NN ne sarebbe entusiasta), e magari qualche personaggio noto di talk show americani, invita i piloti della Ferrari (l'accoppiata vino-Ferrari funziona sempre) et voilà. Meglio del Vinitaly. Se poi riesci a farlo diventare un appuntamento ricorrente tutte le TV parleranno di te e del tuo vino. Una decina di produttori di Barolo potrebbero dividersi le spese ed organizzare queste "sfilate del vino": Parigi, Roma, Milano, New York. Rendi il vino oggetto di desiderio.

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GiacomoPevere

circa 12 anni fa - Link

Scusa ma dal tuo post non era chiaro, anzi tutt'altro. Dire che bisogna "convincere il pubblico che questi sono vini “diversi”, riservati ad una nicchia di intenditori" e poi parlare di sfilate per pochi eletti fà supporre tutt'altro che una mera operazione di marketing su cui posso essere un filo più daccordo, un filo però perchè operazioni del genere son molto pericolose oltre a costare un botto.

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Olimarox

circa 12 anni fa - Link

Sono quasi d'accordo con Montes, a parte l'esempio dell'alta moda o Tod's che, paradossalmente, dimostrano il contrario perché si parla di merce di qualità tutt'altro che alta e tutt'altro che non replicabile. Ma sono sfumature, e non sul punto. Il punto è che tra tot anni la Cina rivestirà di vigneti migliaia di ettari, perché il vino rende (in teoria) più del riso. E cosa pianteranno, secondo voi? Mica Primitivo di Manciuria. Merlot, Cabernet, Chardonnay, Shiraz pianteranno. Stiamone certi. Chiunque non avrà puntato sui vitigni autoctoni - e su vitigni autoctoni che diano vita a vini riconoscibili e unici - sarà più o meno spacciato.

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Sara

circa 12 anni fa - Link

I cinesi pianteranno solo quello che garantirà in futuro la loro sopravvivenza. E non sarà certo l'uva.

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esperio

circa 12 anni fa - Link

La Cina rispetto a noi e' in un altro universo, anzi in un altra dimensione. Impossibile ipotizzare o fare previsioni, anche azzardate,su quella parte del mondo.I cinesi potrebbero diventare i signori della terra,come invece ritornare nel loro oscuro isolamento.

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

I Cinesi hanno già piantato decine di migliaia di ettari di uva; e delegati di almeno una regione italiana sono andati fin là a insegnar loro come si fa il vino. Già un bel po' di anni fa...

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Olimarox

circa 12 anni fa - Link

cvd

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Mi sembra che ci sia un convitato di pietra assente dalla discussione. L'intera operazione vini-di-stile-internazionale-fatti-per-un-certo-pubblico-americano, non sarebbe potuta accadere senza che una certa stampa, americana, non sostenesse l'operazione. Ora, la stampa ancora conta qualcosa, ma non e' piu' come prima, dove letteralmente due/tre persone avevano in mano la critica del vino USA e in buona parte mondiale. Questo fatto, non fosse che solo per questo fatto, rende impossibile riproporre la stessa idea di vino e di successo commerciale. Che non se ne siano accorti? Io non credo.

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Zakk

circa 12 anni fa - Link

La verita' e' che l'invito a parlare era per Teobaldo Rivella, poi causa neve, le poste hanno sbagliato a capitare l'invito che quindi e' arrivato ad Ezio Rivella il quale ha colto la palla al balzo per diffondere il suo credo. Sarebbe carino rifare il convegno con Teobaldo Rivella come protagonista.

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Maurizio Fava

circa 12 anni fa - Link

mi auguro che l'incontro con rivella sia stato un cordiale incontro tra due consorzi, utile alle pubbliche relazioni e per confrontare problematice. GUAI se fosse stato un gesto di sudditanza del Barolo verso un ipotetico "vate" decisamente superato nelle idee e nei fatti. Barolo e Barbaresco oggi esistono e sono credibili sul mercato proprio perchè hanno saputo difendersi dai "tagli" bordolesi che hanno spopolato altrove a seguito del rivella-style. Sarebbe stato un errore dargli retta trent'anni fa, figuriamoci ora che non c'è più nemmeno il beneficio del dubbio su quell'errata impostazione.

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Francesco Annibali

circa 12 anni fa - Link

Metto "mi piace"

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Alessandro Franceschini

circa 12 anni fa - Link

Domanda per Alessandro (Morichetti): nessuno del pubblico è intervenuto? Chi moderava/introduceva?

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Francesco Zonin

circa 12 anni fa - Link

Buon pomeriggio a tutti, Condivido quanto pensa Angelo Gaja e quello che racconta Alessandro: le assemblee in cui avviene uno scambio di idee e vedute servono, eccome!, indipendentemente dal fatto che siamo d'accordo o meno con i contenuti che ne emergono. Ma non ci si illuda di trovare la soluzione o la linea comune proprio durante questi incontri! Scrive bene Gianpaolo: la linea-guida deve essere una, ma abbastanza ampia da consentire a ogni produttore di muoversi con una certa autonomia e differenziarsi. In pratica, ognuno è unico, ma tutti siamo raffrontabili. Alla prossima, Francesco

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Caro Francesco, ben vengano le occasioni in cui si parla e nessuna opinione deve essere demonizzata. Personalmente leggo sempre con interesse ogni opinione di Gaja, anche quelle che non condivido. Però Gaja, come me o come te, quando parla lo fa da privato cittadino. Diverso è il caso di un presidente, che quando apre bocca in una occasione pubblica lo fa a nome di chi lo ha eletto. Se ricordo bene un altro membro della tua famiglia si è trovato proprio in una situazione simile non tantissimi anni fa, hai presente il caso? Era la UIV. Fui molto d'accordo allora con quell'altro membro della tua famiglia, e la penso ancora così.

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

Don Massimiliano y Montes, a parte che se proprio vuoi rendermi entusiasta organizzami un appuntamento con Philip Seymour Hoffman e lascia Clooney a casa a farsi il caffé, il resto della tua proposta avrebbe bisogno di altro spazio per rispondere. Diciamo che condivido il concetto ma non gli strumenti. Grata comunque di avermi considerato.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Credo che sarebbe un onore sia per Hoffman che per Clooney avere un appuntamento con te ;-)

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marta rinaldi

circa 12 anni fa - Link

cari tutti, sulla scelta dell'ospite salito in cattedra a Barolo per l'occasione, molto si è detto, ricordato e (giustamente) appuntato. Ciò a cui altrettanto tengo sono il metodo ed i contenuti con cui si procede in queste occasioni, ed il messaggio che, a priori e posteriori, è passato. Sono letteralmente cascata dal pero leggendo sulla stampa locale di questa "alleanza Barolo e Brunello sui mercati esteri emergenti", in prima battuta domandandomi come e quando potevo essermi persa questa progettualità nella vita consortile di cui faccio parte. Scongiurata l'eventualità di aver già l'alzheimer o aver marinato qualche CdA del Consorzio, m'è parso chiaro che questo incontro organizzato PER INIZIATIVA della Strada del Barolo fosse vittima di amplificazioni azzardate, comunicando queste nozze Barolo-Brunello in nome di una stridente promozione di squadra. Stridenti le prerogative, i fini, e anche i mezzi. Ezio Rivella ci dice che il collega Brunello va tutto sommato a gonfie vele; in Langa ci si riferisce (incautamente) alle statistiche di imbottigliamento ed ai prezzi dello sfuso, e alla fine si sorride; e io mi chiedo: con queste premesse, chi mai dovrebbe piangersi addosso o guardare all'Asia e al Sudamerica? Primo passo, prima scivolata. Allenza Barolo Brunello? si può fare...guardiamoci prima nelle rispettive denominazioni, poi guardiamoci negli occhi con onestà intellettuale e proiettiamo su un largo schermo dei numeretti che cantano le giacenze, i prezzi medi del venduto, i declassamenti, gli impianti a regime, quelli che nell'immediato lo saranno, la sanità e tipologia dello scheletro aziendale, le inadeguatezze dei disciplinari ecc ecc. se è tutto rose e fiori allora brindisi e stretta di mano, altrimenti momento di lacrime e poi largo ad una progettualità che per alcuni aspetti potrebbe anche accomunarsi. Voler "aggredire" con i nostri nobili vini Asia e Sudamerica mentre bussano ancora alle nostre porte i clienti tedeschi dei nostri nonni? Questa per me è cecità e sconfitta. Le nostre bottiglie meritano di essere vendute e bevute nelle loro zone di origine, poi nella loro Regione, poi in Italia ed in Europa, perchè è qui la cultura umana ed enogastronomica a cui appartengono. E' vicino alle radici che occorre agevolare ed incoraggiare la conoscenza e il consumo, evitando lo spreco di tanti denari in "strategie d'attacco" lontane e di dubbia efficacia, e risparmiando ai nostri vini di finire su papille che non li sappiano lodare.

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

Brava.

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Armando Castagno

circa 12 anni fa - Link

Anche da me, complimenti, soprattutto per la parte finale. A dire che una posizione opposta a quella di Rivella può non essere - come invece ciene spesso pittata - la posizione dei sognatori e dei poeti, ma ha invece plinti e fondazioni di grande concretezza a sostenerla.

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Filippo

circa 12 anni fa - Link

Marta, a me basta che il BAROLO continuiate a farli come lo fate adesso. Del resto ... :-)

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Hai assolutamente ragione. Purtroppo in Europa si e' creata un atmosfera da cataclisma in arrivo e dunque si salvi chi puo'. Comunque si commetterebbe un gravissimo errore non considerare le nuove tendenze e l'aprirsi di nuovi scenari.Ovviamente senza farsi prendere dal panico e valutare per difetto o eccesso i nuovi mercati.

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Sara

circa 12 anni fa - Link

Non brava, non basta. Straordinaria. -:))

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Pietro Caputo

circa 12 anni fa - Link

concordo. Stapperei un'altra barbera Rnaldi, per l'occasione, se l'avessi...

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Giovanna Rizzolio

circa 12 anni fa - Link

Concordo pienamente con Marta ed aggiungo che proprio dalle nuove leve con profonde radici (ed intelligenza) i Cavalieri ed i Professori avrebbero molto da imparare. Non è poesia, ma realtà e rispetto. Ritengo che sia importantissima la specifica "incontro organizzato PER INIZIATIVA della Strada del Barolo", quindi non voluto, nè a conoscenza del Cosorzio Barolo e Barbaresco che rappresenta l'87%dei produttori. Deve essere molto chiaro il nostro dissenso e la nostra presa di distanza da questo evento e dai suoi contenuti.

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Vignadelmar

circa 12 anni fa - Link

Da alcuni giorni ho letto il post ed i numerosi commenti. Intervengo solo ora appunto perché volevo vedere se il dibattito sarebbe stato in grado di farmi cambiare idea. Innanzi tutto penso che questi confronti pubblici siano utilissimi; si ascoltano idee forse contrarie alle proprie ma la circolazione delle stesse è già importantissima. Devo dire di essere in massima parte in disaccordo con chi mi ha preceduto, provo a spiegarne i motivi, scusatemi se alla fine sarò eccessivamente prolisso. Un’analisi seria credo debba partire dall’esistente, dallo stato delle cose, dallo stato dell’arte. La realtà che io percepisco mi parla di cantine piene di vini invenduti (mercato italiano in crisi nera), di pazzeschi sconti sottotraccia, di difficoltà immense ad avere liquidità anche per la scarsa propensione italica a pagare i vini in tempi non biblici. Se a questi aggiungiamo anche una scarsa propensione bancaria a finanziare o rifinanziare i Produttori il panorama è decisamente a tinte fosche. Se questo è vero una delle alternative suggeribili, forse l’unica, è quella di aprirsi al mercato estero, che notoriamente paga sempre ed in anticipo. Aprirsi ai non più tanto nuovi mercati di Cina, India e Russia, ad esempio. Per farlo il produttore deve avere innanzi tutto una nuova predisposizione a lavorare con gli stranieri, cosa non scontata. Deve avere poi dei prodotti comprensibili e piacevoli per le persone a cui poi andranno venduti. In questo Rivella dice una grande verità, o almeno ne dice una parte: “Qualità è quello che piace. Chi vende ha ragione. Chi non vende non ha niente da insegnare”. Rivella omette la seconda parte del ragionamento: con il termine comprensibili e piacevoli non voglio assolutamente dire che debbano necessariamente internazionalizzati e/o standardizzati, però delle due l’una: se non lo sono bisogna assolutamente fare degli enormi sforzi per farli capire e comprendere, per decrittare il messaggio valoriale e qualitativo che si portano dietro. Non possiamo pretendere cioè che gli altri acquistino dei vini che non capiscono, ai quali non riescono a dare un valore. Cioè tu Produttore puoi fare il vino più tipico e territoriale che esista ma se non riesci a farlo percepire come così grande non ti resta forse che svenderlo a ristoratori (mi ci metto anche io) ed enoteche che prima o poi forse ti pagheranno…..se la banca di turno, nel frattempo, non ti ha già fatto mettere i sigilli alla cantina! Per fare questo ci sarebbe bisogno dello Stato che capisca finalmente quanto siano importanti il turismo, la ristorazione ed il vino, oltre a Consorzi che lavorino bene, dove i Produttori si spendano appieno ed in maniera concorde. Inoltre bisogna avere una quantità di vino sufficiente a coprire i mercati che si vanno a stuzzicare. Molte delle imprese italiane sono decisamente troppo piccole, ma questo può anche essere un punto di forza se si propongono vini di altissima qualità. Anche in questo caso la eccessiva parcellizzazione proprietaria e la relativa scarsa voglia a fare sistema con il Produttore vicino possono giocare brutti scherzi e minare tutto quanto ci siamo detti. Secondo me il messaggio che molti hanno lanciato negli interventi che mi hanno preceduto, ossia l'invito a rinchiudersi nell’altero fortino della superiorità ed insindacabilità dei propri prodotti e della propria politica commerciale, è stato, ed è purtroppo ancora oggi, la più grande disgrazia che ci sia potuta capitare. Concludo dicendo che trovo il titolo dato a questo pezzo un po’ troppo “violento”, ultimativo, definitivo. Specialmente se indirizzato ad una persona che il mondo del vino lo calca da alcuni decenni. Ho scritto di getto, mi scuso per i probabili svarioni.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Cavoli, complimenti Vigna! Analisi corretta, spietata e esatta del momento che stiamo vivendo. Diagnosi giusta, ma sulla cura che proponi qualche perplessità la ho. Non possiamo arroccarci sull'orgoglio di allori muffiti, ma quale futuro c'é nella competizione fino all'ultimo cabernet in Russia o Cina? Io credo che si debba partire da un'analisi della struttura produttiva italiana e da quella dei paesi che potrebbero correre quella gara del BRIC contro di noi. Se guardiamo bene emerge un dato evidentissimo; tutti loro hanno costi produttivi enormemente minori dei nostri, hanno pochi enormi produttori contro i nostri tantissimi minuscoli, possono usare metodi e prodotti vietati in Europa e hanno al 90% - 100% solo i "cinque grandi" vitigni francesi. Ergo, se gareggiamo sul loro terreno non abbiamo chances. Loro si arricchiscono vendendo a un Euro a bottiglia, noi a quella cifra moriremo sempre di fame qualunque meccanizzazione o concentrazione produttiva facciamo. E allora? Secondo me la soluzione pragmatica é cercare di giocare su tutti i tavoli, e cercare di essere competitivi dove possiamo. Ma essere competitivi vuol dire cose diverse a seconda del segmento di cui parliamo; nei classici la competitività sta nella unicità e nella tipicità senza compromessi, nel cartone (c'é anche quello, non ce ne vergognamo perché fa campare tanti viticoltori) é nel prezzo e nel marketing, nei vini di tendenza ci sono altri fattori ancora. Quello che non paga sono le mezze misure, il Brunello che sembra un pochino merlot, il Chianti un po' australiano e tutte le cose che vorrebbero sembrare qualcosa di diverso da quelle che sono. La regola del mercato globale è "sii te stesso", il mercato più è globale e più è identitario. Ma questo tu lo sai meglio di me. Per questo difendo un Brunello che sia un vero e riconoscibile sangiovese montalcinese e un Barolo che mi parli esclusivamente di Nebbiolo. E, a fianco a questi, si facciano altri stupendi vini sui nostri colli mescolando tutto ciò che si vuole; perché no? Ma li si chiami con altri nomi, tutto qui. Saranno buoni? Certamente. Si venderanno? Non lo so, ma se un mio vicino ci riesce io lo copierò. Questo credo che sa l'approccio giusto al futuro, non una sterile corsa alla perdita di identità.

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Vignadelmar

circa 12 anni fa - Link

Caro Stefano, grazie per i complimenti. Io non inneggio affatto al fare vini gustativamente concorrenziali con gli altri. Dico che se dobbiamo fare vini con una spiccata identità territoriale e quindi gustativa dobbiamo premere molto sull acceleratore dello spiegarli, farli capire, far capire il territorio, la storia, la cultura che portano con loro. In più, siccome molti sono piccoli produttori ed il mondo è troppo grande si dovrà anche imparare a consorziarsi a proporre ed attuare sinergie fra Produttori. Sinergie commerciali, divulgative, pubblicitarie. In questo dovrebbero essere di grande aiuto i Consorzi che però vanno finalmente vissuti come uno strumento utile e vincente per far vincere un intero territorio e/o denominazione. Significa anche lasciare da parte i personalismi, le baruffe di bottega, gli odi familiari. Insomma, serve un grande e collettivo rinascimento cultural commerciale, che si basa anche sul saper ascoltare Rivella, che potrà anche dire cose che non ci piacciono, ma che comunque sono frutto di una sua esperienza importante. Nessun interlocutore andrebbe demonizzato. Dico questo anche perchè all approssimarsi di questo incontro erano già partiti i primi colpi di cannone caricati a mitraglia, ad alzo zero, contro l'invitato (secondo me è anche una questione di stile e di educazione). Se non facciamo tutto questo, detto per sommi capi, continuiamo pure a fare come stiamo facendo, poi però i vini chi se li compra? Chi ce li paga? . Ciao

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Scusa, ho letto il tuo commento dopo aver scritto un'altra cosa. Niente da dire, hai ancora ragione; l'unico futuro è nel deporre la armi e mettere insieme tutto quel poco che abbiamo, che peró tra tutti diventa tanto. Viribus unitis e basta faide. E un ammuffito precoce come me non può che avere il massimo rispetto per gli anziani e per chi ha fatto tanto più di quello che potrò mai fare io. Ma gli errori di rotta quando siamo vicini agli scogli no, non li posso accettare perché non ce li possiamo più permettere. Mettettiamo i fiori nei cannoni, ma vogliamo una buona volta finirla di riaprire sempre la piaga? Costa propio cosí tanto un filino di rispetto per le idee dei suoi soci, che alla fin fine un presidente dovrebbe rappresentare? lo fa la Regina d'Inghilterra, perché non lo può fare il presidente del Brunello?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

PS dimenticavo un dettaglino, guarda caso le cantine sono piene quasi solo dei vini che hanno problemi di identità. Il Chianti Classico sfuso (l'unico prezzo certo) ora costa la metà del Morellino di Scansano, mentre era sempre costato da due a quattro volte di più. Non si trova più una goccia di Brunello sfuso, e comunque il prezzo é €800/900 all'ettolitro e giacenze invendute non ce n'é. C'erano, ma ora non più. Se è vero che chi vende ha ragione e chi non vende ha torto, allora il puro Brunello del dopo scandalo ha ragione mentre quello che piaceva a lui aveva generato invenduti pazzeschi; ergo, era la malattia e non la cura. E permettimi anche una piccola cattiveria finale, perché gli scorpioni come me il veleno ce l'hanno nella coda. Ora chi ha un ettaro di sangiovese a Montalcino lo vende facile e a tanti, tanti Eurini. Ma una vigna di merlot o Montepulciano d'Abruzzo non te la vogliono nemmeno regalata. Com'era quella storia che chi non vende ha torto?

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Vignadelmar

circa 12 anni fa - Link

Ma parliamo di Italia e Mondo oppure di Montalcino? Ammesso e non concesso che a Montalcino problemi non ce ne siano, io preferisco parlare del sistema vino all'interno del sistema Paese. Da soli non vi salvate, nemmeno a Montalcino. . Ciao

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Il mondo è tanto grande, io ho le scarpe fangose e faccio fatica a vedere così lontano.

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Io non lo so quale esperienza tu abbia di vendita di vino nel mondo. Sicuramente Stefano Cinelli Colombini ne ha tanta piu' di me, ma qualche km me lo sono fatto anche io in giro per diversi paesi del mondo. Dall'alto, o dal basso che sia, di questa esperienza non posso che sottoscrivere totalmente quanto detto da Stefano, non e' a colpi di vini "che il mercato" vuole che si conquista il mercato. Primo, perche' quello che il "mercato vuole" non lo sa quasi nessuno, tanta gente ci spende milioni di euro in sondaggi per avere un idea appena accennata, e nonostante questo prende le cantonate. Secondo, perche' il vino e' diversita', non similarita'. Terzo, perche' si deve produrre quello che ci viene bene, e che ci contraddistingue, e poi andarlo a spiegare. E la gente ti amera' per quello. Esperienza personale: non usando piu' neanche un goccio di uve internazionali nei Morellino (anche se non e' ovviamente vietato, come a Montalcino), ho un bel po di vino di Syrah, Cabernet Franc, ecc, che mi avanza. E' tra l'altro un buon vino, con un buon rapporto qualita' prezzo, e quindi l'ho proposto ad una grande catena di enoteche britanniche mie clienti. Mi hanno comprato il Morellino, mi hanno comprato il Vermentino, ma questo vino fatto con uve internazionali no, perche' dall'Italia si aspettano uve italiane, e con quelle fanno un bel lavoro. Guarda un po' che il cosidetto gusto internazionale non se lo siano inventato un gruppo piuttosto ristretto di persone.

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Vignadelmar

circa 12 anni fa - Link

Scusa Giampaolo, a me sembra di aver detto cose molto simili alle tue. Forse ti è sfuggito lo scambio con Stefano poche righe sopra. . Ciao

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Ah, finalmente. Spero e mi auguro che quel che dici venga letto e capito, estensivamente, da un gran numero di produtttori.

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Nelle Nuvole

circa 12 anni fa - Link

Sottoscrivo quanto scritto negli ultimi post da Vigna del Mar, Stefano Cinelli Colombini e Gianpaolo Paglia. Vorrei aggiungere a rinforzo che prima di spandere il Verbo relativamente ai desiderata dei Mercati Internazionali, questi ultimi andrebbero visitati e non solo per manifestazioni o eventi, ma proprio per mangiare in certi ristoranti, visitare enoteche, controllare i cataloghi dei distributori per vedere cosa si vende di più e a che prezzo. Negli ultimi cinque anni e forse pure prima si è via via diluito quello che noi chiamiamo riempiendoci la bocca "gusto internazionale" La classe agiata nordamericana, a cui aggiungerei di recente quella Brasiliana, che viene classificata alla stregua di "ignoranti senza palato" in realtà si è molto scafata, ha viaggiato, ha assaggiato e sta scegliendo in modo molto diverso da quello di dieci anni fa. Purtroppo invece certi "opinion leaders" sono ancora fermi ai pregiudizi degli anni '80 e '90 relativamente alle scelte al di là dell'Atlantico. Che poi questo è il Mercato internazionale con la maiuscola, gli altri per ora sono minuscoli.

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

Vero! In realtà, a cominciare dai politici, per finire con i venditori di ogni mercanzia, la tentazione (e l'illusione) di vendere 'fumo' è sempre stata forte. L'esperienza dimostra invece che poi non c'è rancore più profondo e duraturo di quello che prova un consumatore (si chiamano ancora così!?) che si sente sottovalutato (manco fosse 'il buon selvaggio'). E' ora di lavorare per il futuro, perché il giro del mondo è finito: oltre il Giappone c'è di nuovo l'America!

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gianpaolo paglia

circa 12 anni fa - Link

Giusto, io proporrei una campagna di informazione per demolire il mito del "gusto internazionale". Ci fosse un ente di promozione del vino italiano, vero e che funzionasse, sarebbe uno dei temi su cui battere la comunicazione per i prossimi tre anni, altro che "...fin dai tempi dei romani, in Italia si fa il vino.."

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GiacomoPevere

circa 12 anni fa - Link

Nel mio piccolo trovo piena conferma di quello che dici. Quasi tutte le persone con cui ho avuto a che fare che vivono oltreoceano e che si interessano in qualche modo di vino mi hanno sempre sottolineato come il loro interesse verso il vino italiano sia soprattutto rivolto ai vini territoriali, tradizionali, da uve autoctone. Vini che per la maggiorparte sono impareggiabili nel rapporto qualità/prezzo.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Ben detto Gianpaolo, ma io sarei (oddio!) addirittura un filo più liberista di te; niente campagne contro, solo campagne pro! E pro tutto, pro grandi e piccoli classici con i loro nomi e uvaggi storici, e pro vini nuovi dal gusto internazionale MA SEMPRE E SOLO con nomi nuovi e loro. Se avranno successo li copieremo, e prosit! In fondo è così che tanto tempo fa sono nati i classici, non è vero? PS ma é talebano chi vuole mantenere una piccola minoranza di vini così com'é, o chi vuole farli tutti, ma proprio tutti, internazionalizzati?

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GiacomoPevere

circa 12 anni fa - Link

"non ragioniam di lor, ma guarda e passa"

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Silvana Biasutti.

circa 12 anni fa - Link

Troppo giusto.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Una sera mangiavo in un ristorante della mia città. Accanto a noi c'era una coppia di New York, ci siamo intrattenuti in conversazione, e la Signora mi ha chiesto di assaggiare il vino che stavo bevendo. Avevo ordinato un Bourgogne di de Montille e la Signora americana mi ha gelato dicendomi che per il suo palato era troppo "oaky": sapeva troppo di legno! Io, europeo, dal gusto avvezzo alla ruvidezza dei nostri autoctoni, bacchettato da una Newyorkese! Il gusto internazionale è probabilmente l'invenzione di qualcuno, ha ragione Giampaolo Paglia.

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Montes adesso non cerchiamo di trovare il facile caprio espiatorio. L'eccessivo odore di vaniglia, il gusto pieno e sciropposo, tannini morbidissimi anzi molli e colore inchistro, furono adottatti, inizialmente, da australiani e californiani, primo : per accattivarsi l'approvazione di tutti quei palati che non sopportavano l'asprezza e la ruvidita' di certi francesi e anche italiani di bassa lega; secondo : per sbolognare i loro vini prodotti in aree caldissime. La beffa e' che i nostri produttori, come al solito e in ritardo hanno confuso la mer.. per salsiccia(come si suol dire in certe parti della Sicilia).

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

Era proprio un leonardo di caprio espiatorio

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esperio

circa 12 anni fa - Link

Capro, Massimiliano, capro. La I e' scappata come la O dell'inchiostro e' mancata.

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luciano

circa 12 anni fa - Link

Post molto interessante ma molto difficile da leggere in tutti i suoi interventi, bisognerebbe avere almeno un paio d'ore libere. Non starò qui a disquisire vitigni internazionali no, vitigni autoctoni si' ecc. ecc. Ma su un aspetto vorrei focalizzare il mio intervento : non sono d'accordo sull'affermazione fatta dalla produttrice secondo cui non bisogna vendere i vini ai cinesi o nei paesi " emergenti " quali l' India ecc., solo perchè non li conoscono o non li sanno apprezzare. Questo discorso va molto bene per chi produce poche migliaia di bottiglie e sono sempre tutte vendute. Ma chi ha dell'invenduto ed a fine mese ha la rata del mutuo che scade, si può permettere tutta questa filosofia poetica e romantica ? Allora il punto vero è un'altro : in Cina, cosi' come in ogni parte del mondo emergente, si stanno avviando progetti di istruzione ed aggiornamento per quei consumatori che sapranno sempre piu' apprezzare i nostri prodotti made in Italy. Credo che alla fine della corsa, i 100 euro pagati da un italiano o da un cinese non facciano differenza, almeno non mi risulta che ne esistano. Non dobbiamo arroccarci su posizioni immutabili, solo per nostra esperienza personale, dal confronto e dallo scambio di vedute credo si possa e si debba migliorare tutti quanti, poi come qualcuno in precedenza ha scritto : " meglio vini ottenuti da monovitigno giacenti in cantina, o vini ottenuti con aggiunta di un 10-15 % di altre uve eventualmente tutti venduti ( per ipotesi e tutta da dimostrare, naturalmente ) . Se cosi' fosse ( ma ripeto per pura ipotesi ) sarebbe molto difficile dare torto al Cavaliere....non al Trivella di Arcore, ma a quello di Montalcino. Dall'oggetto del convegno sembra proprio che qualche problema di invenduto ci sia anche in Langa....!

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Gian Paolo Gavioli

circa 12 anni fa - Link

Quando leggo gli attacchi personali, al limite degli insulti, che vengono fatti ad una persona come Rivella, che ho il piacere di conoscere da anni, da parte di addetti del settore dico che noi italiani siamo proprio incapaci di essere uniti e di rendere merito a persone che hanno contribuito in modo importante allo sviluppo della nostra economia. In questi blog leggo tanti commenti di inguaribili romantici del vino che paiono totalmente slegati dalle questioni economiche, come se fare vino fosse solo un bellissimo hobby al pari di dipingere o fare fotografie. Decisamente e meraviglioso leggere le parole, sentire la passione di certe persone nel descrivere il vino, la produzione, le terroir ecc ecc. Ma se la produzione del vino fosse tutta in mano a persone cosi forse l'Italia produrrebbe un ventesimo di quanto produce oggi e la superficie vitata sarebbe di qualche migliaia di ettari.. Nessuno nega quanto importante sia la poesia nel vino. Ma Montalcino prima dei Mariani era molta, molta poesia ed il paese nel 1973 era tra i borghi piu poveri con la gente che emigrava. Anche se Biondi Santi e Colombini facevano da decenni dei grandissimi Brunelli. Rivella quando parla di economia dice una cosa chiara: senza vendite non si va da nessuna parte. Senza vendite non ci sono attivita. Non ci sono soldi. Il resto sono chiacchere, poesie... E nel mondo del vino in Italia ci sono tanti troppi poeti...che pero non sono poi capaci quanto i francesi a tradurre in soldi la loro poesia, almeno a giudicare dalle quotazioni di grand crus francesi vs i nostri. Forse se guardassero di piu il mercato questi cari vignerons non gli guasterebbe, questo e forse la vera sintesi del discorso di Rivella.

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Fiorenzo Sartore

circa 12 anni fa - Link

Caro Gian Paolo, il suo commento è molto interessante: il richiamo ad essere concreti e considerare meglio gli aspetti economici e commerciali relativi al vino è sempre utile, soprattutto in un ambito, come questo, mosso volentieri dalla passione e da quello che lei definisce, giustamente "poesia". Mi spiace che alcuni interventi le siano potuti sembrare irrispettosi nei confronti di Rivella: io non ho il pacere di conoscere la persona, contrariamente a lei, e l'unico giudizio che posso dare sull'uomo mi deriva dalle letture che faccio dei suoi interventi, a partire dalla vicenda "brunellopoli" in poi: e non sempre Rivella è stato leggiadro nei giudizi. Ora, per evitare di infilarci nell'angolo del "chi ha iniziato prima", posso solo dire che, a livello comunicativo, ci deve essere stato qualche tipo di incomprensione: io, per esempio, ho trovato che le parole di Rivella non fossero tanto, e solo, un richiamo alla concretezza, ma assomigliassero ad un duro strattonare chi la pensa molto diversamente da lui. Quanto all'aspetto che mi pare centrale del suo commento, cioè l'esigenza di essere uniti, credo di poter dire che il made in Italy sia composto da aziende artigianali che determinano l'essenza del prodotto, ed aziende più dimensionate, definibili "industriali", senza alcuna accezione negativa (mi creda), che hanno l'opportunità di vendere su mercati internazionali quel tipo di prodotto che è appetibile in ragione (appunto) della sua essenza iperqualitativa. Nel gioco del rispetto reciproco, questo dovrebbe essere appunto bidirezionale. Mentre io trovo che certe prese di posizione ultime, dove l'industria finisce per rinnegare gli elementi essenziali della qualità, determinano una seria contraddizione. In sostanza: se l'industria agroalimentare riesce ad essere fieramente propositiva all'estero, lo deve all'alta qualità del suo artigianato. E ovviamente ai potenti strumenti di marketing di cui dispone, che finiscono per essere utili anche ai piccoli produttori, in una sorta di ricaduta positiva, o circolo virtuoso. Da qui, certamente, l'esigenza di essere uniti, ma non a discapito dei fondamentali. Qui su Intravino, avrà visto, ultimamente abbiamo pubblicato un intervento di Stefano Cinelli Colombini che tratteggia una breve storia dell'area ilcinese; ne esce fuori la grande risalenza della vocazione territoriale, nemmeno ristretta alle due aziende che anche lei cita. Dunque per concludere: senza vendite non si va da nessuna parte. Ma un prodotto senza terroir, senza poesia, senza storia, si vende molto male.

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Massimiliano Montes

circa 12 anni fa - Link

"almeno a giudicare dalle quotazioni di grand crus francesi vs i nostri" Appunto. I grand crus francesi sono un prodotto di nicchia, non nazional-popolare. Non è possibile mantenere alte le quotazioni inseguendo un mercato globale caberlottizato con produzioni in stile cinese. L'unico modo per vendere nel mercato futuro è essere diversi. Ornellaia o Sassicaia o lo stesso Gaja vendono un immagine. Solo quella. Non vendono i loro vini perché sono morbidi e piacioni. Paradossalmente oggi potrebbero metterci di tutto nelle bottiglie: venderebbero lo stesso, vendono l'etichetta non il vino. Allora, l'unico strumento per i produttori che non vogliono soccombere, è quello di crearsi un'immagine di diversità, piuttosto che di omologazione ai mercati internazionali. Così come abilmente fanno i francesi.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 12 anni fa - Link

Gentile signor Gavioli, la sua lettera è davvero divertente. Un po’ retrò, ma divertente. Ma quando quelli che si proclamano adoratori delle questioni economiche inizieranno a basare i loro ragionamenti sui DATI economici? Quelli veri e controllati, ben s’intende, e faccio un esempio. Dopo il “ritorno al puro sangiovese” causato dall’inchiesta i fautori del taglio avevano previsto un crollo del Brunello, o almeno un calo; come è andata? Il prezzo del Brunello sfuso non è mai stato così alto, l’enorme invenduto è stato eliminato in un anno e mezzo e da due anni battiamo ogni record di vendita. Il mercato ha dimostrato che NONOSTANTE LA CRISI il Brunello tradizionale di puro sangiovese si vende di più; sbaglio o lei ed il cavalier Rivella dite che il mercato ha sempre ragione? Vede, qui non è una questione di romantici o pragmatici, è da ingenui crederlo. Il problema è che (poche) ditte hanno sbagliato i loro programmi ed hanno piantato a Montalcino tanti ettari di vitigni alloctoni invendibili (sia come vigne sia come vino) mentre il mercato remunera con alti prezzi solo il sangiovese. Mi spiace per loro, ma non possiamo cambiare i disciplinari ANDANDO CONTRO IL MERCATO per fare i comodi di poche ditte, suicidarci in questo modo sarebbe proprio l’azione da romantici che lei deplora. Quanto alla sua ricostruzione dell’effetto miracoloso dell’avvento dei simpatici fratelli Mariani a Montalcino, non sono in grado di valutarla perché io sono un cultore della storia e dei numeri, non della fantascienza.

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Alessandro Dettori

circa 12 anni fa - Link

Non ho letto tutti i post per mancanza di tempo pertanto non so se qualcuno abbia mancato di rispetto al cav. dr. Rivella. Il Dr. Rivella va rispettata in quanto Persona. Si possono però rivolgergli tutte le critiche possibili ed immaginabili alla sua figura professionale ed al lavoro che ha svolto. Chiaramente critiche obbiettive e sopratutto educate. Non condivido affatto tutte le scelte enologiche e commerciali messe in atto da Rivella e da tutti coloro che lo hanno imitato e seguito. Gli dico grazie perché oggi abbiamo ben chiaro un esempio da non seguire. Ed il mio non essere d'accordo è suffragato da ragionamenti e risultati economici. Il problema è la bivalenza killer del: gustointernazionale/industrializzazionedell'agricoltura che al contrario di quello che dice lei, avrebbe ucciso la viticoltura italiana se non ci fossero stati tanti agricoltori disposti a rischiare tutto sul Terroir. Lei dichiara una cosa molto forte a discredito di noi artigiani, quando riferisce che se l'agricoltura fosse stata in mano a gente come noi si avrebbero poche migliaia di ettari. Lei è al corrente che a causa del bionomio di cui sopra ( gustointernazionale/industrializzazionedell'agricoltura) le superfici vitate sono diminuite di oltre il 40%???????????????????????? Lei è al corrente che tanti noi piccoli artigiani che facciam Terroir non possiamo impiantare? Perché dovremmo acquistare dei diritti di impianto che non si trovano? A Sennori e Sorso prima degli espianti selvaggi c'erano 7.000 ettari, oggi solo 1.600. Moltiplichi le cifre per i centinaia di Terroir italiani......Perché hanno espiantato? Perché nessuno vent'anni fa avrebbe mai acquistato un Vino fatto solo con l'Uva. Un vino che sapesse di Cannonau o che sapesse di Sangiovese. La gente voleva bere facile, voleva sentire il legno, il cabernet e il merlot e lo voleva pagare poco anzi pochissimo. I contadini non avevano la cultura e qualche spicciolo da parte per continuare la propria strada controcorrente ed hanno espiantato. Senza i custodi del Terroir (gli agricoltori) le campagne si spopolano e si perdono tessuti economici e culturali. Insomma, si perde il Terroir. Unico vero FUTURO per l'Italia AGROALIMENTARE. Chi vende vince ed ha ragione. Sono veramente in accordo. Infatti i vini gustointernazionale/industrializzazionedell'agricoltura VENDONO MOLTO DI MENO nei paesi evoluti, ed è per questo che stanno trovando nuovi spazi nei mercati asiatici. Diciamolo...le aziende dal gusto internazionale non stanno più vendendo come prima. Avete paura a dirlo? Ad ammetterlo? Esperienza mia e dei miei colleghi che sempre più spesso veniamo visitati da importatori "altolocati" che stanno creando listini e cataloghi di vini naturali dicono loro. Di Terroir dico io.

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vino barolo

circa 12 anni fa - Link

ogni prodotto deve restare al suo territorio. a prescindere da tutte queste polemiche.

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