Excelsior! Calvenschlössl ed il Marienberg, la vigna più alta delle Alpi

Excelsior! Calvenschlössl ed il Marienberg, la vigna più alta delle Alpi

di Thomas Pennazzi

La vigna più alta delle Alpi per ora si trova in val Venosta/Vinschgau.

Questo titolo pare sia assai ambito, perciò la notizia vi sarà giunta già in più occasioni. Una volta da Visperterminen in Vallese (Svizzera) a 1.150 m (lat.46°N), o magari da Cortina d’Ampezzo (la vigna pare sia poi gelata), un’altra ancora da Morgex (Aosta), oppure dalle balze del passo della Mendola. L’altitudine ormai non fa più paura ai vignaioli, ed i loro sforzi finiscono col realizzare lo slogan di una fortunata pubblicità d’antan, protagonista Mike Bongiorno: sempre più in alto!

Per un pugno di metri non state leggendo della vigna più alta d’Europa: se siete assai pignoli obietterete infatti che il primato (a 1368 m, lat.37°N) spetta all’azienda Barranco Oscuro, che si trova alle pendici della Sierra Nevada, in Andalusia, e guarda l’Africa.

Tutti questi tentativi enoici meritano la vostra attenzione: far vino in alta quota non è una passeggiata, ci vuole coraggio ed anche un pizzico di fortuna, oltre che la capacità tecnica. Qualcuna delle vigne citate è in regolare produzione da anni, altre sono rimaste allo stadio di esperimento, e si ha notizia pure di qualche centinaio di barbatelle piantate in Austria (lat.47°N) all’impressionante quota di 1.500 m: vedremo cosa potrà succedere, oltre al loro congelamento.

Ma a noi interessa solo quello che finisce nel calice. E per fortuna a Laatsch la cantina esiste davvero e ha vinto la sua scommessa, grazie al favorevolissimo microclima venostano ed all’aiuto dei docenti delle due scuole enologiche, la sudtirolese di Laimburg e la tedesca di Geisenheim, che hanno sostenuto il progetto dell’aziendina d’alta quota.

Che si chiama Calvenschlössl, ed i suoi titolari Van den Dries, una famiglia fiamminga originaria di Anversa, la cui lunga frequentazione turistica dell’alta Venosta ha portato a stabilirsi in questa deliziosa frazione del comune di Mals in Vinschgau, all’imbocco della svizzera Val Müstair.

Immaginatevi un angolo tra due valli, una muraglia rocciosa strapiombante, e sull’ultima balza tra questa ed il piano, un’isolata casetta tirolese: nel poco spazio inerbito che divide la rupe dalla dimora, l’operosa famiglia belga ha strappato al gneiss col piccone il proprio giardino ed un ettaro scarso di vigna con pendenze valtellinesi, o se vi piace di più, renane. Questo è il nucleo iniziale della cantina, a 1.000 metri tondi d’altezza. Dite pure che è viticoltura eroica, vi sarà volentieri perdonato: perché qui non viene in soccorso né elicottero né monorotaia, ma solo l’asino.

laatsch

Ma Frans e la figlia Hilde Van den Dries non erano soddisfatti. Volevano avere di che vivere dal loro essere vignaioli, e cercavano nei dintorni un altro vigneto per realizzare questo sogno: non si rendevano forse conto nel loro Wähnen di essere alla ricerca del Santo Graal, in una valle in cui la coltura della vigna ha il suo centro una quarantina di chilometri più a sud, nella Bassa Venosta tra Naturns e Kastelbell, con qualche rara eccezione più settentrionale, però ben sotto i fatidici 1.000 m.

Il Graal si è miracolosamente trovato nel 2013, quando il monastero benedettino di Marienberg (Monte Maria), millenaria sentinella sui tornanti che salgono al lago di Resia, ha loro concesso il terreno alle sue pendici, dando fiducia a questa piccola famiglia di sognatori. Troppo ripido quel versante per le povere brune alpine, che ci lasciavano sistematicamente gli stinchi. Ecco allora i Van den Dries terrazzare il lato sud dello scosceso pascolo, ed impiantarvi 6.200 barbatelle, tra bianche e rosse. Il vigneto, a ben 1.340 m di altezza (lat.46°,4 N), è in produzione dal 2016, e ha appena donato la sua quarta vendemmia, avvenuta tra la seconda decade di ottobre e la prima di novembre, gelo permettendo.

Ma che uva si coltiva a queste altezze? Non c’è quasi vitigno che possa sfidare impunemente i rigori della quota alpina, nonostante il clima mite, secco e ventoso della val Venosta, quanto mai favorevole alla frutticoltura. Non certo Sylvaner, né Müller Thurgau, quindi, ma Solaris, Muscaris e Souvignier Gris per i bianchi e Cabernet Cortis per i rossi. Perché?

L’uso delle varietà di viti fungo-resistenti (dette PIWI) è appropriato oltre che per la loro robustezza nelle difficili condizioni climatiche, anche per motivi pratici: le superfici coltivabili esigue ed in forte pendenza non sono raggiungibili con i trattori; le viti in condizioni di altitudine estrema inoltre sono poco vigorose e dunque scarsamente produttive. Le perdite in caso di infestazione fungina condurrebbero perciò le aziende a fallire la vendemmia, con conseguenze gravi sulla loro già rischiosa attività. L’impossibilità di trattare agevolmente le uve orienta quindi verso questi vitigni, che si stanno dimostrando, raccolto dopo raccolto, adatti alla produzione di vini di qualità.

Non è una sorpresa che la politica agronomica di Calvenschlössl sia improntata alla biodinamica, anzi oltre. Gli appassionati vignaioli fiamminghi sono rimasti insoddisfatti dalle regole restrittive, ma a loro giudizio ancora troppo commerciali, dei vari marchi bio, Demeter® compreso, ed hanno deciso di andare per la propria strada, senza rame e senza zolfo: un ulteriore sogno, direte. Ma ogni tanto deve pur apparire al mondo un puro folle, un Parsifal.

vandendries

Le lavorazioni sono quindi fatte nel solco indicato da Rudolph Steiner, impiegando come trattamenti antiparassitari le tisane prodotte dalle erbe di casa e da quelle spontanee, e trappole antiparassitarie all’aceto mielato e sapone; in più si cerca di valorizzare al meglio la ricchezza del suolo vergine in cui crescono le piante. L’ambiente circostante le vigne è semi-selvatico: tra i filari trovate erbe di montagna, fiori spontanei, piante aromatiche, trifogli, avene, ortiche, con il più grande rispetto per la biodiversità delle creature vegetali ed animali che ci vivono. L’unica concessione alla tecnologia è l’irrigazione goccia a goccia, utile per l’estrema scarsità di precipitazioni della val Venosta. In vigna ci si serve anche dell’aiuto dei tre simpatici asini di casa, Gina, Leila, e Cornelius, sia per le lavorazioni che per la vendemmia.

La minuscola cantina, ricavata nella roccia sotto la casa, ha tutto ciò che serve a lavorare il frutto delle sue vigne: qui la politica è fermentazioni spontanee, poco interventismo, un uso misurato dei solfiti, e qualche barrique, che — sia detto tra noi — si potrebbe tranquillamente evitare, almeno nei vini bianchi: ma a loro piace così.

Marienberg è il nome dell’altissimo vigneto, come il monastero. L’abate stesso, nato in un villaggio vinicolo del Palatinato, si felicita di questo esperimento eco-enologico sotto le mura dell’abbazia, e qualche volta, alle prime luci dell’alba, si degna di porgere il suo aiuto pratico in vigna: è pur sempre un monaco benedettino, consacrato al lavoro. E siamo certi che i frati non tralasceranno le preghiere per una ricca vendemmia: anche loro ne berranno di questo vino, tra la messa ed il refettorio.

L’incontro con il Marienberg Weiss è di quelli che lascia il segno. Ti aspetti un bianco flebile, sottile e nervoso come lo sono i vini di montagna, forse banale, e lui ti sorprende: non è come credevi, a cominciare dai 13°,5 ben integrati nella materia; acidità, stoffa e profumi non hanno nulla da invidiare ai fratelli della Bassa Venosta.

Ma il Solaris è fuori dai canoni dei bianchi tirolesi. In sé conserva un che di esotico dalla sua complicata ascendenza: e quel qualcosa gli dona fascino, non c’è che dire. Come nella Montagna Magica di Mann, il protagonista Hans Castorp nel sanatorio di Davos è prima sedotto e poi perduto d’amore dall’incanto dei lineamenti calmucchi di Claudia Chauchat, così il bevitore viene ammaliato dai rustici tratti siberiani di questo vitigno, che egli non si aspetta e che pure lo avvincono: l’occhio a mandorla e lo zigomo alto esistono anche nel vino? Chissà.

Ma com’è infine questo calice d’alta quota? Qui cedo il passo ad un vero wineblogger, l’amico Graziano Nani, figlio degli stessi monti retici, che vi racconterà il carattere del frutto di questa vigna magica.

La bevuta apre coriacea come i caratteri di chi abita le montagne da sempre. Sospettoso e sulla difensiva, di primo impatto scruta il bevitore dall’alto dei suoi 1.340 metri senza fiatare, avvolto in una coltre di roccia impenetrabile. È la stessa roccia a rendersi d’un tratto espressiva, per aprire un primo spiraglio all’assaggio. Una verticalità scoscesa quanto le terre da cui proviene il vino, che offre pochi appigli e trascina la bevuta in un percorso di acidità vertiginose.

Poi, come in tutti i posti di montagna che si rispettino, basta un raggio di sole e con un po’ di caldo tutto si trasforma. Il clima da rigido si fa mite, le vallate sorridono e dal piumino si passa alla t-shirt.

Ecco che con qualche grado in più si fa largo il carattere semi-aromatico del Solaris. Il naso diventa floreale, prima i fiori più delicati, poi quelli più intensi come la ginestra e il gelsomino, in un bouquet che va allargandosi sempre più. In bocca il frutto dischiude a poco a poco la sua polpa. I ricordi vanno verso la pesca, poi la temperatura li accompagna verso il litchi e l’ananas. Così l’aromaticità conquista anche il sorso, rendendolo ricco e pieno. Ne versiamo un altro goccio e incredibilmente si torna da capo. Coltre di roccia, spiraglio verticale, poi i fiori e infine la frutta.

Il Marienberg Weiss è un vino estremamente sensibile all’ossigenazione e soprattutto alla temperatura: mai visto niente di simile. Ogni volta che si versa nel calice si riparte dall’inizio: ha bisogno del proprio tempo prima di tracciare lo stesso percorso del bicchiere precedente. È il suo pattern comportamentale, il suo sistema di difesa e protezione, quasi a voler custodire un racconto che si apre solo a chi ha vedute abbastanza ampie da voler scoprire una storia straordinaria: la storia della vigna più alta delle Alpi.

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Thomas Pennazzi

Nato tra i granoturchi della Padania, gli scorre un po’ di birra nelle vene; pertanto non può ragionare di vino, che divide nelle due elementari categorie di potabile e non. In compenso si è dedicato fin da giovane al suo spirito, e da qualche anno ne scrive in rete sotto pseudonimo.

4 Commenti

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Stefano

circa 4 anni fa - Link

Assaggiati un paio di volte, io ho sempre trovato molto "fondo" nelle bottiglie, quasi cristalli di zucchero o tartrati. A voi è successo?

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Nic Marsél

circa 4 anni fa - Link

Sarà la novità ma il lato aromatico del Solaris è quello che preferisco. La suggestione nell'assaggio, con una storia così, è come minimo un dovere.

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Daniele

circa 4 anni fa - Link

Ma esiste in vendita o é solo mitologia?

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Thomas Pennazzi

circa 4 anni fa - Link

La produzione è piccola: viene venduta in cantina, e distribuita nel Sud Tirolo, in Belgio, ed in Germania. Non credo se ne trovi altrove.

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