El Celler de Can Roca, o del pranzo della vita

El Celler de Can Roca, o del pranzo della vita

di Lisa Foletti

Ormai viaggio soltanto per sedermi a tavola. Macino chilometri con l’unico scopo di visitare i luoghi del cibo e del vino. Conosco le città e i Paesi attraverso i loro ristoranti. Ogni tanto inciampo in qualche sasso antico o cedo al romanticismo di un paesaggio ameno, ma sostanzialmente le mie escursioni ruotano intorno ai pasti. Gli odori e i sapori sono potenti detonatori di emozioni, e per questo vado continuamente cercando lo schiaffo di un gusto inedito o il comfort di un profumo rassicurante, le suggestioni di un piatto memorabile, la sorpresa di una bottiglia divertente o il calore di una grande accoglienza. Vivo posseduta dal demone della cucina e della cantina.

E così sono approdata al Celler de Can Roca, a Girona (ES), uno di quei posti mitologici sempre in testa alle classifiche mondiali, osannato da pubblico e critica, imprescindibile per i fanatici del gusto. Uno di quelli su cui è già stato detto tutto, più o meno da tutti.

Accumulare esperienza significa, fra le altre cose, avvicinarsi a un luogo del genere senza lasciarsi schiacciare dalla sua fama; tuttavia, nemmeno il gastromaniaco più navigato può trattenere un filo di eccitazione e di soggezione all’ingresso di questo tempio, complice anche la lunga attesa che segue la prenotazione (11 mesi). Io non ho fatto eccezione.

Tendenzialmente rifuggo le agiografie e le icone: la santificazione di un uomo, vivo o morto, mi procura sempre un certo fastidio. Per questo mi sono sforzata di approcciare i fratelli Roca e la loro “casa” senza lasciarmi fagocitare dal loro mito. Ma l’impresa è stata ardua.

Già il locale seduce dall’esterno, con l’insegna metallica che campeggia su tutto quel legno e, al di sopra, si staglia un edificio in pietra a vista che pare un piccolo castello: è l’abitazione di chef Joan. Ma il meglio lo offre all’interno, perimetrato da vetrate che sembrano risucchiare la luce del giorno, come gli esili tronchi d’albero che svettano al centro della sala, racchiusi in una teca, a squarciare il soffitto. Tavoli ampi e rotondi, che quando ti siedi hai l’impressione di stare da solo sul cuor della terra: quello destinato a noi è persino delimitato da un grande gueridon che crea l’effetto privé.

Un giovane cameriere italiano che sembra uscito da un’agenzia di moda (e invece proviene dall’ALMA di Colorno) ci accompagna per tutto il pranzo, distinto, sorridente, con un savoir faire quasi alieno. Tutt’intorno, un’aria di professionalità e informalità, rigore e distensione, una danza calma e leggera che avvolge l’intera sala in uno sciamare di camerieri e sommelier, presenti eppure impercettibili, eterei. Gesti impeccabili e collaudati al servizio dell’empatia, per un risultato coinvolgente che induce presto gli ospiti ad allentare il nodo della cravatta.

La prima bordata arriva con la carta dei vini, anzi, con i tre tomi della carta concepita da Josep – bianchi e bollicine nel primo, rossi e rosati nel secondo, distillati e liquori nel terzo. Impossibile non sgranare gli occhi di fronte ai prezzi, talmente competitivi che vien voglia di ordinare grandi bottiglie, e in grande quantità. La nostra scelta però ricade sul wine pairing, allettante anche per chi, come me, non è solito farsi guidare negli abbinamenti – spesso per diffidenza, a volte per questione di portafogli. Qui tutto infonde fiducia, e 110€ per un “maridaje de vinos” completo è poca cosa.

Scegliere poi il menu degustazione più lungo (Festival) è il minimo che si possa fare, soprattutto se il costo è di 225€. L’alternativa è il menu dei classici, al costo di 190€, ma non si può essere morigerati proprio qui.

Ciò che accade nelle 5 ore successive è una matassa di sensazioni difficile da dipanare. Ho bene impressi l’attenzione intorno al nostro tavolo e l’ascolto silenzioso del nostro ritmo, al quale tutto il personale si accorda senza perdere mai il filo del discorso. Poi mi restano fotogrammi, frammenti, acuti. E la memoria di un abbinamento vini entusiasmante, come mai mi era capitato prima: a ogni calice, l’abbraccio con il boccone e il gioco di cromatismi lasciano di stucco più ancora del vino in sé, rendendo spesso il binomio inscindibile.

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È anche la prima volta che mi viene la pelle d’oca nell’assaporare un piatto che non sia strettamente legato ai ricordi. Si tratta di uno dei tanti bocconi che precedono le portate vere e proprie: un bao ripieno di crema al tartufo bianco, piccolo panino cotto al vapore che sembra quasi di gommapiuma e profuma intensamente di quel fungo tanto amato anche in Italia. Lo metto tutto in bocca e il gesto automatico della masticazione fa schizzare il contenuto cremoso in tutti gli anfratti del cavo orale, fin su nell’ipotalamo, provocando all’istante un’emozione così forte da farmi rizzare i peli sulle braccia.

Sensazione simile, anche se un filo più cerebrale, all’assaggio del dessert fuori menu che abbiamo deciso di concederci, piatto di riferimento del pasticcere Jordi: Viaggio a L’Avana, un dolce che incorpora nel gelato il fumo di un sigaro cubano, per poi avvolgerlo in una foglia croccante di cioccolato. Sembra concretamente di masticare fumo di tabacco dolce – pazzesco per chi, come me, non fuma.

Questi i vini (venti!) che abbiamo degustato, accanto ai piatti in abbinamento:

– Jacques Lassaigne Blanc de Blancs Brut Nature 2008: bollicina extra pairing, scelta da noi come aperitivo – grande millesimo per uno Chamapagne elettrico, salivante e deliziosamente lungo, a un prezzo commovente (110€ in carta).

– Mestres “Clos Nostre Senyor” Gran Reserva 2008 D.O. Cava (65% xarel.lo, 20% macabeo, 15% parellada): abbinato a “Il Mondo”: lo spumante paga lo scotto di arrivare dopo uno splendido Champagne, e di accompagnare una composizione di amuse-bouche tanto scenografica quanto golosa, una geografia di suggestioni che cattura totalmente l’attenzione.

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– Ars Natura Líquida Vermut Negre  abbinato a “Il Bar di Can Roca”: da amante dei vermouth non posso che apprezzare la scelta di questo aperitivo intensamente aromatico, di carattere, in accompagnamento ai finger che evocano l’infanzia e le radici dei fratelli Roca.

– Solear Manzanilla “Pasada Saca Primavera” 2019 D.O. Sanlúcar de Barrameda (palomino fino): felicissima la scelta di uno sherry secco con le ultime entreé, tra le quali spiccano i bao al tartufo, ipnotici.

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– Grans-Fassian Apotheke GG 2013 V.D.P. Grosse Lage (riesling): abbinato a “Mari e Monti: alghe, erbe e fiori”: non un vino memorabile, ma un pairing notevole con la marca verde e iodata di questo bel piatto.

– Domaine Vacheron “Les Romains” A.O.C. Sancerre (sauvignon): abbinato a “Foglia di Fico”: orzata con foglia di fico, ravioli di zucchina e fiori di zucca, salsa di pistacchio e olio”: anche in questo caso, vino nella norma ma felice maridaje con il piatto spiccatamente morbido e vegetale.

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– La Perdida “O’Pando” 2018 Ourense (godello, doña blanca): abbinato a “Insalata di tonalità arancioni con bottarga e riccio”: stupendo accostamento cromatico sui toni dell’arancio per questo macerato fresco e goloso.

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– Frisach “Les Alifares” 2018 D.O. Terra Alta (grenache gris): abbinato a “Sottaceti di primavera con salsa romesco di noci”: anche qui vince il richiamo cromatico sui toni dell’ambra, ammaliante.

– De la Riva “La Riva-Macharnudo” Vino Blanco 2017 D.O. Jerez (palomino fino): abbinato a “Ajoblanco di sgombro”: la lieve ossidazione del vino gioca piacevolmente con l’aromaticità dell’aglio e dello sgombro.

– Fazenda Pradio Merenzao 2017 D.O. Ribeira Sacra (merenzao – nome locale del trousseau): abbinato a “Anguilla affumicata con ciliegie”: squisita interpretazione dell’anguilla, la cui grassezza limosa è ben spalleggiata dal tannino fluido del merenzao.

 

– Heymann-Löwenstein “Uhlen R Terroir Roth Lay” 2015 (magnum) V.D.P. Grosse Lage (riesling): abbinato a “Gambero di Palamós marinato in aceto di riso”: un potente riesling accompagna la quintessenza del gambero, da gustare in diverse declinazioni (goduriose le zampette fritte).

– Finca L’Argatà “Darmos” 2016 D.O. Montsant (garnacha): abbinato a “Scampi con salsa di sobresada, velouté di scampi, gelée di prezzemolo”: rosso perfetto con la salsa di sobresada e bisque, dal gusto penetrante.

– Ossian 2016 Vino de la Tierra de Castilla y Léon (verdejo): abbinato a “Merluzzo semistagionato, salsa delle sue lische, pesto di asparagi e rucola, piparras alla griglia”: l’attenzione è tutta per questo merluzzo dalla consistenza burrosa e dal sapore intenso, un piatto apparentemente semplice che riecheggia lungamente nella memoria.

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– Lopez de Heredia “Viña Tondonia Rosado” Gran Reserva 2009 D.O. Rioja (garnacha tinta 60%, tempranillo 30%, viura 10%), abbinato a “Scorfano al vapore farcito di alghe e anemoni di mare”: lo splendido scorfano viene presentato intero e porzionato al tavolo con eleganza e precisione chirurgica, ma il focus è sull’abbinamento, di fronte al quale persino il blasone del vino cede il passo – rosa su rosa, e una decisa avvolgenza. Da notare che questo vino non era previsto nel pairing, ma uno dei commensali l’ha menzionato durante uno scambio di battute con il sommelier, e questi ha voluto farci una sorpresa.

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– Finca Masia Esplanes “Dau al Cep” 2000 D.O. Montsant (syrah 40%, garnacha 30%, cariñena 20%, cabernet sauvignon 10%): abbinato a “Pollo ruspante arrostito con la sua cresta”.

– Verset A.O.C. Cornas (syrah): abbinato a “Pastrami di vitello con purea di sedano rapa e verdure sottaceto”.

– Joh. Jos. Prüm “Graacher Himmelreich” Spätlese 2016 V.D.P. Mosel (riesling), abbinato a “Petricore: distillato di terra, gelato di sciroppo di pino, biscotto di carruba, polvere di abete, teula di cacao”: anche il mitico Prüm si inchina di fronte a un dessert tanto sconcertante, in cui Jordi regala suggestioni profonde di umidità e sottobosco, distillando (nel vero senso della parola) la terra dei suoi amati boschi.

– Katsuyama “Gen” Sake dolce: abbinato a “Fiore Bianco: sambuco, acacia, fiori d’arancio, guanabana, litchi, mela verde”: incantevole l’accostamento, così come il dessert, prezioso, delicato e odoroso.

– Quinta Do Noval Porto Tawny 20 años: abbinato a “Torta cremosa di yogurt di pecora e fichi”.

– Porcellànic Vino Dulce Natural “Cal Roget”  D.O. Penedès (macabeo, xarel.lo): abbinato a “Viaggio a L’Avana”: malgrado il fascino del vino, l’attenzione è tutta sul dessert, potente.

A oggi, il pranzo migliore della mia vita.

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Lisa Foletti

Classe 1978, ingegnere civile, teatrante, musicista e ballerina di tango, si avvicina al mondo del vino da adulta, per pura passione. Dopo il diploma da sommelier, entusiasmo e curiosità per l’enogastronomia iniziano a tirarla per il bavero della giacca, portandola ad accettare la proposta di un apprendistato al Ristorante Marconi di Sasso Marconi (BO), dove è sedotta dall’Arte del Servizio al punto tale da abbandonare il lavoro di ingegnere per dedicarsi professionalmente al vino e alla ristorazione, dapprima a Milano, poi di nuovo a Bologna, la sua città. Oggi alterna i panni di sommelier, reporter, oste e cantastorie.

18 Commenti

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Paolo A.

circa 4 anni fa - Link

Fa piacere che all'estero persino i tristellati abbiano dei ricarichi umani sui vini. Qui in Italia già i monostellati spesso propongono ricarichi improponibili, credo con l'intenzione di recuperare le perdite di gestione...ottenendo il risultato esattamente opposto.

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ricarichi

circa 4 anni fa - Link

io ormai difficilmente prendo vino al ristorante, e se stellati nemmeno i calici! ci rimettono loro, di sicuro non gli regalo soldi! cioè vini con ricarichi ridicoli! bah

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Lievitiindigeni

circa 4 anni fa - Link

Stupore e ammirazione....

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Antonio C.

circa 4 anni fa - Link

Bellissima esperienza, nel racconto di Lisa traspare tutta la sua passione per il buon cibo ed il buon vino. Rimarchevole comunque il prezzo sia per il menù che per il percorso di vini al calice, unica nota "stonata" gli 11 mesi di attesa! Comprensibili alla luce del prezzo

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Siro

circa 4 anni fa - Link

Pranzo della vita nel senso che è durato una vita...forse un po’ troppo anche per il tre stelle nr 1 al mondo

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Davide Bruni

circa 4 anni fa - Link

Ma se prendo penne all'amatriciana e vino sfuso della casa resto sotto i 100 euro? Magari il caffè lo prendo al bar di fronte ....😹😹 Ciao a tutti ✌

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marcow

circa 4 anni fa - Link

"Tendenzialmente rifuggo le agiografie e le icone: la santificazione di un uomo, vivo o morto, mi procura sempre un certo fastidio. Per questo mi sono sforzata di approcciare i fratelli Roca e la loro “casa” senza lasciarmi fagocitare dal loro mito. Ma l’impresa è stata ardua", E, secondo me, non è riuscita.

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Aurora N

circa 4 anni fa - Link

Penso che sia diffuso un sensazionalismo culinario, un tentativo di stupire a tutti i costi, spesso con accostamenti improbabili o effetti scenografici dove più che un piatto sembra di guardare un quadro di Picasso. La suggestione di trovarsi nel ristorante TOP produce una sorta di effetto placebo che ci porta ad esaltare qualunque cosa ci venga offerta. Lo stesso concetto di menù degustazione mi lascia perplessa. Al ristorante non si può andare con la pancia piena per spiluccare le creazioni dello chef. I miei ricordi più belli, sono legati a quelle trattorie di famiglia che nel loro genere, nella loro essenzialità, hanno fatto grande la cucina italiana. In questi posti, che siano di mare o di montagna,si trovano quei piatti che aprono un mondo di emozioni, che rimandano direttanente a profumi e ai ricordi dell'infanzia, alla spensieratezza, ai sapori perduti, ai profumi di casa. Senza sifoni, senza azoto liquido.Senza effetto placebo. Per questo, in queste trattorie di paese, ogni pranzo può diventare il pranzo della vita. Dietro non c'è l'iperbole di un individuo ma la trasmissione di una esperienza plurigenazionale che fa parte della nostra storia e quindi è già cultura. Ma il mio è solo il modo di pensare e vivere la vita, di una che prima sceglie la bottiglia da aprire e poi il piatto da abbinarc .

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Paolo A.

circa 4 anni fa - Link

Però anche basta con questa litania sulle care vecchie trattorie tradizionali vs locali stellati. Sono 2 cose diverse e possono convivere tranquillamente nello stesso tempo sullo stesso pianeta.

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Mirko

circa 4 anni fa - Link

Concordo con te. Dei piatti proposti negli ultimi cinque anni nei migliori stellati, quanti ne rimarranno in carta tra 5/10 anni? Fermo restando che sono proposte adatte proprio ad un menù degustazione, la cucina tradizionale propone dei classici che allietano i nostri sensi da decenni e lo faranno per decenni ancora. Ognuno poi è libero di andare a mangiare dove gli pare e spendere i suoi soldi come vuole.

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Monterosso

circa 4 anni fa - Link

Aurora N dove sei?? Ti sposo!!!!!(anche nel caso fossi maschio)

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Aurora N

circa 4 anni fa - Link

Guarda, proposta più bella di matrimonio non potevo desiderare! Langhe e Borgogna appena posso, poi nella ridente ed oramai ex operaia Terni.

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marcow

circa 4 anni fa - Link

Condivido il commento di Aurora. Mirko ha espresso un concetto importante. La cucina degli stellati è una cucina effimera: delle migliaia di piatti dei menù degli ulrimi 10 anni pochissimi sono ricordati e sono diventati dei CLASSICI. I menù cambiano spesso come le mode. Quello che non si vuol capire è che i Classici della Cucina I taliana riescono a emozionare sempre anche se di mangiano con molta frequenza. E chi apprezza questa cucina non ha un palato di serie B. Ognuno può mangiare quello che vuole. Non concordiamo sull'ESALTAZIONE che viene fatta della cucina degli stellati. Se si rivedono i dibattiti degli ultimi dieci anni questa esaltazione è stata fatta molto spesso esplicitamente proprio in contrapposizione alla cucina della tradizione. Poi se si leggono attentamente i menù degli stellati, e si fa un' ulteriore ricerca di approfondimento nel web, spesso ci si accorge che alcuni piatti sono delle prese per il c.... Non c'è creatività.

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Mirko

circa 4 anni fa - Link

Se posso aggiungere una cosa, è che a mio parere rimane una cucina da una botta e via. Riusciresti a mangiare per 30 giorni le portate di un menù degustazione? Dopo qualche giorno, verrebbero a noia perché la ricerca del sensazionale, ti colpisce la prima volta ma poi diviene stucchevole. Proprio come quei vini iperconcentrati e laccati dal rovere che andavano di moda fino a poco tempo fa. Quelle guide che li hanno portati sugli allori, adesso tentano in modo maldestro di rifarsi una verginità con l'esaltazione dei vini naturali. Tra qualche anno, mi aspetto che accada qualcosa di similecon la cucina .

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Sto con voi ragazzi. Vado a rifugiarmi da "Bacchettone e Zaza" Scorzone grattugiato su frittatona e valmaggiore di Abrigo. Merenda della vita.

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Aurora N

circa 4 anni fa - Link

Roero?

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Si ma Gianni Abrigo, proprio come Sandrone, Giacosa e Marengo lo imbottiglia come Nebbiolo d'Alba. Terreno sabbioso, pendenza da capogiro. Vino straordinario. Nelle migliori espressioni ricorda un Barolo delle Rocche di Castiglione.

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Ivan fiorilla

circa 4 anni fa - Link

Ci sono stato un mesetto fa, purtroppo non mi ha entusiasmato, fantastici i benvenuti ma poi grande classicismo e nulla di interessante. L'abbinamento è stato discreto, non all'altezza sinceramente e cosa terribile è stato notare che hanno servito esattamente gli stessi vini anche al tavolo a fianco al nostro che aveva un menù completamente diverso, as esempio il Ulhen 2015 di Heyman Lowenstein che a noi è stato servito con il gambero, al tavolo a fianco è stato servito con l'anatra e castagne. Forse memori da altre grandi esperienze in giro per la Spagna, El Celler è stata un pò una "delusione", detto questo, carta vini spaziale e ricarichi che in Italia non hanno nemmeno certe trattorie, bravissimi su questo.

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