E’ uscito l’attesissimo (da me) “Tutti lo chiamano Lambrusco” – Intervista all’autore, Camillo Favaro

E’ uscito l’attesissimo (da me) “Tutti lo chiamano Lambrusco” – Intervista all’autore, Camillo Favaro

di Alessandro Morichetti

È finalmente uscito Tutti lo chiamano Lambrusco, un nuovo libro di Camillo Favaro che stiamo aspettando da tempo perché esplora il mondo dei Lambruschi in terra di Modena. Menzione d’onore per i motivatori e Ciceroni del volume, Antonio Previdi, Filippo Marchi e Giulio Loi. Abbiamo chiesto a Camillo, produttore di vino, organizzatore di eventi, consulente di comunicazione, la sua esperienza da piemontese esploratore in terra emiliana. Avanti!

Tutti lo chiamano Lambrusco

Ciao Camillo, come probabilmente ti avranno detto sono brand ambassador auto-proclamato dei Lambruschi extra Emilia: ne bevo più degli indigeni perché è il vero vino della gioia e del lusso ma in molti non lo hanno capito quindi rinfreschiamogli la memoria. Anzitutto dimmi del tuo nuovo libro in pochissime parole: cos’è, di cosa parla e come? Come ci sei arrivato e chi ti ha aiutato?
Parla di uomini e parla di una terra, oltre che di un modo di vivere. La voce narrante è quella degli stessi produttori, io non ho fatto altro che entrare in cabina di regia e cucire il tutto aggiungendo qualche colpo di pennello qua e là, niente di più.
Comunque da solo non avrei mai potuto farlo e nemmeno ci avevo pensato a un libro sul Lambrusco. Mi hanno tirato dentro a quest’avventura tre modenesi letteralmente malati di Lambrusco: Antonio Previdi, Filippo Marchi e Giulio Loi. Mettendoli insieme si alza sensibilmente il consumo di Lambrusco nella provincia modenese e sono loro ad aver avuto l’idea di raccontare questa meravigliosa terra. È con loro che ho affrontato questo viaggio, tra scelte, incontri, mortadelle, tortellini e bevute autenticamente epocali.
E poi, in progetti come questo c’è tanto lavoro di squadra che non gode delle luci della ribalta, come quello di Antonella Frate, che oltre ad essere la designer grafica di questo libro è l’autentica quadratura del cerchio che auguro a qualsiasi editore.
Delle fotografie di Maurizio Gjivovich non so cosa dire, sono talmente potenti e comunicative che i superlativi sarebbero oltremodo fuori misura. Di certo senza le sue immagini sarebbe come parlare di una bella sceneggiatura senza colonna sonora.
Come se non bastasse c’è la prefazione di quella leggenda vivente che si chiama Burton Anderson, il primo che negli anni ’80 abbia scritto seriamente di vino italiano negli Stati Uniti. Da sola credo valga il prezzo del biglietto.


Cosa pensava del Lambrusco un piemontese innamorato della Borgogna prima di esplorare le terre del Lambro?
Pensavo poco e male. Il Lambrusco, quello vero, appena fuori dall’Emilia non è conosciuto. Senza andare a cercare sbrigativamente colpe o ragioni, è solo immergendosi nella Modena più vera che si può capire l’aria che tira da queste parti.


E che idea se è fatto dopo?
Che il Lambrusco è un autentico inno alla gioia. In più ho scoperto che alcuni di questi vini sono straordinariamente buoni e tutto fuorchè banali. Il clichè del Lambrusco plasticoso e dolciastro è figlio di un’industria che ha provato a convincerci che tutto finisse lì.

Libro Lambrusco

Si può dire lambrusco o è più corretto parlare de lambruschi: pianura e fiumi, colline e crinali.
Penso sia più corretta la seconda, ma l’equazione perfetta dovrebbe essere Sorbara + Salamino = pianura; Grasparossa = collina + crinali. Se applichi questa formula non sbagli. In questo senso basta leggere l’approfondimento scritto da Marisa Fontana che si trova all’interno del libro: spacca il capello mettendo ogni cosa al suo posto.


Sorbara e Castelvetro: c’è un trait d’union che li lega?
Due cose: le bollicine e la targa MO sulle auto! A parte gli scherzi, sono due terre tanto vicine quanto distanti. Sorbara significa Lambrusco di Sorbara, dove i vini sono spesso scarnificati a partire dal colore, fini e trapuntati di freschezza a dir poco esuberante. Castelvetro è Lambrusco Grasparossa, tutto colore, frutto e armonia. Due mondi diversi, a ciascuno il suo. Ma poi magicamente, a tavola, con i piatti della tradizione emiliana ci stanno da dio entrambi. Direi che è questo il fil rouge che li lega mettendo tutti d’accordo.


L’Emilia è la terra dello Slow Food
 e delle fast car (Ferrari e Lamborghini)  [cit. Bottura] dove convivono pacificamente l’eccellenza artigiana e la grande cooperativa. Nel Lambrusco allo stesso modo ci sono artigiani a baluardo della tradizione e colossi da milioni di bottiglie, lambruschi in autoclave che escono ad un mese dalla vendemmia e rifermentati che durano decenni. 
Che idea ti sei fatto sulla tecnica lambruschista? 
Hai già detto quasi tutto tu dimenticando il metodo classico che in alcuni casi mette in fila tutti quanti. Più che un’idea sulla tecnica mi sono fatto un’idea sui produttori. Ci sono quelli duri e puri che mai e poi mai rinnegherebbero la tradizione e quindi per loro esiste soltanto il metodo della rifermentazione in bottiglia. Poi ci sono quelli che preferiscono dormire tranquilli e allora ecco che l’autoclave può essere un’ottima tisana per sonni sereni. E poi ancora ci sono quelli che provano strade diverse, osservano ed esplorano, senza dimenticare che il mercato sa essere spietato con chi sbaglia il colpo.
Ma in fondo è così ovunque, un vino, qualsiasi vino, è sempre figlio delle scelte di chi lo produce.


Charmat o rifermentato?
Se volessi essere alla moda direi rifermentato, ma non sarei io. Amo i vini innanzitutto buoni e che abbiano qualcosa da raccontare. Tecnica e tecnologia sono al servizio del vignaiolo che plasma la materia prima cercando mettere più a fuoco possibile il suo progetto. I rifermentati sanno essere dannatamente affascinanti anche se non sempre di facile lettura, ma anche certi charmat capita che li stappi, li versi e la bottiglia finisce in un batter di ciglia, senza che vi sia traccia di banalità.
Non credo che si debba per forza fare una scelta, c’è un momento per ogni cosa e un vino per ogni momento.


Quale di queste coglie meglio l’essenza di questa uva brusca?
La coglie meglio il vignaiolo che ha più talento, quello che ha più “cultura” e che sa decidere il punto di partenza con l’idea precisa di quale debba essere il punto di arrivo. E che fa le cose senza barare, se no il gioco finisce ancor prima di iniziare.


Infine, sei riuscito a cogliere l’autentica grandezza di questo vino o devo aiutarti?
Penso di averla colta, il messaggio è arrivato forte e chiaro. Ne parliamo in un libro che si intitola “Tutti lo chiamano Lambrusco”.

 

TUTTI LO CHIAMANO LAMBRUSCO
Fil Rouge Editore
192 pagine, € 25,00
www.tuttilochiamanolambrusco.it
(Il libro è disponibile anche il lingua inglese)

[Foto: Camillo Favaro]

 

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

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