Couvent des Jacobins, sessant’anni di Grand Vin a Saint-Émilion dal 1947 al 2017

Couvent des Jacobins, sessant’anni di Grand Vin a Saint-Émilion dal 1947 al 2017

di Andrea Gori

Quella capacità tutta bordolese di dare per scontato qualcosa di straordinario, e quel sottile understatement di chi scopre nuovi modi di fare nell’apparente immobilità estrema di una zona vinicola dove non ci aspetta più nulla di nuovo. Queste le due idee che ti rimangono in testa, dopo aver assaggiato vini da sei decadi diverse in una cantina affascinante, e dalla storia appassionante, come quella di Couvent des Jacobins, forse l’unico chateau a non chiamarsi così (se si eccettuano i vari “Clos”) in tutta Saint-Émilion: la zona più “hot” e turbomodernista di Bordeaux negli ultimi anni, ma anche quella che ha dal punto di vista paesaggistico e turistico molto più da esprimere di altre.

Il convento è oggi della famiglia Joinaud-Borde, e lo è fin dagli inizi dello scorso secolo, dopo varie vicissitudini e famiglie che si sono succedute al timone a partire da Pierre Berthomieu de Meynot che lo rilevò (con 2,6 ettari di vigneto) nel 1791, quando con la rivoluzione francese ci fu la forzata nazionalizzazione per rifinanziare la Francia indebitata. A guidarci nella visita è Xavier Jean, analista finanziario a Singapore, che conduce il Couvent insieme alla decana Rose Noëlle Borde, attuale discendente della famiglia proprietaria. Insieme a lui Denis Pomarède, responsabile tecnico da ormai quasi 30 anni, con la consulenza esterna di Denis Dubourdieu.

Sono 10,7 gli ettari di cui 8,5 in produzione, perché è in atto una grande opera di re-impianto con tante parcelle sparpagliate in tutta Saint-Émilion, e non vicino al convento che si trova in piena città. I suoli sono argilloso-limosi e argillo sabbiosi con molte pietre, terroir perfetto per merlot (il vitigno principale che quota per l’85% in media nel grand vin), una discreta dose di immancabile cabernet franc (10%) e la sperimentazione recente di petit verdot che sta dando ottimi risultati ma sarà sempre entro il 5% del totale.

Dicevamo della grande frammentazione. Di conseguenza è necessario fare tante vinificazioni diverse, così come le vendemmie: troppo lontane le date di raccolta nei vigneti sul lato sud ovest, vicino a Chateau Bellevue o Angelus ad esempio, e in quelli più vicini al paese con poca argilla e tanta roccia. Per poter lavorare meglio e soprattutto negli strettissimi spazi del Couvent in piena città, Denis Pomarède nel 2017 ha fatto costruire, su proprio brevetto, un contenitore da 32 ettolitri doppio tronconico sovrapposto (stile caffettiera) che contiene le uve di mezzo ettaro all’incirca in ciascuna delle sue metà, a forma inversa con diverso uso delle bucce. Quello più basso (troncoconico quasi classico) estrae più materia, mentre quello sopra (troncoconico inverso) dà vini più lievi e con maggior finezza, grazie al minor spessore di bucce che si forma. In quello superiore si può fare batonnage a mano, in quello inferiore la macerazione carbonica.

doppio tronconico

Per l’annata 2017 è stato vinificato il cabernet franc sopra, senza so2, e tanto merlot sotto, soprattutto quello dalle migliori parcelle. Dal 2015 è iniziata la certificazione biologica: sempre meno prodotti di sintesi in vigneto fino al 2020, quando dovrebbero avere la prima vendemmia bio. Il legno usato non è mai troppo nuovo, (terreni e uve non lo permetterebbero) e la media del nuovo è attorno al 35%, con 5 diverse tonnellerie a varie tostature, e anche una parte delle barrique senza solforosa. In cantina trovano spazio anche due barrique verticali da 400 lt, disegnate e adattate per la vinificazione e affinamento del petit verdot, molto concentrato rispetto a merlot e cabernet franc qui a Saint-Émilion. Le botti di vinificazione evitano che la rusticità classica del vitigno divenga eccessiva, si sa del resto che il petit verdot può essere molto aromatico ma tende a scappare al controllo su tannino e potenza. Vinificazione con buccia intera dentro la botte, e spinto giù il succo viene riportato sulla cima del contenitore.

Dalla botte da 400 lt. escono 225 lt. di vino che viene rimesso dentro la botte stessa e poi blendato e messo in altre barrique insieme alle altre componenti. Dalla barricaia, in una fascinosa sala del convento dove trovano spazio affreschi, quadri, e calici che ricordano il Graal, il vino passa per gravità, per essere imbottigliato nelle cantine scavate 12 metri sotto il suolo, in un ambiente stupefacente per ampiezza e costanza di temperatura e umidità, una ex cava di materiali lapidei per costruzione: un formidabile asso nella manica per una cantina piccola e dalle risorse limitate come questa. Trovano spazio qui anche le bottiglie storiche, che vanno dalla fine del 1800 ai giorni nostri, e si riveleranno in uno stato di conservazione eccezionale.

Dopo il giro del Couvent sotto la pioggia e nel gelo del sottosuolo è un vero piacere accostarsi nella sala degli ospiti con cucina annessa, e passare alla verticale condotta in maniera rilassata, easy, senza pomposità e strombazzamenti, come se fosse la cosa più normale del mondo bere queste annate. Nelle vendemmie più vecchie (prima degli anni 2000) ricordiamo che i vini erano senza petit verdot e con solo un 25% di barrique nuove ogni anno. La 1947 e la 2012 sono state servite durante la cena.

assaggi

Couvent des Jacobins Grand Vin 1947. Sottobosco e muschio, pepe e anice, frutta sotto spirito. Bocca soffusa, tranquilla e rilassata con tannino agile e sciolto e appena avvertibile, finale di pepe liquirizia, mirtillo, sottobosco, felci. Freschezza e sapidità, vino incredibilmente vivo e fresco ma ovviamente con struttura non più da tavola o abbinamenti. 87

Couvent des Jacobins Grand Vin 1955. Colore vivo e luminoso, stupendo, carnoso e ferroso, anice e tartufo, sottobosco, menta e felce, incenso e rose. Bocca fresca, pimpante di viole e more, finale tra legno di cedro e pepe, lunghezza e gusto, delicato e sottile ma incredibilmente presente. 91

Couvent des Jacobins Grand Vin 1961. Annata di poca produzione e gelate, oggi un vino straordinario tra lampone e fragole in confettura, sottobosco e liquirizia, acidità, corpo e struttura ancora ben presenti. Bocca con tannino e vivacità incredibili, lunghezza ed energia residue che non accennano a mollare il colpo. 92

Couvent des Jacobins Grand Vin 1966 (Magnum). Ginepro, anice e menta, frutta di sottobosco, esplosivo al palato con nota iodata, sale e lunghezza notevole con dinamismo. Carattere, potenza e tannino del cabernet franc sugli scudi per un vino che non sfigurerebbe su nessuna tavola o piatto anche impegnativo. 94

Couvent des Jacobins Grand Vin 1978. Appena selvatico, un poco brusco e ferroso, molta estrazione. Bocca ispida e con sale, sottile con buona energia ma dal frutto un po’ stirato e asciutto. 85

Da qui in avanti più del 40% di barrique nuove.

Couvent des Jacobins Grand Vin 1989 (Magnum). Annata molto secca ma elegante, prima volta con l’ingresso di nuovi e potenti vigneti vicini a Angelus: naso straordinario, intenso, ricco e squillante e potente, more di gelso, resina di pino, lieve fumé. Bocca stupenda, ricchissima  e avvolgente, polpa e succo di ribes, vegetale bellissimo, balsamico, ginepro, anice. Lunghezza che strappa applausi e lacrime, un godimento puro che unisce potenza ed evoluzione in maniera splendida. 95

Couvent des Jacobins Grand Vin 1996. Macchia mediterranea e ginepro, ribes rosso e fragole, pepe e peperone. Bocca ampia e potente, con tannino che è ancora ben in piedi e succoso, grandi profumi ma bocca scontrosa e ispida, anche se vitale e fruttata. 88

Couvent des Jacobins Grand Vin 2000. Grande cabernet franc per via del calore: ginepro, anice e sambuco, more di rovo e sale, peperoni, viole, caffè e tabacco. Bocca con ricchezza, tannino e sapidità che contrasta bene dolcezza di frutto, lunghezza di sottobosco, prugna, senape, bellissimo finale. 92

Couvent des Jacobins Grand Vin 2010. Ricco e fruttato, amarene sottobosco e resine. Bocca in splendida forma, saporita, con lunghezza ed eleganza, lieve tocco di alcol e mostarda, tannino ancora in forma e di buoni auspici futuri. 90

Couvent des Jacobins Grand Vin 2012. Inizio del cambiamento recente, selezione, raccolta molto più attenta: ciliegie e ribes nero, ginepro, ricco, netto e saporito, anice e sottobosco. Bocca con succo e balsamicità, tannino di spinta, acceso, e molta ricchezza da armonizzare ancora. 88

Couvent des Jacobins Grand Vin 2016. Late enprimeur, appena imbottigliato: salvia, anice e ginepro, more e ribes nero. Bocca sapida e fruttata con tannino ben condotto, con spunti sapidi e balsamici. 90-91

Couvent des Jacobins Grand Vin 2017. Enprimeur dell’assemblaggio definitivo che sarà presentato a fine aprile ai giornalisti, con solo 40 di solforosa totale: vino ricco e sapido, dalla bella stoffa, ricchezza e corpo sorprendenti per l’annata, tannino intrigante e dalla bella stoffa. 91-93

Trova spazio anche un progetto separato e collaterale di Xavier Jean con Denis, portato avanti in un piccolo garage e non nel Couvent stesso. Si tratta di un “Super-Saint-Émilion” monovitigno e monovigneto, merlot 100% da vecchie vigne e vinificazione integrale dal nome evocativo “Calicem”: reca in etichetta una scultura di un calice di un artista asiatico a lungo inseguito da Xavier.

Calicem 2015. Ha un colore ipnotico, note di frutta nera, prugna, mirtilli, caramello e ribes nero, potenza, iodio e sale. Piccante e ricco al palato con tannino ricco e fruttatissimo, con dolcezza finale struggente in equilibrio con la sapidità che rende giustizia all’annata magnifica, e mostra un lato del merlot appassionante ma molto concreto. 94

cantine

Una verticale impressionante, che scava a fondo nella storia bordolese negli ultimi quasi cento anni e che svela tanti strati della città e dell’economia che gira attorno a questi vini, non sempre scontata come sembra. Soprattutto mette a fuoco un aspetto poco discusso della qualità dei vini bordolesi o dei vini in genere: l’importanza della qualità della conservazione delle bottiglie delle vecchie annate, per poterle apprezzare al meglio. Ripensando alle (purtroppo poche) occasioni di assaggio di annate come la 1961, la 1966 o la 1989 o anche più recenti e frequentate come la 2000, si fa presto a rendersi conto che le bottiglie di produttori meno blasonati ma conservate presso gli chateau stessi in condizioni ottimali siano spesso superiori, e capaci di risultate più fini ed eleganti di bottiglie ben più quotate ma che abbiano girato per diversi proprietari e cantine sparse per il mondo.

Senza nulla togliere alla magia del Couvent che con capolavori come la 1989 o la 1966 dimostra ancora una volta quanta grazia, bellezza e misura ci possano essere in un terroir immortale come Saint-Émilion, destinato a sopravvivere alla recente invasione di fruitbomb e iperconcentrazione post parkeriana grazie alla classe e alla misura di aziende come questa.

Immagine principale: Andre Ribeirinho

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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