Cosa ha bevuto la crew di Intravino durante la quarantena

Cosa ha bevuto la crew di Intravino durante la quarantena

di Redazione

Ho iniziato la quarantena con timidezza, cercando d’abituarmi ai ritmi dello smartworking, agli allenamenti in casa, a cucinare io che non ho mai cucinato. Bere, confesso non mi andava. Sono abituato a farlo in compagnia, la sera nella libreria-enoteca dove faccio le chiusure non esiste che si venga via senza prima un bicchiere pensato, ragionato, chiacchierato con gli amici. E spesso sono anche più d’uno.
Poi mi sono risolto. Champagne al mattino, un bicchiere. Rosso prima di pranzo, un bicchiere. Poi un bicchiere prima di cena guardando il Quartino di Intravino, un bicchiere a cena per mangiare. Uno dopo cena per sicurezza. Che se le cose si fanno, è giusto farle bene.
Su tutti, alla fine, si è imposto il solito Riesling della Mosella. Uno di quegli amori giovanili rubati ad un’estate combattuta tra aspirazioni selvagge e timidezze adolescenziali di un corpo in un mutamento. Quando arriva lei, bionda, le spalle forti, il seno accennato e il corpo teso e sinuoso della gioventù. La pelle chiara appena dorata dal sole e i peli biondi sulle braccia. Il viso di quella bellezza teutonica quasi odiosa per quanto sfrontata e rivendicata con consapevole superiorità. Maledetta. E maledetto Riesling.
Selbach-Oster Riesling Kabinett Wehlener Sonnenuhr 2016. Frutta esotica, cocomero (sì, cocomero, giuro: cocomero), adolescenza, estate, mare. Tommaso Ciuffoletti

Il Ripa di Sopravento di Vittorio Graziano ha funzionato a ogni ora. Prima di pranzo quel giorno che pioveva a dirotto. Mentre ero in quella call che non finiva mai. Sul divano durante l’ennesima serie crime su Netflix. È però la spedizione di CRAK quella che ha davvero dato un deciso cambio di passo alla quarantena. If it’s not fun, you’re not doing it right. Ecco allora fare capolino a casa un cartone di lattine già fresche, catena del freddo garantita dal birrificio di Padova al frigorifero della cucina. Lo stile è riconosciuto e guarda agli Stati Uniti senza compromessi: luppolo, luppolo e ancora luppolo ma con tatto e (parecchia) intelligenza. Inutile elencare una serie di birre che nel giro di 2 settimane sono già uscite dal catalogo per fare spazio a nuove produzioni, tutte lattine di straordinaria freschezza e rassicurante solidità. Meglio segnalare la più classica, quella “Guerrilla” che fa parte della storia di CRAK e che continua a rimanere uno dei migliori esempi di IPA italiane. Jacopo Cossater

Per uno che una settimana prima della quarantena sarebbe dovuto andare cinque giorni in Borgogna, ma che invece (visto il momento) con responsabilità ha rinunciato, la ferita è ancora aperta. Stare a casa e bere quei pochi pinot noir e chardonnay borgognoni rimasti in cantina dal viaggio di due anni fa, mi avrebbe solo fatto rosicare di più. Così ho virato su altro e in questi giorni di clausura a volte ho optato per un qualcosa di vicino, a pochi chilometri, di facile rifornimento quindi. Tra quelli bevuti, ho scelto un vino fatto proprio a Roma, dell’azienda Riserva della Cascina.
Domina lazio igt,1500 bottiglie (troppo poche), grechetto 80% con taglio di uve malvasia puntinata e bombino bianco, quest’ultime con ossidazione pre-fermentativa, che da non amante del genere ossidato ho comunque apprezzato poiché percepita lievemente; un naso fresco e citrino di lime, con erbe aromatiche su un tappeto minerale di pietra focaia, bel corpo, acidità abbondante e giusta sapidità, finale lungo con un retrogusto aromatico by malvasia; un bel vino, che si fa bere, ed in poco tempo, specialmente se ben abbinato a tavola. Ora scusate, vado a comprarne un’altra. Simone Di Vito 

Dici Alto Adige e così su due piedi dici vitigni bianchi, dici Alto Adige ma il primo pensiero non vola sicuramente al Sylvaner. In una scala gerarchica della percezione viene dopo riesling, gewürztraminer, pinot bianco, sauvignon e chardonnay senza dubbio.
Ma nelle mani di Andreas Huber, meister di uve bianche, il suo Sylvaner alte reben ’18 diventa bottiglia con cui fare i conti per un bianchista degno di questo nome.
Vino che mette insieme le fondamenta di uno stile alsaziano fatto di polpa e frutto esotico con un deciso retroterra minerale, ma il corpo è quello di un vino senza spigoli né fratture, a cui 8 mesi di legno donano una limatura finale azzeccata.
Se la quarantena è darsi al cibo sperimentando senza ritegno ecco qui avete un vino che dal pesce alle verdure alle carni bianche fa un lungo giro e trova sempre soddisfazione. E poi con quell’etichetta, elegante e asburgica, farete un figurone su Zoom. Massimiliano Ferrari

In questo periodo di clausura s’è bevuto parecchio. Non che nella vita precovid si bevesse poco, ma almeno si andava a bere fuori, e i vuoti non si accumulavano nel ripostiglio di casa. In questo clima di austerity, io ho optato per bevute quotidiane, senza sparare fuochi d’artificio né farmi prendere dalla foga del “beviamo tutto subito ché non si sa mai”.
Complice il compleanno, però, m’è arrivato qualche pensierino enoico, tra cui la bottiglia che meglio rappresenta il mio lockdown: l’Arione di Daniele Piccinin, un metodo classico di durella, senza dosaggio, annata 2015 e sboccatura 2018.
M’ha dato un bello schiaffone.
Il naso era amaro. C’era uno scoppio di scorze candite nel sale, una bomba di fiori gialli, erbe di campo, con una nota quasi affumicata, e un latte bruciato in sottofondo. La bocca entrava cremosa ma poi la lingua incespicava nello spigolo vivo, era pieno ma tesissimo, salato salatissimo, con una lunga scia amaricante.
Ringrazio di cuore l’intravinica Angela Mion per il regalo. Lisa Foletti

La quarantena in infusione alcolica è un male minore, non passa affatto male, specialmente se, quod usum apud nos, cadono i residui riguardi per annate, blasoni e – bleah! abbasso! chissenefrega! – abbinamenti.
La nostra clausura ha inopinatamente restituito senso all’abusato, aborrito adagio “come se non ci fosse un domani”: si è molto danzato su vini scelti a caso, tutti ottimi, campionando campioni all’altezza dei loro accompagnamenti musicali, Art Farmer e i soliti Stones, fantastici geronti che da 55 anni escono il singolo giusto al momento giusto (e con la mia totale adorazione per il transitivo borbonico). Il Campione? Sarebbero tre e tutti rosati, ma ad astra sale lui: Le Cince 2016 di Stefano Papetti Ceroni & the De Fermo’s, cerasuolo, poderoso infuso di terra e libertà, sapido e salace come Ken Loach, un rosato-Rosone come Collemaggio o Orvieto. Una più-bella-cosa-non-c’è, nonostante gli altri due rosoni fossero la Pantera Rosa di Praesidium (2012) e la rosa-rosae-rosae, paradigma rosarum rosis di Bonavita (2015). Emanuele Giannone

Barolo Bartolo Mascarello 2015. Prima annata senza le uve provenienti dal cru San Lorenzo, sostituite da quelle di Monrobiolo di Bussia, vigna presa in affito da M. Teresa Mascarello. Enfatizzata all’inverosimile la componente aromatica: rose, lamponi, spezie, agrume essiccato. La tessitura tannica e di raffinatezza unica, poche volte ho riscontrato in un giovane barolo tanta finezza. Il sorso è leggero, fragrante, giá armonioso e arioso. Sacrificarne una bottiglia in questo momento è un’esperienza molto appagante, immagino tra qualche anno. No, non puó essere un caso, ogni anno il Barolo di Bartolo Mascarello è sempre tra i migliori in assoluto! Vincenzo Le Voci

Falanghina del Sannio DOP Svelato, Terre Stregate – Vino contro la crisi economica, per il rapporto qualità/prezzo eccellente, ma vino che compro e bevo anche quando arriva la tredicesima.
Vino contro la noia e l’apatia, per l’immediatezza, la versatilità e l’equilibrio tra agrumi, ananas ed erbe aromatiche, ma anche cangiante, capace di stuzzicare nasi attenti con note balsamiche, sulfuree, gessose, e vegetali in continua evoluzione.
Vino da quarantena insomma, ma anche da pre e soprattutto post, sperando che giunga presto. Denis Mazzucato

L’ultimo posto in cui vorrei passare l’estate è una spiaggia. Non c’entra il plexiglass. Il mare… È più bello da lontano. Rocca del Principe fiano di avellino docg 2017 nasce nel verde scuro di Lapio dove non c’è un bancomat, nemmeno un mare, ma argilla con vene vulcaniche. Dicono che il fiano in questo areale esprima più il frutto. Ma qui c’è di tutto… Cedro e mandorla, acqua di conchiglie, il vegetale delle alghe e dell’alloro. Affina in acciaio sulle fecce per 10 mesi poi tanta bottiglia. Sorso possente, pieno e poi lo schiaffo di un vento di salsedine. Finale balsamico, un po’ affumicato. Già ora quello che cerco in un grande bianco… E se in quarantena guardi bene fuori dalla finestra, là dietro l’incrocio, spunta anche il mare. Giorgio Michieletto

Ischia Doc Tenuta Frassitelli 2018, D’ambra Vini. Biancolella 100% che sa di fresie, pompelmi e sale. Il vino si muove in punta di piedi e ha dalla sua misura e definizione esemplari. Naso tra i più interessanti della quarantena e sorso freschissimo, agrumato, salino, tutto giocato a centro bocca. Solo 12,5 % alcol per una beva spaventosa – questa sì senza misura – assolutamente intonata all’estate che vorrei. Ma in fondo anche a giorni come questi appena trascorsi, nei quali ha fatto da regolatore, aiutandomi a non pensare che l’unica scelta dovesse essere tra una finestra da cui guardare e mille ore in faccia allo smartphone. Gianluca Rossetti

Forse mi ci voleva davvero il Coronavirus con la Quarantena per rendermi brutalmente conto di quanto realmente significhi il “qui e ora”. Tutto quello che si è bevuto nei 60 giorni precedenti a questo fa parte del passato, oggi a casa al mare con i congiunti che per culo corrispondono agli amati, è KK di Kante, serio, profondo e, in due parole, buono e appagante. Fugge l’attimo, come i capelli al vento. Resta un fermaglio a ricordare che ci siamo stati e che finché ci siamo stati, siamo stati felici. Samantha Vitaletti

 

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