Cosa fa di un vino un “classico”? La risposta tra San Gimignano e i classici del Nuovo Mondo

Cosa fa di un vino un “classico”? La risposta tra San Gimignano e i classici del Nuovo Mondo

di Andrea Gori

San Gimignano ha sempre avuto una apertura al mondo e ai traffici e la Sala Dante durante le anteprime toscane ospita, da anni, vini da tutta Europa e Italia. Per la prima volta si apre anche al nuovo e nuovissimo mondo enoico per capire e approfondire un concetto molto importante ma usato e abusato da molti scrittori di vino fino a svuotarlo quasi di significato, ovvero, il concetto di “classico”.

Alessandro Torcoli è il giornalista che ha scelto i vini per questo confronto e ci racconta cosa si intende per “classico” cominciando dalla sua esperienza come candidato MW: secondo John Hoskins, capo della commissione d’esame dei Master of Wine, è “Un vino dallo stile riconoscibile, reperibile nei mercati principali. Un classico deve essere un tipo di vino conosciuto dai mercati ma anche riconosciuto da chi lo fa e dal territorio stesso. Molti dei caratteri distintivi dei vini di maggior successo oggi sono stili aziendali e impostazioni produttive ma non raccontano nulla del territorio. Anche nella Langhe, Amarone, Brunello i più diffusi e reperibili non sono i più territoriali ma sono i brand più conosciuti: quindi non è sempre facile capire cosa fa di un vino un “classico”.
La grande sorpresa potrebbe essere che si va oltre lo stereotipo nei casi delle macro aree del nuovo mondo. Il sauvignon  della Nuova Zelanda può definirsi un “classico” ma per la degustazione si è cercati di andare oltre  lo stereotipo scegliendo un vino che dimostra che una tipologia che viene concepita dal mercato come un vino semplice, diretto e intenso, leggero  e con poca complessità possa  essere anche tutt’altro. A livello globale il tema è andare oltre stereotipi e raccontare la vigna più che la zona in sè contribuendo ad allontanarsi e spesso rifuggire consapevolmente il concetto di classico che non sempre è percepito come positivo.

Batteria Vernaccia  di San Gimignano
Un vino che non grida ma sussurra, aromi misurati e lievi, tipico in questo bianco italiano, a confronto con il nuovo mondo non è facile o quantomeno parte in salita. Oggi può ed è tornato di moda perchè la tecnica lo ha preservato dall’ossidazione che è stato suo nemico per anni e, al contempo, ha rivelato la sua “mineralità”. Un vino che deve essere bevuto e non annusato, elemento che lo ha penalizzato per decenni a confronto con sauvignon, chardonnay e anche il nostro pinot grigio.

Mormoraia Ostrea Vernaccia di San Gimignano 2017
Fiore bianco, anice erbe aromatiche, agrume leggero, pompelmo e lime, sorso fresco piccante con lunghezza e distensione, lemon curd, classico eccome per una giovanissima Vernaccia, sorso sapido e che allunga benissimo con finale ammandorlato di confetto e cedro e note vanigliate in cui si evince un po’ di uso di legno. Uso accorto di surmaturazione rischioso in una annata come questo ma ben dosata. Fermentazione in legno per un mese , tanti batonnage, fusti di acciaio per affinamento per 12 mesi su fecce nobili. Mirko Niccolai l’enologo dice che questo vino deriva da uno dei primi vigneti dell’azienda “non riusciremmo in annate calde ad avere questo profilo aromatico senza risentire del clima estremo, in cantina l’attenzione più alta è per la preservazione degli aromi e la protezione dall’ossidazione“. Poca sostanza organica, terreno sciolto, vendemmia spesso fine settembre.

Teruzzi Vernaccia di San Gimignano Sant’Elena Riserva 2016
Tropicaleggiante e arancio giallo, mandarino e floreale di campo, pesca e zenzero, sorso più tonico e giovane del naso, lime, mandarino pompelmo e zagara, nessun traccia di legno ma tanto lavoro su fecce fini, uno stile che ricorda qualche Chablis. Selezione di Vigna tra le più anziane del territorio, Alessio Gragnoli, il direttore, integra raccontando i 15 mesi sulle fecce fini per renderlo più complesso ricco e dolce ma senza stravolgerlo. Siamo nella zona di Racciano, 25 anni di età del vigneto che sta in equilibrio vegeto produttivo impressionante che fa vendemmiare quasi due settimane dopo altri vigneti aziendali:  “Fare invecchiare i vigneti è l’unica arma contro i cambiamenti climatici” e ci troviamo molto d’accordo se gli esiti sono questi.

Fattoria Poggio Alloro Le Mandorle Vernaccia di San Gimignano Riserva 2014
Annata non facile soprattutto per i rossi, uve bianche invece con molta maturità e frutto in confettura pesca arancio giallo, zenzero, pasta di mandorla, albicocca matura, ossidazione abbracciata e coltivata, vino di assemblaggio da varie uve aziendali. Sara ci racconta come la selezione viene da due vigneti diversi, uno “Le mandorle” a nord ovest, con uve di più struttura e altro a sud est con più densità e vini più freschi, unendoli insieme vogliono classicità, passano molto tempo sulle fecce, poi legno di secondo e terzo passaggio.

Il Colombaio di Santa Chiara Vernaccia di San Gimignano Riserva 2014 Albereta
Naso intenso e complesso, erbe aromatiche, corpo di spessore, complessità, precisione e profondità, freschezza unita a cremosità interessante, persistenza incredibile per questo cru. Alessio Logi racconta che in 17 anni hanno imparato come si comportano i vigneti. Albereta è su sabbie compattate di tufo sangimignanese con buono scheletro di calcareo cavernoso, la vigna più in basso come quota ma zona sud di San Gimignano sempre molto fresca la notte, il passaggio in legno ci permette di tenere freschezza senza appesantire. Al naso ha salinità, cedro, lime, mandorle al palato e nel finale, tocco di spezia zenzero e un’idea di zafferano. Finale che unisce freschezza e complessità senza dolcezza, legno che marca. Il motto seguito è: “La barrique è il fantasma del castello, si sa che c’è ma nessuno sa dove trovarlo“.

La Lastra Vernaccia di San Gimignano Riserva 2013
Via via che si va avanti è più territorio che azienda, flint e pietra focaia che lo marcano spesso, severo e verticale, lavoriamo in maniera simile sia annata che riserva, pedologia di San Gimignano sappiamo non è uniforme, Santa Lucia ha calcari cavernosi e argille rosse, salinità e aridità, pochi profumi ma tanta struttura. Terroir non è la vigna secondo il produttore e non vuole marcarlo così stretto, microarea che esce bene. Vino sapido intenso e lunghissimo con prospettiva ancora molto belle avanti a sé.

Panizzi Vernaccia di San Gimignano Riserva Santa Margherita 2013
Floreale, sapidità e croccantezza ancora molto vitale, Simone Niccolai proprietario dice “amo dare impronta caratteristica a quello che faccio, mi piace l’idea che la Vernaccia non gridi, in genere si grida quando non si ha concetto ben chiaro di cosa si vuole dire…” Glicine, fiore giallo di ginestra combinato con melone bianco e pompelmo, più tocco speziato da maturazione in legno per 12 mesi di barrique.

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Nuovi classici del mondo

The Society’s Stellenbosch Chenin Blanc SA 2019
Naso di glicine e lime, complesso, ceroso miele delicato, mela, fiore di mela, al palato c’è classico del vitigno ovvero l’acidità e freschezza quasi tagliente che emerge tanto dopo l’assaggio non solo iniziale, e in genere sono Chenin e riesling a farlo sul palcoscenico internazionale. Chenin come aromi assomiglia a semillon con cui condivide nota waxy, lana cotta che si contrappone al frutto spesso generoso. Ma per capire che è un vino del Sudafrica come ci si arriva? E cosa lo differenzia dalla Loira? In Loira il frutto è più evidente, sono più offdry con residuo e rotondità per bilanciare acidità.
Classico Chenin da Sudafrica ha preso strada diversa per clima e rotondità del frutto, le versioni più comuni sono secche completamente, bonedry, non aiutano equilibrio con residuo zuccherino, maturità è ampia e regge bene acidità. Siamo tra Stellenbosch e Paarl, zona davvero calda, una zona dove si fa vino dal 1700, più extra Europa che “nuovo” mondo in realtà. Del resto qui c’è storia antica di vinificazione ed è tutta di stampo europeo…

Grosset Polish hall Vineyard Clare Valley Riesling 2019 AUS
Agrume, pesca a polpa bianca, canfora, vaniglia, iodato e idrocarburo che richiamano subito il vitigno, frutta matura molto piena, mela rossa decisa, in bocca acidità sferzante quasi una mannaia, poi agrume di limone freschissimo. Concentrazione al palato non è banale, frutto maturo ben selezionato che si combina e mantiene equilibrio. Siamo nel South Australia, clima in teoria molto caldo, ma non così a sud da fare molto fresco (siamo nell’emisfero australe). Il vino è un cru importante, appunto Polish Hill, quasi sui 400 mt slm e nel canale della Clare Valley entrano le correnti oceaniche a raffrescare, ideale per riesling. Il vino è molto chiuso e giovanile è sicuramente in evoluzione sarà ben più pronto ed esaltante. Idrocarburo qui è giustamente delicatissimo, viene fuori bene solo dopo almeno dieci anni. Super classico che punta a lungo invecchiamento e che vuole avere totale secchezza in opposizione al classico riesling che è famoso soprattutto per la sua dolcezza spesso necessaria per equilibrio. Quando si parla di “classico riesling” bisogna sempre specificare: c’è la classicità del vitigno, quella della Clare Valley e quella della Mosella: bisogna intendersi!  È tipica dell’Australia la precisione enologica a dare un vino diretto, immediato, pulito, con frutto in evidenza e preminente e poi estrema secchezza, questi i due aspetti.

The Society’s Hunter Valley Semillon AUS 2018
Emerge leggera la nota cerosa waxy tipica del semillon e il suo frutto di limone verde, tocco mentolato, alcol molto fine, lieve e delicato, 10,5% solo di alcol. Emerge con complessità aromatica, noccioline, oleoso, poi esploderà nel tempo, affinamento in bottiglia necessario per almeno 5-6 anni . Raccolta precoce in zona molto calda, il New South Wales è molto caldo e se si vuole acidità bisogna raccogliere prestissimo. Zona miracolosa quasi perchè troppo caldo e umido dovrebbe scoraggiare fare vino ma il lavoro dell’uomo ha trovato modo di farlo e trovare classicità, ovvero, semillon raccolto precoce e invecchiato a lungo in bottiglia, molto diversa da classicità più profumata floreale vendemmia tardiva di altre zone australiane o europea (ricordiamo che è il grande compagno del sauvignon per il Sauternes). in vendita sulle 35 sterline a Londra.

Bodega Catena Adrianna Vineyards White Bones Chardonnay Mendoza (AG) 2017
Vino sorprendente per qualità e stile che hanno. Costruito molto in cantina ma su base di uva particolare. Siamo a Tupungato e da una vigna che da un grande rosso Cabernet Franc Enemigo, vini rocciosi severi all’inizio ma dal nerbo unico. Fa 100% legno nuovo ma non si sente. Anice, arancio, sapidità e croccantezza. Uno chardonnay che riesce a stare sopra batonnage grazie ad acidità e frutto freschissimo.

Francia Ford Coppola Director’s Cut Russian River Chardonnay USA 2016
Molto tipico nel senso che ha sua caricaturalità (anche se attenuata rispetto qualche anno fa) di legno, utilizzo di chardonnay fermentato e affinato in legno con malolattica completa, note di butterscotch, caramello, mou, nocciole, burro di arachidi, uno stile americano definibile come classico che può piacere o non piacere ma tant’è. Bocca dolce, cremosa con finale tostato e speziato misto a confettura di arancio e senape, nel suo genere decisamente piacevole. 40$
Greywacke Wild Sauvignon Marlborough NZ 2019
Si allontana un poco dal classico di zona ovvero non è il solito “pompelmo, limone, uvaspina e bosso”, questo è  “wild fermented”. È l’azienda di famiglia di un ex enologo di Cloudy Bay che prende il nome dai greywacke, ovvero, i sassi grigi tipici di certe spiagge anche europee, roccia sedimentaria molto sciolta che fornisce ottimo drenaggio. Fermentazioni su bucce, batonnage, legno, malolattica a dare cremosità e peso. Naso di asparagi e anice, finocchietto, lime, ostrica e lamponi bianchi, con qualche traccia di classico sauvignon tra pompelmo e uvaspina. È forse l’orizzonte dei grandi sauvignon della zona che vogliono uscire dallo stereotipo, un “classico” che rischia di essere gabbia stretta e poco confortevole. Diretto, immediato gustoso, grande davvero con originalità e piacevolezza anche da giovanissimo come è adesso.

 

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Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

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