Coronavirus: il gregge e i lupi della Brexit

Coronavirus: il gregge e i lupi della Brexit

di Elena Di Luigi

Rubo questa frase: “Nations, like individuals, reveal themselves at times of crisis. In emergencies of this immense magnitude, it soon becomes evident whether a sitting president (or ‘anybody’, aggiungo io) is equal to the moment.”

Tim Martin è tra gli imprenditori che hanno finanziato Boris Johnson “to get Brexit done”. Il 31 di gennaio aveva celebrato l’uscita dall’UE facendo il giro dei suoi pub di Londra per brindare con vincenti e perdenti ai quali, in segno di pace e di riconciliazione, aveva offerto le birre importate a un prezzo ridotto. La catena JD Wetherspoon di cui è proprietario e che vanta 874 locali distribuiti su tutto il territorio nazionale, deve il suo successo all’idea di un compromesso tra lo stantio della public house del passato e il moderno wine bar, dove oltre alle birre si servono vini e cibo multietnico. A Londra in particolare sono apprezzati per i prezzi abbordabili e per questo si trovano quasi e ad ogni angolo. Durante la lunga discussione sulla Brexit Tim Martin era stato ascoltato perché ha una forza lavoro di circa 43.000 persone, molte delle quali provenienti dal continente, e perché non ha avuto problemi a dichiarare che in caso di divorzio duro, lui sostituirà le importazioni europee incrementando le importazioni da l’ormai vecchio “Nuovo Mondo”, come se questo automaticamente significasse zero tariffe. Ma queste è storia vecchia.

È noto che la GB è entrata tardi nella fase di isolamento, e a tappe, un pó come tutti, facendo della chiusura dei locali pubblici la condizione necessaria per implementare una seria forma di distanziamento. Eppure i primi a reagire pubblicamente contro queste misure del governo Johnson, in pieno stile Tu quoque, Brute, fili mi!, sono stati il padre del primo ministro che in televisione ha detto che avrebbe ignorato il decreto, e Tim Martin che lo ha invitato a fare marcia indietro. A distanza di poche ore dall’annuncio l’imprenditore, infischiandosene della promessa del governo di rimborsare a fine aprile l’80% delle spese sostenute dalle ditte a causa del COVID-19, ha pubblicato una lettera indirizzata ai suoi dipendenti per informarli che non avrebbe pagato gli stipendi previsti per quel fine settimana e che comunque non aveva alcuna intenzione di anticiparli di tasca propria.

A scatenare la rabbia e lo sdegno però è stato il video con cui Tim Martin ha spiegato ai dipendenti le ragioni della sua decisione, aggiungendo che se avevano bisogno di soldi, potevano provare a farsi assumere dalle catene di supermercati che sapeva stavano assumendo nuovo personale. Anche i fornitori sono stati avvertiti della sospensione dei pagamenti delle forniture, anche della merce già consegnata. A questo punto è necessario tornare al 20 marzo scorso, quando la JD Wetherspoon aveva reso pubblici i profitti lordi registrati nelle 26 settimane prima della Brexit, pari a £57.9 milioni.

Le reazioni sono state tante e varie, fra tutte l’imbrattamento degli ingressi dei pub e la promessa su Twitter di non frequentarli piú post pandemia. Ma alla luce di tutto questo come non notare che per imprenditori stile Tim Martin, Brexit significava semplicemente “exit” da un qualsiasi vincolo legislativo che ti obblighi a rispettare e sostenere la tua forza lavoro nei momenti di crisi nazionale?

Evidentemente è vero che il gregge è fatto da pecore e pastori, ma come Boris Johnson ha dovuto imparare a sue spese, è solo nei fatti che si vede chi è l’uno e chi è all’altezza di fare l’altro.

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