Consiglio molto pratico per maneggiare i vini naturali nella wine list al ristorante

Consiglio molto pratico per maneggiare i vini naturali nella wine list al ristorante

di Alessandro Morichetti

Il dilemma attanaglia anche un mostro sacro on più di primo pelo come Hugh Johnson, che ha scritto la storia del vino moderno come nessun altro: “Do we need a natural wine alternative…?“. Oltre a chiedersi che comportamento adottare quando il vino servito al tavolo è “troppo” naturale per non dire problematico, alla fine propone come termine “alternativo” invece che “naturale”. Secondo la mia traduttrice british di riferimento, Raffaella Guidi Federzoni (aka Nelle Nuvole), “sostanzialmente si ribella a questa tendenza, ma lo fa dall’alto della sua prosopopea, per quanto mitigata dallo stile ironico. Sembra non aver capito una mazza riguardo a come fare un vino oggi senza troppi interventi dannosi, e sostanzialmente pensa che va bene così, perché lui è HJ e gli altri non sono un cazzo.”

Does a winemaker, then, have the right to sell me something that ignores, or flouts, the winemaking conventions that I rely on? Is ‘natural’ a self-justifying word to cover any sort of accident? Or is ‘alternative’ a more accurate description? Of course, the producer may have a lab and state-of-the art chemistry and simply choose not to intervene. There are highly reputed (and very expensive) ‘orange’ wines.

Domande lecite che ci si pone spesso anche qui, per quanto l’associazione naturale-orange sia fuorviante. Prescindendo completamente da considerazioni di carattere ontologico-epistemologico, il dilemma pratico (sia per chi compra che per chi vende) quando si prende in mano una carta dei vini è come avventurarsi in un mondo oscuro in maniera consapevole.

Una risposta curiosa viene da Terroir a New York, nella cui carta dei vini trovate degli Alert che mettono in guardia il cliente su cosa troverà, nello specifico un “Orange Wine”. Di stratagemmi, insomma, ce ne potrebbero essere tanti e mi piace suggerire quello adottato nel mio ristorante di casa a Civitanova Marche, quello Chalet Galileo che ormai conoscono anche i muri. L’oste di turno, infastidito dal numero di bottiglie contestate per questo o quel motivo, a un certo punto ha deciso di scrivere accanto ad alcune etichette – perlopiù artigianali, naturali, alternative o quel che sia – “Vini Estremi”: che vuole evidentemente dire tutto e niente ma serve alla grande per mettere le mani avanti.

Il risultato? Duplicemente funzionale: 1) molti più vini estremi ordinati, 2) ridotto a zero il numero delle contestazioni. Bello poi quando il titolare mi ha ricordato che questo suggerimento glielo avevo dato io, che intanto me lo ero bellamente dimenticato.

[Foto: Jeremy Parzen @ Terroir, New York]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

6 Commenti

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Marco

circa 7 anni fa - Link

Come cliente pretendo di potere restituire ogni vino che non sia corretto enologicamente. Se puzza, ha volatile alta, sa di tappo devo poterlo rimandare indietro, nota di warning o non nota di warning. Soprattutto con i ricarichi che fanno i ristoratori ed i produttori di vini naturali. PS: vini naturali senza difetti ce ne sono ed anche molti, purtroppo ci sono produttori che spacciano robaccia.

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Excellence

circa 7 anni fa - Link

che palle!!! non il post ma i commenti come i tuoi Marco!!! Conosciamo a menadito, nell'ordine: I diritti del cliente, che esistono naturali buoni e meno buoni(crepi l'avariazia anche i "convenzionali"! lo so parola terribile) e che talvolta i ricarichi non siano corretti. per l'ultimo punto una solozione o piu' le si trovano. O cambi ristorante o ti prendi la bottiglia in enoteca e te la bevi a casa o vai direttamente dal produttore a patto(giura!) di non lamentarti dei prezzi in cantina...

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Marco

circa 7 anni fa - Link

Caro Excellence, non so che lavoro tu faccia ma spero non il ristoratore o il venditore di vino, che altrimenti come dicono qui in Piemonte soma bin ciapà. Guarda che non mi lamentavo dei ricarichi, dicevo solo che nel ricarico c'è anche la rimunerazione del rischio del ristoratore, pertanto ESIGO che se mi spacciano una bottiglia che potrei usare per condire l'insalata, se la riprendano indietro.

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Simeone

circa 7 anni fa - Link

Molti di questi ristoratori non hanno mai assaggiato i naturali che hanno in carta, come non hanno assaggiato i "tradizionali" che hanno ugualmente.

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Marino Somma

circa 7 anni fa - Link

Mah, io credo che in questo dibattimento ci stiano anche una serie di clienti che, incuriositi dai vini naturali, biodinamici, macerativi, ancestrali, bio-mio-nonno e bio-mio-zio, si fanno affascinare ed ordinano una bottiglia... Salvo poi trovarsi di fronte a sensazioni alle quali non sono preparati e la bottiglia torna indietro non per imperfezioni enologiche ma per oggettiva difficoltà nell'accettarne e apprezzarne le caratteristiche. Non troppo tempo fa, un commensale di fronte ad una perfetta Ribolla Gialla Gravner 2002, mi ha chiesto di sostituirla con una ribolla fatta come si deve...

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Ale

circa 7 anni fa - Link

È una polemica vecchia come il mondo. Da enologo sostengo, perché mi è stato insegnato così e ne ho trovato riprova nel mio lavoro, che la pulizia in un vino è la prima cosa da tenere in considerazione; ed è quella che noto quando assaggio un vino - mio o di un collega. I vini cosiddetti "naturali" sono tutti non netti, poco puliti al naso? No. Ma neanche i vini "convenzionali" sono tutti puliti. Altra questione è che cosa rende i "vini naturali" naturali e i vini "convenzionali" non naturali? Se produco un vino trattando solo con rame e zolfo di miniera (perché sono fortunato e da me non piove, e se piove tira una bella brezza marina che asciuga tutto), fermentando con lieviti e batteri indigeni, stando basso con la solforosa all'imbottigliamento, perché il mio vino non è naturale? L'uva è naturale, i prodotti che uso altrettanto. Infine, tutto ciò che non è certificabile da un ente terzo, rimane fondamentalmente aleatorio, una mera strategia di marketing che non significa niente, se non ciò che il produttore sostiene (vero o no, ma non dimostrabile).

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