Come si producono i tappi di sughero, spiegato bene

Come si producono i tappi di sughero, spiegato bene

di Jacopo Cossater

Le grandezze mi hanno sempre affascinato. Ogni volta che per esempio mi sono imbattuto in Megafactories – la famosa serie di documentari prodotta da National Geographic e dedicata ad alcune delle più grandi fabbriche americane – ho sempre faticato a cambiare canale: guardare da vicino, per quanto attraverso il filtro televisivo, il processo che porta alla produzione di quegli oggetti che maneggiamo tutti i giorni ha un qualcosa di magnetico (hashtag di riferimento: #umarell). Immaginate quindi il mio entusiasmo nel ricevere un invito a visitare alcuni degli stabilimenti del più grande produttore di tappi di sughero del mondo: Amorim, in Portogallo.

Quella che segue è una cronistoria che inizia con la corteccia di un albero nato molti, moltissimi anni fa e che finisce con un movimento che nel corso della nostra vita abbiamo compiuto centinaia e centinaia di volte, con il cavatappi in mano. Perché lo sapete, sì, che ogni tappo di sughero proviene dalla corteccia dell’omonimo albero, vero?

REN_4532

Partiamo dalle basi: la quercia da sughero è un albero sempreverde diffuso in tutto il bacino del Mar Mediterraneo che trova condizioni ideali su terreni tendenzialmente sabbiosi, tra i 100 e i 300 metri sul livello del mare, in luoghi con poche piogge, comprese tra i 400 e gli 800 mm annui, e con temperature tendenzialmente calde, (quasi) mai sotto allo zero. Un clima che conosciamo bene, l’ampia zona del Mediterraneo ospita infatti circa 2,2 milioni di ettari di querceti. Di questi il grosso si trova in Portogallo (il 34%, percentuale che contribuisce a fare del Paese di gran lunga il maggior produttore mondiale) e in Spagna (il 27%). A seguire Marocco, Algeria, Tunisia, Francia, Italia e altri in misura molto minore, quasi trascurabile.

REN_4703

Si tratta di una pianta molto longeva, che al naturale può raggiungere i 20 metri di altezza e vivere per oltre 200 anni. Un dettaglio fondamentale per capire molte delle difficoltà economiche legate alla sua coltivazione: la prima decortica – la prima volta che è possibile “togliere” la corteccia dall’albero, quella che viene usata per la produzione dei tappi – non può avvenire prima di circa 25 anni, quando la pianta ha cioè raggiunto una circonferenza di almeno 60 centimetri misurata a 130 centimetri di altezza dal suolo. La seconda dopo ulteriori 9, a 34 anni di età. Da queste prime 2 “estrazioni” si ottiene un sughero estremamente irregolare e molto duro, non adatto alla produzione di tappi ma da destinarsi soprattutto all’industria edile, il sughero è infatti uno straordinario materiale isolante, utilizzato nei contesti più diversi (curiosità geek: anche per proteggere le navicelle nella fase di rientro dallo spazio).

REN_4704

Solo a partire dal 43° anno – avete letto bene: 43 anni – la corteccia della quercia da sughero diventa adatta alla produzione di tappi. Ogni 9 anni per tutto il suo ciclo vitale e per un totale di 15/18 decortiche. La sfida per aziende come Amorim e non solo è quella di rendere più sostenibile a livello economico gli impianti di sughero, riuscire cioè ad accorciare il tempo che passa tra l’impianto e la prima raccolta (spoiler: ci stanno riuscendo, anche se per adesso solo in via sperimentale). Una questione anche di sicurezza nazionale: in Portogallo nel corso degli anni moltissimi proprietari terrieri hanno convertito le loro coltivazioni passando dal sughero all’eucalipto, più remunerativo sul breve periodo in quanto utilizzato per la produzione di cellulosa da carta. Un piccolo dettaglio: si tratta di un albero molto più facilmente infiammabile, che tende ad “asciugare” l’area che lo circonda, la cui crescente diffusione è stata tra le cause dei grandi incendi che hanno sconvolto il Portogallo negli ultimi anni, in particolare nell’estate del 2017.

REN_4744

Le operazioni di decortica si svolgono ogni anno indicativamente tra maggio e luglio. Grazie al calore dei primi mesi estivi il fusto tende infatti ad asciugarsi e a trattenere la linfa verso l’interno, condizione che rende più semplice staccarne la corteccia. Le operazioni si svolgono a mano divisi in squadre di 2 persone per pianta, con l’uso di un’accetta. Finita una quercia, su questa viene segnata l’ultima cifra dell’anno in corso. Esempio: l’anno prossimo, nel 2019, si decorticheranno gli alberi segnati con il numero 0, quelli della raccolta del 2010. Si stima che tra Europa Meridionale e Nord Africa siano 100.000 le persone che dipendono in modo diretto o indiretto dalle foreste di sughero.

REN_4746

Se un tempo il sughero veniva lasciato stagionare direttamente nei campi di raccolta oggi questa fase avviene, almeno per Amorim, per circa 6 mesi su enormi piazzali di cemento, lunghi centinaia di metri per lato. Un primo accorgimento per far sì che la contaminazione con agenti esterni quali funghi e batteri si riduca al minimo. È anche qui, quando i camion arrivano per scaricare la raccolta, che le basi della corteccia, quelle a contatto con il terreno e quindi meno “pure”, vengono tagliate ed eliminate. La successiva bollitura serve a pulire, ad appiattire e ad aumentare lo spessore delle cortecce. Non solo però, a questa segue una vaporizzazione delle plance in contenitori senza pressione a una temperatura compresa tra 105 e i 115 gradi, processo introdotto da Amorim nel 2009, che serve a ridurre l’incidenza del TCA del 40%. Avete presente? Si tratta del tricloroanisolo, la sostanza colpevole del cosiddetto sentore di tappo nel vino. Un elemento che deriva dal metabolismo di un fungo che si può sviluppare alla base dell’albero e che in questi anni ha rappresentato la maggiore sfida in termini di ricerca e innovazione per l’industria del sughero. In linea di massima basti sapere che per prevenire la formazione del TCA nel sughero può essere utile eliminare l’uso del cloro in ogni fase della lavorazione, mantenere l’ambiente di conservazione asciutto, impedire che spore provenienti da sughero contaminato possano entrare a contatto con il sughero integro. Facile? Sì, ma non è abbastanza. Tra l’altro il TCA non è l’unico problema che è possibile trovare nella corteccia. Dopo la bollitura e la successiva asciugatura le plance vengono analizzate da operatori esperti: sono loro a dover giudicare la qualità di ogni corteccia, che viene così divisa in base alla sua larghezza e alla sua “purezza”, se non addirittura scartata quando in presenza di difetti visibili a occhio nudo.

REN_4768

È arrivato il momento della produzione dei tappi vera e propria: da una parte il carotaggio, la produzione dei monopezzo, i tappi migliori e più pregiati, quelli destinati alle bottiglie più importanti per la loro grande capacità elastica; dall’altra la produzione dei cosiddetti tappi “tecnici”, quelli derivanti dagli scarti della corteccia, scarti che vengono triturati e successivamente riassemblati. Per darvi un’idea: i primi rappresentano circa il 30% del peso del sughero in ingresso, i restanti il 70%. Questo significa che se per assurdo il mercato richiedesse solamente tappi monopezzo non ce ne sarebbero abbastanza per accontentare tutti. Anche di questa tipologia ce ne sono però diversi: grazie a un macchinario a lettura ottica vengono divisi per porosità e (ancora) quelli che presentano eventuali difetti non riscontrabili a occhio nudo, come eventuali bolle d’aria al loro interno, vengono scartati.

REN_4819

Un controllo qualità che mi ha fatto sorridere: i tappi a un certo punto passano molto velocemente su un nastro all’interno di un metal detector, strumento utile a scartare quelli che presentano residui di pallottole. True story: in fondo le foreste di sughero sono spesso zone di caccia e non è inusuale che i pallini dei cacciatori finiscano per conficcarsi nelle cortecce degli alberi circostanti. Ma dicevo del TCA: Amorim ha da poco messo sul mercato tappi garantiti, dei monopezzo che passano attraverso un naso elettronico in grado di rivelarne l’eventuale presenza. Un sistema, si chiama NDTech, che verrà via via implementato e che porterà nel 2020 all’eliminazione totale del sentore di tappo dai loro prodotti, parola di amministratore delegato. La misura del gigante? Amorim nel 2017 ha fatturato 711 milioni di euro, ha 4.200 dipendenti e “sforna” circa 5,4 miliardi di tappi all’anno, di cui 1 monopezzo. A fare due conti fanno 14 milioni di tappi, OGNI GIORNO, domeniche comprese.

REN_4832

Alla fine di questo lungo percorso i tappi vengono vengono lavati, lubrificati (altrimenti sarebbe impossibile riuscire a infilarli e successivamente toglierli dal collo delle bottiglie) e marchiati con inchiostri alimentari o a fuoco, anche in base alle richieste delle singole cantine. Un processo tutt’altro che banale che si esaurisce con il confezionamento in buste di plastiche ricche di anidride solforosa, un gas che che li protegge dalla proliferazione microbica.

[immagini: Renato Vettorato]

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

7 Commenti

avatar

Montosoli

circa 5 anni fa - Link

Eccellente...grazie !

Rispondi
avatar

Daniele

circa 5 anni fa - Link

Molto interessante!

Rispondi
avatar

Nic Marsél

circa 5 anni fa - Link

Grazie Jacopo. Bello! Fa il paio con questo https://www.millevigne.it/index.php/periodico/172-millevigne-n-3-2016 nel quale però si evidenzia una prospettiva opposta sul problema incendi. Personalmente non cambio idea: mi spiace per tutto quello che sta dietro la produzione del sughero ma rimango per il tappo a vite o quello a corona.

Rispondi
avatar

Jacopo Cossater

circa 5 anni fa - Link

Grazie Nic! Sì, avevo letto il pezzo di Maurizio Gily e non mi sembra così distante da quanto scritto sopra. I sughereti infatti oltre a bruciare molto lentamente (a differenza delle foreste di eucalipti) riescono a frenare la desertificazione, specie nei paesi nordafricani. Ecco qui la parte sugli incendi da Millevigne:

Sono infine da considerare gli aspetti legati all’ambiente e alla sostenibilità. La corteccia di sughero è isolante e brucia con molta difficoltà, per cui la foresta difficilmente è soggetta a incendi. La sughereta nel Maghreb è un presidio contro il fuoco e contro la desertificazione: dove finisce lei, comincia il deserto. Svolgerebbe questa funzione anche se non fosse sfruttata: ma la possibilità di ricavarne un reddito rappresenta, per le popolazioni locali, l’incentivo a difenderla.

Rispondi
avatar

Nic Marsél

circa 5 anni fa - Link

Scusa Jacopo, in effetti avevo letto male... nel tuo pezzo, il soggetto "molto più facilmente infiammabile" è l'eucalipto non la quercia. Sorry :-(

Rispondi
avatar

Jacopo Cossater

circa 5 anni fa - Link
avatar

Nic Marsél

circa 5 anni fa - Link

... e comunque, anche per evitare ulteriori fraintendimenti, proporrei di passare al tappo a vite ;-)

Rispondi

Commenta

Rispondi a Nic Marsél or Cancella Risposta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.