C’è ancora spazio nel mondo del vino per il Frascati?

C’è ancora spazio nel mondo del vino per il Frascati?

di Simone Di Vito

Dai richiami al passato delle automobili, passando per i tanti remake cinematografici, fino alle dimenticate pratiche agricole della mezzadria: non sempre ciò che appare nuovo è di per sé la novità; usanze e tradizioni, simboliche o superate che siano, prima o poi tornano a galla. Ne abbiamo di esempi pratici nel vino; stemmi di famiglia giustamente riproposti in etichetta (anche se c’è una voglia di lepidotteri ultimamente), il ritorno delle vasche in cemento, senza contare poi l’uso del cavallo in vigna, nei secoli scorsi visto più come mezzo che come animale. Tendenze dettate forse dalla voglia di rievocare il passato, o semplicemente ci si accorge che identità e tradizione sono una guida, e che non andrebbero mai disperse; nonni, trisavoli e antenati se potessero vederci a volte.

Ci sono nato a Frascati, a novembre saranno 38 anni fa, trascorsi però in gran parte a Roma, per poi riscoprire i castelli romani poco dopo la maggior età, dopodiché il corso Ais, adesso poi vivo a due passi da li. Anche se distante, un po’ di Frascati nella mia famiglia c’è sempre stato, il classico vino dei castelli, senza inutili diatribe, una delle prime doc bianche italiane, appuntamento fisso di ogni pasto lì al centro della tavola, bottiglia o damigiana era lui; giallo intenso tendente all’oro, e quell’odore che da bambino ricordi solo come forte ed acre, d’altronde a quell’età sentori al naso e sbornie sono ancora fantascienza.

Chi ne sa più di me ricorda che nel nome della quantità, in passato la vecchia pergola diventò tendone, fino agli attuali sistemi a spalliera, la classica macerazione che marca il colore ha lasciato spazio al paglierino filtrato e cristallino, la botte di castagno da decenni ha perso il posto per acciaio e sua francesità la barrique, risultato? Un vino come tanti ormai, che se sei fortunato, con la bottiglia giusta e alla cieca puoi forse indovinarne la regione di provenienza, altrimenti sembra una brutta copia di un Orvieto o di una Vernaccia di San Gimignano.

Il marketing e l’enologia démodé degli ultimi anni hanno ormai preso il sopravvento, certo con aspetti positivi, ma accantonando a volte tipicità e tradizione in nome di omologazione e profitto; discorso questo che può valere anche per altre denominazioni italiane, alcune salvate forse dal maggior dialogo tra produttori, tradizioni vinicole più radicate o da una cerchia di vignaioli con coscienza superiore alla media.

Il Frascati invece?  Qui un pizzico di rese/ettaro più basse rispetto al passato e una manciata di protocolli enologici possono aver alzato la qualità media, ma classico di queste zone, ci si è adagiati a risultati più che sufficienti,  per un vanto di 93 punti invece che i 90 dello scorso anno o una sala degustazioni appena rinnovata all’ultimo grido; poi però entri in un ristorante di zona e trovi un catarratto siciliano, un Valpolicella, e addirittura un Ruché di Castagnole, ah però c’è lo chardonnay dei castelli; ma quando andate in un enoteca o bistrot a Barolo cosa cavolo trovate???

Nel 21°secolo fa strano veder nascere produzioni in Inghilterra e nei paesi scandinavi, dove non c’è mai stata tradizione vitivinicola, è triste invece passeggiare a Grottaferrata e incontrare vigneti Frascati doc abbandonati con le uve dell’anno precedente ancora sui grappoli; lungi da me fare l’enoblogger patetico e con la lacrimuccia, quel ruolo lo lascio volentieri ad altri, piuttosto damose da fa’.

Negli ultimi tempi però il Lazio del vino sta crescendo, grazie ad associazioni come Lazio in movimento e una nuova generazione di vignaioli, desiderosi di crescere e sperimentare, col giusto rispetto per l’ambiente e per un terroir che può ancora dare tanto; insomma più vanga e meno calcolatrici, per invertire quella tendenza all’anonimato vitivinicolo che vuole Roma e dintorni solo come un ottimo mercato, per gli altri.

LE NUOVE PROPOSTE

Ultimamente ho girato molto a Frascati, visitando aziende storiche, pseudo tali e nuove leve, tra vecchi tromboni che la vigna la guardano al massimo dal balcone, ed enoboss che per fargli una domanda devi prendere il numeretto come in macelleria, ho finalmente incontrato alcune nuove proposte.

Cantina Ribelà
Chiara e Daniele, dieci anni nella ristorazione lei, ex architetto lui, nel 2014 hanno intrapreso la strada della viticoltura in una piccola vallata chiamata Pentima dei Frati, a Monteporzio Catone in piena doc Frascati. Ribelà che deriva da ribelare (in dialetto locale ricoprire con la terra le viti appena piantate), è una realtà ormai più che consolidata e in continua crescita; abbiamo incontrato Daniele, che anche se di Roma, trasuda un forte attaccamento per tradizioni locali e territorio, più di tanti produttori originari di zona; ci ha mostrato vigne e la nuova cantina (progettata da lui stesso), circondata da 4 ha su suoli variegati di origini vulcanico/alluvionale, oltre ai vigneti, olivi e alberi da frutto.

Viticoltura biodinamica, lieviti indigeni e fermentazioni spontanee, con affinamenti in acciaio, damigiana, cemento, botti di ciliegio e castagno (unico legno usato qui in passato). La produzione punta sui vitigni classici di zona con 6-7 tipologie, i due petnat Ribolie, il Ribelà rosso e il Ferrigno (ambedue da una varietà locale di cesanese comune abbandonata negli anni 60 per dar spazio ai bianchi), il Ribelà bianco e il Pentima(malvasia macerata e maturata in botte di castagno*), ed infine il Saittole, che nel 2014 rientrò nella Frascati doc, bocciato dal consorzio negli anni seguenti per colore e organolettica, e declassato a Lazio igt, da lì in poi così è rimasto. Senza troppi giri di parole, uno dei migliori Frascati bevuti ultimamente. Calcolando cosa trovi in giro, sicuri che non sia degno della doc?

La Torretta
Riccardo Magno e sua moglie Maria, si trovano sulla collina vitata della Torretta,  in zona Valle Marciana a Grottaferrata, una delle poche menzioni aggiuntive del Frascati scrivibili in etichetta e condivisa col cugino Gabriele (recente produttore anche lui). Poco più di 3 ha di vigne, ulivi e un piccolo orto condotti in regime biodinamico.

Proprietà di famiglia dal lontano 1864, particolare è la cantina che risiede sotto la villa, una profonda grotta risalente all’epoca romana, tra tini d’acciaio, cemento e anfore quevri interrate, in pieno stile georgiano, oltre a una riproduzione di quelle romane antiche. Riccardo si è dedicato ai suoi vigneti per anni, cedendo poi le uve alle coop locali, prima di trovare la persona giusta che li seguisse: Michele Lorenzetti, guarda caso nato a Frascati, proprietario di Terre di Giotto nel Mugello e già consulente per Stefano Amerighi e Gravner.

La prossima sarà la terza vendemmia per un’azienda giovane a cui non manca certo la voglia di sperimentare ma senza perdere di vista le origini; ne dà esempio il loro Castagna, vino che prende il nome dalla vigna omonima, affinato in una botte realizzata dall’ultimo bottaio locale*, che utilizza da sempre i soli castagni di zona, quella di Riccardo in particolare proviene dagli alberi che si affacciano proprio sul vigneto. Completano la produzione attuale il petnat da trebbiano Bolle di grotta e la Torretta, anche qui un più che papabile Frascati doc, ma Riccardo non ha ancora provato a presentarlo alla commissione del consorzio, lo farà in futuro? Dovrebbe.

Sassopra, nuovissima azienda agricola a Frascati (zona Santi Apostoli) ma ancora in stato embrionale, la prossima infatti sarà la prima vendemmia. Per rendermi conto ho voluto comunque incontrare Federico, di cui percepisci fin da subito la passione e una voglia matta di esprimersi, dopo anni di gavetta tra cantine locali, e una formazione, insieme alla moglie Marta, con Carlo Noro e Adriano Zago.

Al momento è tutto top secret o quasi, ma la tipicità è garantita dalle loro origini frascatane e vinicole, oltre che dai 5 ha di varietà locali che possiedono, che dopo un anno di lavoro hanno riportato in condizioni ottimali, tra preparati 500, 501, potature corte e cumuli biodinamici, in attesa della vendemmia a breve. Stay connected.

So che in passato il Frascati era il vino preferito della regina Elisabetta, ma che ormai, alla sua veneranda età non può più bere vino, è passata direttamente al gin; riuscirà prima o poi anche sua maestà a tornare sui suoi passi?

Aziende citate:

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Simone Di Vito

Cresciuto a pane e corse automobilistiche (per via del papà pilota), sceglie la sostenibilità di bacchette, tamburi e corde grosse, tra batteria e basso elettrico. Si approccia al vino grazie a una breve carriera da scaffalista al supermercato, decidendo dopo anni di iscriversi ad un corso AIS. Enostrippato a tempo pieno, operaio a tempo perso. Entra in Intravino dalla porta di servizio ma si ritrova quasi per sbaglio nella stanza dei bottoni. Coltiva il sogno di parcellizzare tutto quel che lo circonda, quartieri di Roma compresi.

9 Commenti

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Da quelle parti, il mondo della cooperazione e delle cantine sociali, ha avallato delle scelte che nel medio/lungo periodo si sono rivelate disastrose. Basti guardare agli esempi virtuosi dell'Alto Adige e del Piemonte. Chiunque ha un parente con delle vigne in zona sa a cosa mi riferisco. A Monteporzio, grandi vini li fa Casal Pilozzo. Soprattutto un Pinot Nero, che per complessità e longevità lascia parecchio indietro tanti omologhi nazionali.

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

Casal Pilozzo mi pare esempio calzante e anche leggendo il pezzo di Simone si capisce che quello che manca non sono i grandi vini o il territorio, piuttosto manca un progetto di comunicazione e rivalutazione della DOC. Tra l'altro, essendo per milioni di turisti ogni anno il primo vino italiano che bevono, servirebbe ben altro biglietto da visita... Anche il Soave aveva una situazione piuttosto simile ma dopo anni di investimenti consortili la situazione è cambiata parecchio. Orvieto pure ci sta provando, il Frascati non si capisce cosa aspetti a farlo.

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Andrea Gori

circa 4 anni fa - Link

Sogno davvero un mondo dove negli aeroporti accanto a Chablis e Loira ci sia scritto "Frascati" come referenza...

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Simone Di Vito

circa 4 anni fa - Link

Esatto Andrea, hai centrato in pieno quello che ho cercato di dire nel post; il discorso è molto più ampio; dalla denominazione fino ad arrivare all'enoturismo, la gente motivata come vedi non manca.

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Debora Santoro

circa 4 anni fa - Link

Ciò che manca al nostro territorio, ormai da troppo tempo, non è di sicuro la ricchezza e la distintività ampelografica nè tanto meno l’ingegno dei produttori che uniscono con i loro prodotti innovazione e tradizione. Manca il gioco di squadra, il fare sistema! Trovare un linguaggio comune per comunicare il nostro territorio. E per questo c’ bisogno di in consorzio che lavori in questa direzione riunendo e valorizzando tutte le realtà di cui parli nell’articolo.È solo questa la chiave per tornare competitivi sul mercato come altre realtà viticole italiane.

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Simone Di Vito

circa 4 anni fa - Link

Sono d'accordo Debora, serve un'unità di intenti tra tutti i produttori e consorzio, cosa che vedo in tante altre realtà(anche potenzialmente inferiori) ma non vedo qui. Quando mi appello a tradizione e origini intendo che bisogna far sentire e conoscere un territorio, una storia vitivinicola che purtroppo in molte bottiglie non ritrovo, anche per scelte sbagliate in vigna o in cantina.

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Clima mite adatto alla coltivazione della vite, e terreni di origini vulcanica ricchi di minerali. Da un lato, tutte le premesse per fare vini importanti, dall'altro una interpretazione regionale del cooperativismo, attardata su una visione assistenziale, che ha ritardato, per non dire scoraggiato, l'emergere di produttori proiettati su uno scenario più ampio e moderno. Per fortuna, tanto è cambiato. Ma pesa un "ritardo storico" che ha incatenato per anni la Regione(complice di scelte errate) e il comprensorio del Frascati alla produzione di massa di vini anonimi e senza personalità. Ma appunto si sta voltando pagina. Ed è un bene per tutti. Mi farebbe piacere leggere in proposito, l'opinione di Daniele Cernilli. Nessuno se l'abbia a male, ma è la memoria storica del vino italiano. Aquila, in mezzo a tanti passerotti che si autoproclamano esperti. E i vini in oggetto li conosce bene.

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Simone Di Vito

circa 4 anni fa - Link

Sancho, non penso che il pensiero di Cernilli si possa discostare troppo da quello di noi passerotti(io al limite posso essere Calimero😅); è una zona con del potenziale, ma ampiamente inespresso.

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Sancho P

circa 4 anni fa - Link

Sempre dalla parte di calimero! Il Doc è la mia prima lettura del lunedì mattina . Quanto rimpiango il Gambero rosso in via Fermi a Roma!! Noi appassionati squattrinati, con un pugno di euro potevamo godere dell'etichetta rossa di Giacosa, del Brunello di Biondi Santi o dellOcchio di pernice di Avignonesi ecc ecc Quanti ricordi!

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