Cartoline dal Sud Africa/1: perché, in Sud Africa si fa vino? Sì, ed è pure buono

Cartoline dal Sud Africa/1: perché, in Sud Africa si fa vino? Sì, ed è pure buono

di Redazione

Di ritorno dal Sudafrica, Clizia Zuin ci porta un po’ di storia-geografia-scienze da questa storica regione del vino mondiale, assaggia per noi  alcuni vini sudafricani famosi in tutto il mondo e altri che meriterebbero di esserlo…

Se Jane Hunt MW ti corregge e ti dice: ”No cara Clizia, dal punto di vista vitivinicolo, il Sud Africa è un Paese del Vecchio Mondo e non del Nuovo Mondo, perché la prima bottiglia di vino è nata nel 1659”, ecco che gli orizzonti vengono stravolti e si corre a rinnovare il passaporto per soddisfare questa sete di curiosità. In molti, prima di partire, mentre snocciolavo fiera i miei numeri da enoica maratoneta, mi hanno chiesto: “Perchè in Sud Africa si fa vino?”, ma ho dimenticato le offese subite appena giunta in cima alla Table Mountain, un posto fantastico per cominciare a capire la geologia e i suoli che si incontrano spesso in tutte le aree di produzione vitivinicola: sovrastrati di arenaria di 500 milioni di anni (la Borgogna allora non era ancora nei pensieri del Creatore) appoggiati su graniti affioranti con poco meno di 1 miliardo di anni d’età (la terra è nata 4,5 miliardi di anni fa)…ed ecco che l’Europa sembra ancor di più “nuovo mondo”! Camminare per 3 settimane su suoli di montagne così antiche, ma ancora così fiere, mi ha fatto capire che cos’è “Mama Africa”: una sensazione di appartenenza a questi paesaggi e a questi luoghi che non si dimentica facilmente. Ma torniamo al più recente Jan van Riebeeck, il quale ha avuto il merito di piantare le prime vigne di moscato bianco nel 1655 e ha dato alla luce la prima bottiglia nel 1659 (Dom Perignon non era ancora arrivato a Hautvillers), con l’unico e semplice scopo pratico di rifornire i galeoni dei connazionali olandesi di liquidi potabili e trasportabili, dato che l’acqua era spesso portatrice di batteri. Bei tempi.

La classificazione dei vini di Origine, WOSA, è nata nel 1973 e dal 1998 ad oggi il 95% delle aziende è entrato a far parte di un sistema di agricoltura sostenibile controllato (IPW). Gli ettari vitati sono circa 100.000, di questi, circa 3500 sono costituiti da vigne con almeno 35 anni d’età e che a volte superano i 100, e possono fregiarsi di una fascetta speciale (Certified Heritage Vineyards) la quale indica l’anno di nascita della vigna, un progetto ben raccontato sul sito www.oldvineproject.co.za, in cui è possibile trovare la descrizione dettagliata di questi tesori tracciati su una mappa del sud Africa che fa tanto Signore degli Anelli. Andate a vedere se non mi credete.

Con la fine dell’Apartheid nel 1994 il sistema vitivinicolo si è evoluto: grazie agli investitori esteri uniti ad un’economia più aperta ai commerci col nuovo mondo e ad uno stato sociale più stabile, sono nate tante fattorie e case vinicole che hanno contribuito al successo e al risollevamento di queste terre. Le aree vinicole più famose si sviluppano intorno a Cape Town e si sono storicamente originate dalla costola di Constantia (si pronuncia Constanscia), la prima Ward Sudafricana, o sottozona, nata nel 1685, per mano di Simon van der Stel. Oggi i 750 ettari vitati di questo pioniere, sono distribuiti tra le 10 aziende che compongono la Ward. Il vento da sud, qui chiamato Cape Doctor (perchè bonificava l’aria della Città del Capo) e la fredda corrente oceanica del Benguela, hanno generato un clima Mediterraneo, infatti frequente è la coltivazione dell’olivo e di altre piante mediterranee che qui si sono mescolate armoniosamente con la flora locale denominata Fymbos, piante aromatiche i cui aromi ricorrono spesso anche nel ventaglio olfattivo dei vini delle Winelands, l’area di produzione intorno alla città. Di seguito 7 vini di 7 aziende diverse, abbastanza note in Italia o che meriterebbero di esserlo. A modo loro, ciascuna di esse mi ha colpito sia per i risultati raggiunti che per la direzione qualitativa intrapresa.

klein constantia

Klein Constantia (Constantia), Vin de Constance 2016. Se c’è un vino che mette tutti d’accordo nel mondo è il Vin de Constance di Klein Constantia: un vino dolce poco conosciuto in Italia a base di Muscat de Frontignan, che ha incantato anche me che non amo i vini dolci. Di sicuro questa è stata una delle cantine del cuore di questo viaggio. L’annata è stata eccezionalmente buona, sia per i vini rossi, bianchi e dolci. 165 g/l di zucchero e non sentirli, anzi, solo la voglia di attaccarsi alla botte che sosta pericolosamente a pochi passi da me durante la degustazione, il sorso non abbandona mai la bocca e lascia per ore il ricordo regale di un tè bianco con biscottini al limone. 97 punti.

the fmc

Ken Forrester (Stellenbosch), The FMC 2016. Di Beautiful di sicuro ci sono i vini di questa azienda e la tenuta in stile olandese. Solo chenin blanc da vecchi alberelli piantati nel 1974, basse rese e un punto di riferimento per tante aziende che si cimentano con lo chenin, qui è visto come un portabandiera, come il Petrus dei vini bianchi. Sì, perché è lo chenin blanc il portavoce dell’enologia sudafricana e non il pinotage come invece si tende a pensare. Questo vino è il figlio perfettino a scuola, un po’ secchione, che non ha bisogno di studiare per prendere bei voti, ma mi piace, forse per quel residuo zuccherino alto per essere un vino secco, che ho notato solo leggendo la sua scheda tecnica qualche giorno dopo, e me lo rende ancestralmente desiderabile e meraviglioso. 93 punti.

mentors pinotage

KWV (Cantina sita a Paarl ma la vigna è a Stellenbosch), The Mentors Pinotage 2017. La più antica cooperativa sudafricana, più di 150 anni di attività, 32 ettari di cantina (no, non mi sono sbagliata), tanti soci e tante etichette, tante vigne sparse in tutto il Paese e la gamma più completa di Brandy, anche con 70 anni d’età, sempre a disposizione. Un vino dedicato a Abraham Perold, inventore del pinotage a cui la cooperativa rende omaggio. Pinotage buoni in sudafrica forse sono meno di 3 e questo è uno di quelli più appetibili anche se un po’ pompato da surmaturazioni dark in vigna a cui segue un uso del legno marcato; in ogni caso è indiscutibilmente e tecnicamente ben fatto e fantastico se amate i vini bomba. 87 punti.

meerlust rubicon (1)

Meerlust (Stellenbosch), Rubicon 2016. Forse l’unico vino sudafricano conosciuto dagli enogeek italiani, il primo blend bordolese africano, ancora sulla cresta dell’onda, portatore della qualità enologica di questa terra, in una delle annate più interessanti dell’ultima decade. Uno degli ultimi vini assaggiati durante il viaggio e, non paga, appena la signora dell’accoglienza mi ha lasciata sola con la bottiglia, me ne sono versata una gran bicchierata. Per dirvi quanto mi sia piaciuto. In Italia si trova, chiedete alla distribuzione Vino & Design. 91 punti.

la motte

La Motte (Franschoek), Syrah Viognier 2009. Campione assaggiato poco prima del gemello 2012 all’interno di questa bellissima azienda che propone degustazioni di quelle che per loro sono vecchie annate all’interno della cantina di affinamento. Apprezziamo lo sforzo. Le due uve, syrah e viognier, vengono fermentate nella stessa vasca. È il vino più “vecchio” assaggiato in Sud Africa, la materia prima è ottima anche se leggermente coperta dal legno, mi fa ridere che la prima cosa a cui ho pensato mettendo il naso nel calice è il profumo del carbone di zucchero della calza della befana, meno male che in bocca, seppur con qualche acciacco, è in equilibrio, va vista come un’esperienza (non proprio economica). 86 punti.

glenwood nobless

Glenwood. (Franschoek), Noblesse Grand Duc 2017 solo 3800 bottiglie. Questo è un vino da vendemmia tardiva e il nostro Noblesse è composto per l’80% da semillon e 20% sauvignon, viene prodotto solo se le uve vengono attaccate da botrytis, 4 tries durante la vendemmia e, ci tengono a far notare, da una tonnellata d’uva si ottengono solo 90 litri di mosto, 150 g/l di zucchero bilanciato da un’alta acidità, circa 7,8 g/l. Come afferma il talentuoso e disponibilissimo enologo dell’azienda, Dawid Petrus, questo è un vino sexy da provare almeno una volta nella vita, magari abbinato al caviale. È quanto di più simile ci possa essere ad un Sauternes, ma con delle note più fragranti e sauvage, una delle bevute e chiacchierate migliori di questo viaggio. 94 punti.

glen carlou quartz chardonnay

Glen Carlou. (Paarl), Quarz Stone 2018. Per entrare nella sala degustazioni con vista vigneti, si passa attraverso una galleria d’arte e già questo è perfetto, se poi avete la fortuna di visitare la cantina e degustare con Jan Carstens, allora potrete vivere alcuni dei momenti più piacevoli in Sud Africa. Quarz è solo chardonnay da una vecchia vigna piantata nel 1989. In sud Africa lo chardonnay è largamente diffuso e spesso bastonato da ingenti dosi di rovere che più tostato non si può, quel genere di vini che sono convinta sarebbero piaciuti tanto a Brie Van de Kamp in Desperate Housewives prima della rehab. Non è questo il caso, anche se la nocciolina tostata si affaccia di tanto i tanto, questo è stato il primo chardonnay degustato davvero buono e ben fatto, e il primo a manifestare una sapidità e tattilità gustativa davvero notevoli. 88 punti.

A breve le altre 3 cartoline di questo immenso viaggio. Stay tuned…

2° parte

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