Cantillon, la genesi di un fenomeno diventato di culto

Cantillon, la genesi di un fenomeno diventato di culto

di Jacopo Cossater

Lo scorso 12 dicembre, il giorno in cui Cantillon mise in vendita i biglietti per la prossima edizione di Quintessence, su Facebook scrivevo questo:

“Pazzesco, i circa 7/800 biglietti disponibili per il prossimo Quintessence -piccolo festival che Cantillon organizza al birrificio ogni due anni- sono andati bruciati in meno di un’ora. Una cosa mai vista: in occasione delle scorse edizioni era vendita che poteva tranquillamente durare qualche giorno, no rush, senza particolare ansia.

Soprattutto una cosa che fa una certa impressione: l’hype che circonda Cantillon credo non abbia precedenti, non nella birra almeno. Una psicosi che tra l’altro non solo rende queste birre sempre più inaccessibili ma che anche allontana sempre di più i prodotti di Jean Van Roy dalla quotidianità che caratterizza il consumo storico del lambic e dei suoi derivati. Oh, non che lui sia mai stato particolarmente diffuso nei peggiori bar del Pajottenland però a cascata è fenomeno destinato a influire un po’ su tutti gli altri, da 3 Fonteinen in giù. Sarà interessante seguirne gli sviluppi.”

Una manifestazione, Quintessence, che ha cadenza biennale, che si tiene all’interno dello stabilimento e che dal 2012 ospita realtà “amiche”, che producono birre anche a fermentazione spontanea e che nel loro percorso si sono in qualche modo ispirate alle produzioni di Jean Van Roy, deus ex machina del birrificio di Anderlecht. Un evento che ormai ha il sapore della tradizione. La prima volta che Cantillon ha aperto le proprie porte ad altre realtà artigianali è stato nel 2012, allora fu l’Italia ad essere protagonista con Loverbeer, Montegioco e Baladin. Due anni dopo fu la volta di 2 dei birrifici americani più celebrati, non solo in patria: Russian River e Allagash. Nel 2016 saltò all’ultimo la partecipazione di Birra del Borgo, poche settimane prima acquisita dal colosso Ab InBev, ma rimase quella degli spagnoli di Ales Agullons. Tra poco meno di 5 mesi, il prossimo 1 maggio, sarà la volta di Hill Farmstead, popolare birrificio del Vermont.

Una situazione che non si limita a questo piccolo ma significativo evento ma che abbraccia ormai un po’ tutte le attività di Cantillon: in questo post su Facebook Jean Van Roy si scusava con i propri clienti storici se le molte centinaia di bottiglie che normalmente venivano acquistate nell’arco di qualche settimana, quelle che tradizionalmente vengono messe in vendita in autunno, erano invece finite in poche ore, comprate in loco soprattutto da persone che di Cantillon conoscono poco o niente ma che hanno probabilmente imparato molto in fretta come riuscire a rivederle a prezzi molto più alti, soprattutto online. Un fenomeno alimentato dall’enorme richiesta del mercato, soprattutto di quello americano. Proprio di questo, di come Cantillon sia passato negli USA da birrificio pressoché sconosciuto a fenomeno religioso, o quasi, si è occupato Aaron Goldfarb in un pezzo uscito qualche giorno fa su Punch. Titolo: “The Moment Cantillon Happened”. Eccone un breve estratto:

In 2008, Russian Rivers’ Pliny the Elder (double IPA) and Pliny the Younger (triple IPA) both entered Beer Advocate’s top 10 for the first time. Those beers were basically unobtainable outside northern California and beer geeks began trading local buddies to acquire them. It’s not hard to imagine a Russian River local throwing a Supplication or Beatication in the FedEx box, too, which is exactly is what happened to me. It wouldn’t be long before beer geeks learned Russian Rivers’ sours were Americanized homages to Cantillon. (Russian River owner Vinnie Cilurzo visited the brewery in 2006 and came back home inspired to brew his own version of lambic.)

By 2010, American sour beer really began to garner acclaim. Russian River had four of theirs in Beer Advocate’s top 100 and Cantillon began to pick up steam, too; the days of seeing “Loons” on shelves was almost over. (…) By 2013, 113 years since Van Roy’s great-grandfather had first started producing beer, Cantillon finally conquered the American beer geek firmament. Within that year, 11 Cantillons suddenly jumped into Beer Advocate’s top 250. Fou’Foune, a lambic aged with apricots that had been unranked for years, was now Cantillon’s highest ranked offering at No. 11.

E ancora:

With a production capacity of only 1,500 barrels a year—which was just recently doubled—Cantillon needed only get mildly popular amongst a small sect of American beer (and wine) geeks to become completely unavailable the world over. While any Cantillon fan can tell you, anecdotally, that it’s become increasingly difficult to find Cantillon over the last decade—hell, I used to see it gathering dust in Whole Foods—the data actually supports it. According to BeerMenus, while the number of instances of Cantillon being available in bars, shops and restaurants has held steady, the number of businesses their website tracks has increased twelvefold.

Un fenomeno che insomma non sembra destinato a rallentare, non in tempi brevi. Non stiamo infatti parlando di una moda forse momentanea come può essere quella delle New England IPA, birre molto opache che negli ultimi anni hanno movimentato un po’ la discussione intorno ai luppoli portandone il loro uso all’eccesso, o quasi. Parliamo di birre, le (grandi) sour, che nella maggioranza dei casi sanno affrontare con grazia il passare del tempo, che quindi non sono destinate a un rapido declino ma che anzi in alcuni casi riescono a regalare inaspettate e piacevolissime sensazioni organolettiche anche a distanza di molti anni. Io stesso ho avuto la fortuna di assaggiare alcune Gueuze con diverse decadi sulle spalle, bicchieri che si sono rivelati se non memorabili almeno di straordinario interesse, a dimostrazione di quanto questa tipologia di birre sia in grado di affinare e di mutare in bottiglia.
In de Oude Smis van MekingenUna bottiglia di Geuze di Moriau servita all’In de Oude Smis van Mekingen, piccolo e tipicissimo bar del Pajottenland

La sensazione è che con Cantillon -l’indiscusso riferimento nel panorama dei produttori di Lambic- e con un gruppo non così nutrito di altri birrifici sparsi a macchia di leopardo un po’ in tutto il mondo, soprattutto negli USA, si sia aperta una strada che il mondo del vino ha conosciuto molto tempo fa, con tutte le speculazioni che nel tempo hanno investito questa denominazione o quella cantina. Mi spiego: da una parte i clienti storici, quelli che godono della fiducia del birrificio e che possono quindi contare su una fornitura più o meno stabile; dall’altra il mercato secondario e tutta la speculazione che questo porta con sé, panorama che è andato via via sviluppandosi a causa della sempre crescente richiesta da parte del mercato.

Difficile immaginare cosa succederà nei prossimi anni, certo è che nonostante il recente ampliamento produttivo quelle di Cantillon, soprattutto in bottiglia, saranno birre sempre più costose e difficili da trovare. Negli Stati Uniti e a cascata un po’ anche da queste parti.

Jacopo Cossater

Docente di marketing del vino e di giornalismo enogastronomico, è specializzato nel racconto del vino e appassionato delle sue ripercussioni sociali. Tra gli altri, ha realizzato i podcast Vino sul Divano e La Retroetichetta, collabora con l'inserto Cibo del quotidiano Domani e ha cofondato il magazine cartaceo Verticale. Qui su Intravino dal 2009.

2 Commenti

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Hazel

circa 6 anni fa - Link

Mi fa lo stesso effetto di quando,dalle nostre parti, i R.E.M.,passarono dai 4 ascoltatori di 'Murmur' ai bar -karaoke con 'Losing my religion'

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Nic Marsél

circa 6 anni fa - Link

Capisco perfettamente la sensazione. La speculazione è iniziata già da alcuni anni e adesso Cantillon è davvero difficile da trovare se non a prezzi davvero eccessivi. Ma non è che con altri produttori di Lambic vada molto meglio. Boon rimane forse l'unica oggi accessibile ma l'isteria attorno alla tipologia mi ha decisamente stufato. Non ci azzecca nulla ma giusto per rimanere in zona ora mi sono affezionato a De Dolle: "Sille Nacht" a parte (ma anche in questo caso che prezzi!) l'Arabier è forse la mia birra del momento. E l'acido, che si è montato un po' la testa, finisce in panchina.

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