Calcio, calcetto, e al novantesimo minuto un bicchiere di vino con un panino

Calcio, calcetto, e al novantesimo minuto un bicchiere di vino con un panino

di Pietro Stara

C’è una inequivocabile e inveterata supponenza sia da parte di quelli che se ne occupano, sia da parte di coloro che lo schifano apertamente, nel ritenere il mondo del calcio un luogo di intralcio allo sviluppo intellettivo. La media delle interviste e delle dichiarazioni rilasciate da calciatori, dirigenti, allenatori, tifosi, arbitri e giornalisti del calcio equivarrebbe, insomma, allo standard medio di un pallottoliere di frasi fatte e ripetute alla portata di un ripetente qualsiasi di 12 anni.

Ne ricordiamo qui alcune delle più utilizzate: “Questa vittoria fa bene per la classifica ma soprattutto per il morale”; “Sono a disposizione del mister, gioco dove vuole lui”; “Dobbiamo stare attenti, loro hanno giocato 9 partite in 6 giorni e quindi saranno carichi”; “Dobbiamo stare attenti, loro non giocano da 2 mesi e quindi saranno riposati”. Ma se dovessimo fermarci qui, perderemmo gran parte della vitalità culturale di un mondo che non smetterà mai di stupirci.

Un giorno qualsiasi di un anno qualunque mi stavo aggirando nei pressi della facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova quando mi imbattei in quello che di lì a poco mi fece cambiare completamente opinione. Orbene, per chi non lo sapesse, tra corso Andrea Podestà, sede della facoltà, e la scalinata che porta all’abbazia di Santo Stefano, c’è un luogo, detto “il rumentaio”, dove si trovano materiali universitari scartati da docenti, da studenti, dal personale impiegatizio e false reliquie. In un  tempo lontano (1271), infatti, venne donato all’abbazia un pezzo del braccio di Santo Stefano. Di recente sono stati aggiunti ‘il pigiama di Santo Stefano”; “la pipa di Santo Stefano”; “la racchetta da tennis tavolo di Santo Stefano” e via dicendo. Altre reliquie sono state valutate come non probabili, e quindi scartate, oppure rivedibili e  dunque in attesa dell’imprimatur del sacro ordine degli archeologi vescovili di Quarto Oggiaro.

“Il rumentaio” ospita, regolarmente, anche persone fisiche: si tratta solitamente di studenti fuoricorso che sono stati sbattuti fuori dagli alloggi convenzionati messi a disposizione dall’Università. Tra una scartoffia e un’altra e, dopo avere spostato delicatamente due studenti che russavano della grossa, mi imbattei in un dvd dal titolo curioso: “calcio.. cena di gala 19..”. Anno incomprensibile. Lo portai subito a casa e tentai di sbobinarlo alla meglio tra rumori di sottofondo, righe improbabili e canzoni del repertorio del liscio italiano. Scoprii, con mio grande sbigottimento, che in quella cena di lusso, probabilmente a scopo benefico (un presentatore in lontananza  faceva riferimento a capi di alta moda da destinare a bambini e bambine che avevano appena perso lo yacht per colpa di manovre improvvisate dei genitori cocainomani), la conversazione virò inaspettatamente sul vino. Dal momento che gli etnografi genovesi sono interessati alle culture alimentari più o meno come Cassano è interessato allo studio di lingue romanze, il dvd venne gettato malamente in quella spazzatura di rango.

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Ad aprire le danze fu un’improbabile dichiarazione del commentatore sportivo Fabio Caressa: “Cazzuola e spatola, il muro dell’Inter si chiama Franciacorta Brut Satèn Ante Omnia Millesimato Majolini”. Qualche rutto strimpellato nei tavoli adiacenti e si sentì il tackle in scivolata di Filippo Inzaghi: “Il mio vino più bello è quello che devo ancora bere. E sarà per certo il Moscato Rosa Passito di Plattner Heinrich-Waldgries”. Roberto Baggio non volle essere  da meno: “Se devo affogare, meglio farlo nel Barolo Monprivato Ca’ d’Morissio che in una pozzanghera.” Di fronte a cotanta saggezza ci fu un momento di silenzio quasi imbarazzato, interrotto soltanto dal tintinnio delle palline di caviale, occasione che non perse Gianni Agnelli per riferire a proposito di Platinì: “Lo abbiamo pagato un tozzo di pane, lui ci ha messo sopva il caviale…” seguito da una grassa risata. Fecero prosieguo urla di rabbia e sembra che qualche giocatore abbia pure trattenuto Carlo Mazzone, stranamente imbufalito, che trasalì in direzione dell’Avvocato: “La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri!!” – Al che Gianni Agnelli si rivolse a Platini: “ma sta pavlando di te, del caviale, o di Totti?” – e la risata ora sembrava un’esplosione.

Francesco non se lo fece ripetere due volte e, guardando dritto negli occhi Gianni: “Quando ero ragazzo e annavo a beve co’ sommelliers che non conoscevo e stavano a fa le squadre se finiva sempre con ‘vino o regazzino?’ poi dopo 2 minuti di bevute ed un paio di cicchetti tutti: ‘Refamo le squadre, refamo le squadre, il regazzino è troppo forte!” La situazione, dalle urla in crescendo, sembrava che stesse degenerando, quando si sentì inconfondibile la voce di Lionel Messi, nascosto da una montagna di insalata russa, che rilanciò il dibattito su temi di maggior rilievo: “Tra me e il vino c’è un rapporto speciale, so già come dovrò trattarlo prima ancora che mi arrivi in bocca”. Maradona, compiaciuto di avere un erede di tale portata e di enorme qualità, non mancò di rammentare: “vedere bere Messi è meglio che fare sesso!” E ricordò, per buttarla sul ridere, quando, dopo aver vinto la coppa Uefa nel 1990 con il Napoli, Ferlaino si avvicinò e gli disse: “Non ho mai voluto venderti, l’ho detto solo per motivarti”…” In quel momento avrei voluto spaccargli il Franciacorta Extra Brut Pas Operé di Bellavista in testa.” – aggiunse ridacchiando e sorseggiando il Fumin di Elio Ottin. Josè Mourinho allora colse la palla al balzo per inserirsi nel dibattito e, schietto solo come un par suo sa essere, si sovrappose a Diego con queste parole: “La miglior sorpresa nel vino? Come nella formazione di calcio. Non avere una sorpresa. Per questo, a pasto, bevo sempre  il mio bel Cerasuolo di Vittoria di Planeta.”

Le voci si fecero più sempre più rarefatte e in primo piano risuonavano le belle parole della canzone di Al Bano: “Felicità è un bicchiere di vino con un panino, la felicità”. Non riuscii più a captare nulla se non un Pierluigi Collina che, in procinto di ballare un lento con Zdenek Zeman, gli sussurrò alle orecchie: “Saggio è chi pensa. Il degustatore seriale alla cieca non può essere saggio. Deve essere impulsivo. Deve decidere in tre decimi di secondo”.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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