Brunellopoli, cinque anni dopo

di Stefano Cinelli Colombini

Sono passati cinque anni dallo scandalo del Brunello, e credo che sia tempo di provare a sanare la ferita. I fatti sono noti, la tempesta perfetta generata dall’accertamento di varie violazioni dei Disciplinari e dal clamore mediatico ha colpito duramente la credibilità dei vini di Montalcino. Chi ha fatto più danni? Le due cose si sono amplificate a vicenda, ma è innegabile che senza violazioni lo scandalo non ci sarebbe stato. La crisi mondiale era appena scoppiata, e la coincidenza di tutti questi fattori negativi ha messo a rischio l’esistenza stessa dei produttori e del territorio. Ora, nel 2012, come sta Montalcino? Nessuna azienda ha chiuso. Un Brunello è il miglior vino dell’anno per la guida dell’Espresso, e questo è solo uno dei tanti riconoscimenti che stiamo ottenendo. Il mercato perduto é stato faticosamente riconquistato, anche se spesso con valori più bassi. I prezzi di Brunello e Rosso di Montalcino sfusi sono ai massimi storici, così come il numero di bottiglie vendute. I Brunelli che si trovano sul mercato a volte sono ottimi e a volte no, ma sono tutti Sangiovese in purezza. La crisi c’è e morde, ma il Brunello sta reagendo meglio di quasi tutti i vini italiani. La legge ha definito i suoi verdetti, e tutto quanto è successo ha prodotto un risultato importante; quei vini su cui c’erano tanti dubbi non esistono più. Però i veleni dello scandalo sono ancora tra di noi, e creano divisioni che bloccano tutto.

Io credo che la polemica sia rimasta aperta perché non abbiamo risolto il conflitto da cui é nata. A Montalcino ci sono da sempre due posizioni contrapposte, c’è chi crede che il Brunello debba il suo successo mondiale a Sangiovese, territorio e tradizione, per cui continuerà a crescere se rimarrà coerente con la sua storia, ma c’è anche chi ritiene che sia necessario adeguarlo alle mutevoli richieste del mercato e dei media. Entrambe le posizioni mirano a produrre il miglior Brunello possibile, ma sono oggettivamente incompatibili. La prima é largamente maggioritaria tra i produttori, per cui i Disciplinari dei vini restano invariati. Questa divisione tra di noi è la vera origine dello scandalo, ed è troppo pericolosa; per il bene di tutti deve finire. E qui è necessaria una considerazione; noi tutti dipendiamo così tanto dal Brunello che uno scandalo che colpisce un’azienda fa inevitabilmente danni a tutte perché non mette in dubbio solo un Brunello, ma tutto il Brunello.

Mio nonno Giovanni Colombini diceva che non potremo mai trovarci d’accordo sul passato ma tanto non serve a nulla, perché ciò che conta è essere d’accordo sul futuro. Ma per trovarci d’accordo sul futuro serve un progetto che possa unirci. Quale può essere? Credo che per capirlo occorra una riflessione su chi siamo. Montalcino ha oltre trecento aziende che rivendicano le sue Denominazioni, e il Brunello rappresenta per tutte la quasi totalità degli utili. Salvo pochissime, le loro vigne hanno più del 90% di Sangiovese; è il loro stesso modo di essere che le lega indissolubilmente al Sangiovese, a Montalcino ed alla sua storia.

E allora, come se ne esce? È evidente che i Disciplinari non cambieranno, ma è anche evidente che quei puri Sangiovese che qualcuno voleva cancellare stanno tenendo il mercato meglio di ogni altro vino toscano. E allora dimostriamoci saggi, unendoci tutti senza se e senza ma sotto questa bandiera che sta vincendo. L’unico modo per superare lo scandalo è renderlo una fase ormai superata della nostra storia; una storia non priva di sbagli, ma anche piena di moltissimi successi. Una storia di cui ogni azienda è comproprietaria, così come lo è del Brunello. Per cui basta liti, ma tutti devono capire che la complessa realtà di Montalcino si governa solo se si ha un amplissimo consenso. Altrimenti si va alla paralisi. Per cui basta richieste di cambiare il sistema di voto, e puntiamo invece alla drastica riduzione dei costi del Consorzio; spendiamo meno e meglio, come già fanno tutte le nostre aziende. La promozione va focalizzata su quei concetti attualissimi condivisi dalla larga maggioranza dei soci, che in estrema sintesi sono questi. Il mondo va verso la specializzazione, e noi siamo gli specialisti mondiali del Sangiovese. Solo ciò che non si può copiare mantiene valore, e l’essenza stessa del Brunello è fatta di cose non riproducibili; è l’unico Sangiovese in purezza di classe mondiale, nasce da una tradizione fortemente identitaria, da una grande storia e da una fila di personaggi lunga secoli. Non bastasse, ha un territorio straordinario e una realtà attuale tra le più varie, dinamiche ed interessanti al mondo. Si possono fare ottimi vini ovunque, magari anche dal Sangiovese, ma solo il Brunello ha un così enorme “valore aggiunto”. È l’insieme di tutte queste cose che ci rende unici, e oggi l’unicità è la cosa più preziosa e ricercata; una Ferrari o un Rolex si possono copiare ovunque, ma il Brunello nasce solo a Montalcino. E chi lo vuole deve venire da noi. Restando se stesso il Brunello ha sempre anticipato il futuro; continuiamo a farlo.

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Stefano Cinelli Colombini

Nato nel 1956 a Firenze da un'antica famiglia senese, è il titolare della Fattoria dei Barbi a Montalcino. Membro dell’Accademia Nazionale della Vite e del Vino e dell’Accademia dei Georgofili, è un grande appassionato di storia, arte e musica classica.

85 Commenti

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Proposte e aspirazioni condivisibili. Giusto per animare la discussione poiché si parla di un territorio e attività a tradizione fortemente identitaria: l'ultima volta che son stato a Sant'Angelo in Colle mi è stato detto che in zona, e penso che sia la regola piuttosto che l'eccezione qui e altrove, che si fa sempre più fatica a trovar gente disposta a LAVORARE in VIGNA, a LAVORARE la TERRA. Attività che un tempo facevano anche "i nobili" e privilegiati. Oggi ci pensano gli extra comunitari. Secondo me, bisognerebbe partire da qui, quando si parla di espressione del territorio e di scandali, soprattutto in Italia.

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giacomo

circa 11 anni fa - Link

Quindi? Serve la cittadinanza italiana o la residenza a Montalcino per essere capaci di lavorare la terra? O e' uno stimolo a riflettere su come mai chi lo faceva prima adesso non vuole piu' farlo....la terra e' diventata piu' bassa o l'animo si e' elevato cosi' tanto da farlo ritenere un lavoro troppo umile? O magari si cerca di contenere i costi adoperando mano d'opera discutibile e magari pagabile in modi piu' o meno consoni a prezzi scontati?.....scusate non e' inerente al post (molto bello) e non vorrei aprire una discussione interminabile.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Montalcino da lavoro a sei o settemila persone ma ha cinquemila abitanti compresi bambini, pensionati e gente che fa altre cose; non potremmo fare il vino senza "importare" manodopera. Che viene pagata con regolari paghe sindacali, come testimoniano i moltissimi controlli che abbiamo.

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Antonio

circa 11 anni fa - Link

Grazie Stefano, bell'articolo, ma a proposito di indotto creato dal Brunello a Montalcino hai dimenticato di citare qualche "giornalista" che ha sguazzato in modo indegno, facendo diventare questo scandalo più importante di quanto realmente fosse solo per avere un po' di immeritata visibilità. Lungi da me voler assolvere quei produttori coinvolti, ma non è con la caccia alle streghe o con le liste di proscrizione (abbiamo visto anche queste!!) che si fa del bene ad un territorio ed un vino.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Se sei famoso e vai con una donnaccia, tutto il mondo lo sa la mattina dopo. E' un inconveniente della fama, non dei giornalisti; un inciampo del Brunello fa notizia, e le notizie escono. L'alternativa è fare come la ministro Fornero, che con grande gentilezza ha chiesto ai giornalisti di andarsene perchè altrimenti avrebbe dovuto pesare ogni parola, e ci sarebbero volute ore. Ma il vino può vivere senza comunicazione?

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"Serve la cittadinanza italiana o la residenza a Montalcino per essere capaci di lavorare la terra? " No, chiusa la discussione interminabile. Serve capire la tradizione, se c'è e si trasforma continuamente. E soprattutto occorre qualcuno in grado di farla continuare. Spiegando le ragioni, pratiche, per esempio come si lavora la terra e la vigna, e di valore, perché si lavora la terra e la vigna. Fine.

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Edoardo Fioravanti

circa 11 anni fa - Link

"Il mondo va verso la specializzazione, e noi siamo gli specialisti mondiali del Sangiovese. Solo ciò che non si può copiare mantiene valore" Passaggio importantissimo, per ragionare del futuro bisogna partire da questo.

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Paolo

circa 11 anni fa - Link

Si, credo anche io che l'ottimo e ragionato articolo abbia centrato qui uno degli aspetti principali: noi lo chiamiamo "mark up di risorsa non riproducibile", una sorta di monopolio, ma la sostanza e' quella. In un mondo di concorrenza rampante, solo il mantenimento dei caratteri unici e non replicabili (il terroir, insomma) puo' garantire il mantenimento e l'accrescimento del valore. La debolezza della opzione "adeguiamoci alle mutevoli richieste del mercato e dei media" e' appunto data dal fatto che se vai per accontentare chiunque (ma chiunque chi? i critici che diventano consulenti delle cantine stesse? i giornalisti? il medioman delle indagini di mercato Nielsen?), finirai inevitabilmente per trovare un concorrente che lo sa fare meglio di te, che accontenta il "chiunque" a costi piu' bassi. Per fortuna, come evidenziato, la controprova e' concreta: in un periodo economicamente difficilissimo, il mantenere la barra ben salda ha premiato e continua a premiare i produttori

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gabriele succi

circa 11 anni fa - Link

Complimenti Stefano, bell'articolo! In effetti è vero, chi vuole un vino "brunello" deve venire da voi; ma secondo me molti di coloro che vengono da voi lo fanno anche per uno "status" (mi si consenta il termine), cioè possono dire di essere andati a Montalcino e aver bevuto Brunello...anche se magari non sanno nemmeno che è fatto con uve Sangiovese... Seconda cosa, molti di quelli che fanno Brunello la fanno con la consapevolezza e con cognizione di causa, sapendo quello che devono fare per rispettare un territorio etc etc; in altre zone (e ogni riferimento non è casuale) i produttori non sanno neppure cosa sia il vino... Un saluto Gabriele PS Dimenticavo, 2 sabati fa a Genova con degli amici abbiamo stappato un Brunello dei Barbi del 1967... Ogni commento è superfluo...era perfettamente integro senza alcun cedimento...e non aggiungo altro. Chapeau!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Aggiungo che tanti lo regalano perché sanno che chi lo riceve capisce, senza bisogno di spiegazioni, il valore del dono. Ma il Brunello non è oro, questo status non è una qualità intrinseca del prodotto; ce lo siamo costruito con tantissimi anni di serietà, coerenza nella qualità e nel tipo. Paresse poco!

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"il mantenimento dei caratteri unici e non replicabili (il terroir, insomma)". Il punto starebbe tutto qui. Se n'è già discusso in altro trhead su questo sito per le menzioni geografiche tipiche del Barolo. Com'è allora che a Montalcino l'areale a DOC e DOCG dagli anni 70 in poi s'è moltiplicato? A prescindere dal resto. L'unicità è una bella invenzione da ripensare. Considerato che l'aureola che la circonda s'è persa da tempo per l'arte, la poesia, la religione, etc. C'è ampia bibliografia specifica. Se si discute di vino, la differenza fra Italia e Francia, sintetizzando brutalmente, è che loro l'unicità la associano al terroir, noi al vitigno. E han ragione da vendere loro.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

No, è inesatto, l'areale della Denominazione è sempre lo stesso da secoli. I Crocchi a Torrenieri e i Nozzoli vicino a Buonconvento producevano Brunello già nell'800, e lo stesso facevano i Placidi a Poggio alle Mura o i Biondi di Castelfalfo a Castiglion del Bosco. Poi, con la crisi (questa non è la prima!) degli anni '60 molte aziende sono morte e negli anni '70 in certe zone non c'erano più produttori, ma in passato c'erano sempre stati.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Riporto quanto ho scritto da altra parte: "A Montalcino basterebbe ri-delimitare le estensioni territoriali - nel senso di tornare essenzialmente alle storiche, visto che qui si tira a mano la storia pro domo sua, iscrivibili a DOCG e il problema si risolve da solo. Ho cercato in rete e non ho ancora trovato i documenti che definiscono all'atto dell'istituzione della DOCG Brunello di Montalcino (1980) o ancor meglio della DOC relativa (1966), le zone vocate incluse allora nel disciplinare. (Se qualcuno ha indicazioni in proposito, lo ringrazio anticipatamente). Ripeto che non mi torna leggere su un vecchio numero di Vini e Liquori di Veronelli che, per esempio nel 1975, la superficie vitata a Brunello era di 280 ettari, oggi arriva a 3500." Se Stefano ha lumi e indicazioni precise, lo ringrazio anticipatamente.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Tutti i Disciplinari, compreso quello degli anni '30, sono visibili al Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello. E tutti comprendono l'intero territorio comunale di Montalcino. Quanto agli ettari iscritti, prima del blocco comunitario dei vigneti (1975) bastava essere all'interno di una zona DOC e avere le uve richieste e si poteva iscrivere in qualunque momento ogni superficie. Per cui molti non se ne curavano e gli ettari iscritti erano pochi; anche perché nell'Italia di allora la maggior parte di ogni vino (e di qualunque altro prodotto) non era fatturata. Per cui gli ettari iscritti erano pochi, come poco era il vino fatturato, ma la produzione era molto più alta. Altri tempi, altre regole. Ora gli ettari a Brunello sono 2.100, mentre 3.500 sono i vigneti totali di Montalcino.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Dimenticavo, nel 1800 gli ettari vitati a Montalcino erano 4.500, e sono scesi a 3.500 solo nel secondo dopoguerra. Ma, dai dati dei censimenti, non sono mai stati meno di 1.500. Per cui dov'é sta grande espansione moderna?

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Grazie delle precisazoni. Per come la vedo io un disciplinare che stabilisce a Montalcino come zona vocata " l’intero territorio comunale" è inutile, anzi è utile per chi intende ampliare il più possibile tale zona. Per il solito confronto con l'eccellenza e le precise delimitazioni della Francia, nell'intera Borgogna, gli ettari vitati a grand cru NON superano i 550, fonte wikipedia.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Per come la vedo io il sistema francese ha anche le Denominazioni ma è basato sui cru, ovvero le singole aziende che usano la loro forza di immagine e/o commerciale per imporre se stesse. E solo se stesse. Il sistema italiano invece è basato solo sulle Denominazioni, e questo crea una sinergia tra varie persone che fanno lo stesso vino nello stesso territorio facendosi forza a vicenda. Ogni sistema ha pregi e difetti, ma il nostro permette al mio giovane e sconosciuto vicino di casa di trovare un importatore a Los Angeles solo per il fatto che lavora bene e fa un buon Brunello. Il vicino di casa di un cru francese non ha questa opportunità. Però loro effettivamente hanno territori vocati individuati microscopici, solo per pochi eletti; come diceva una vecchia battuta, per i bambini bravi la dolce Euchessina, il resto spinga.

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fmartini

circa 11 anni fa - Link

Articolo 2. Il vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita "Brunello di Montalcino" deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti nell'ambito aziendale esclusivamente dal vitigno "Sangiovese" (denominato, a Montalcino, "Brunello") Articolo 5. .........Il prodotto di affinamento in contenitori di rovere può essere trasferito in altri recipienti durante il periodo di affinamento. Detti trasferimenti dovranno essere documentati sui registri di cantina in modo che dagli stessi risulti evidente l’effettuazione dei due anni di affinamento in contenitori di rovere.............. e qui secondo me casca l'asino e il continuo scimmiottare i francesi con le barrique e i tonneau....il brunello ha perso parte della sua secolare caratteristica così come il chianti classico.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Sul Chianti Classico non mi pronuncio, non ne so abbastanza, ma le cantine di Montalcino le ho girate quasi tutte e duecento e sono praticamente tutte basate sulle botti medie. Come da secoli. Se gentilmente mi dice quali sono le cantine che hanno solo barriques, le sarò grato.

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fmartini

circa 11 anni fa - Link

il mio pensiero era solo un ipotesi non suffargata da nessun elemento concreto. Certo è che da fiorentino di 58 anni di sangiovese e sangiovese grosso ne ho bevuto e mi pareva che negli ultimissimi anni il gusto fosse leggermente diverso......saranno gli anni che passano :-)

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

È vero, non ci sono più i sangiovese di quando eravamo giovani. Ma non è opera dell'uomo. Ne parlava l'enologo Castelli domenica in un raffronto tra Brunelli 2007 e anni '80; stagioni più fredde davano sangiovesi più duri, acidi, poco alcolici e più adatti a lunghi invecchiamenti, mentre ora abbiamo sangiovesi più "mediterranei", morbidi e alcolicissimi. Tempora mutant, et nos.

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Silvana Biasutti

circa 11 anni fa - Link

et nos mutamur (troppo?!) in illis?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Beh, se usassimo al meglio l'agronomia per "ammortizzare" i cambiamenti climatici in vigna, qualche risultato l'otterremmo. Certo, occorre essere conservatori del senso di ciò che facciamo senza essere adoratori del modo in cui lo abbiamo sempre fatto, e questa è una capacità molto difficile da coltivare.

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Alessandro

circa 11 anni fa - Link

Ma il problema nasce dal Sangiovese o dall'invecchiamento imposto dal disciplinare? Alcuni produttori tagliano con frutto (sangiovese) più integro (vivo) o sbaglio?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Nella Comunità Europea (ed in ogni altra parte del mondo) ogni vino può essere tagliato con il 15% di un'annata diversa. Montalcino si adegua a quello che fanno tutti gli altri terrestri piú o meno dai tempi di Noé.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Non capisco il senso di questo tuo ultimo commento. Nella Comunità Europea il vino con indicazione varietale può essere tagliato con il 15% di altri vitigni. Il che è per conto mio una norma sbagliata e figlia della solita ottica industriale ed antistorica che vede come il fumo negli occhi ogni competizione commerciale basata su qualcosa di diverso dal prezzo basso e dagli standard tecnologici ovvero dalle economie di scala. Per fortuna esiste una legge articolata in livelli, che stabilisce che la normativa europea vale solo se non viene superata da normative ovvero disciplinari specifici più stringenti. Come è appunto il caso del Brunello di Montalcino DOCG. Oppure la tua idea è proprio quella di sostenere il Sangiovese in purezza, nello stesso modo in cui è Sangiovese in purezza quello etichettato Toscana IGT, cioè con il 15% di qualsiasi altra cosa dentro - ovvero in assenza di verifiche analitiche di comprovata forza di prova in tribunale, qualsiasi percentuale immaginabile, voglio vedere qualcuno a negare che un certo colore o una certa nota di peperone non la possa aver data anche solo un 15% di un certo altro vitigno, e che non debba essere invece il 20, o il 30, o anche il 100%, perché no...

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

La mia posizione storica, sorta in occasione dello scandalo, è che se si vuole evitare, come si deve, l'impiccio irragionevole e contrario del bene della purezza assoluta al 100%, che sa di assolutismo ideologico, la giusta misura perché si possa avere un vino che sappia essenzialmente di Sangiovese e non di altre vaccate, è il 3-5%. Se si concede di più, è tutto perduto.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

E aggiungo ancora: non il 3-5% nel disciplinare, che DEVE restare Sangiovese in purezza - altrimenti tutto è perduto c.s., oggi il 3 domani il 30. Il 3% come soglia di tolleranza analitica in fase di contestazione penale, secondo norme di procedura valide per tutte le denominazioni, sempre che vi siano analisi valide a comprovare in dibattimento la misura.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Non sono d'accordo. Prima di tutto, se si argomenta apoditticamente che una norma è antistorica, pro-industriali (?) e simili bisognerebbe anche argomentare il perché. Secondariamente, questa norma è oggettivamente a favore dei piccoli produttori. E spiego perché. Un mono vitigno in purezza é un esercizio difficilissimo, un lavoro che richiede che l'uva sia quanto più possibile perfetta perché non si può aggiungere nulla. Una grande azienda può compensare con le sue tante vigne, con terreni, esposizioni e piovosità a volte totalmente diverse; ogni anno, qualcosa dovrà pur venire bene! Ma il piccolo, che ha una sola vigna, come fa? E qui lo soccorre il raglio di annata, che permette ua piccola (15%) modifica aggiungendo vinta da un'annata il cui andamento climatico ha favorito di più quella caratteristica dell'uva che in quell'anno manca. Ad esempio, un'annata fresca per cui profumata può ricevere alcol e corpo da una calda.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

PS quanto alla tolleranza, se si apre una porta poi non si sa più se e a che punto la si potrà chiudere. Per cui viva la tolleranza zero. Quanto alla tolleranza in sede di analisi, è prevista dalla legge perché gli errori (degli strumenti di analisi, del vivaio che vende le barbatelle, del tubo che resta bagnato etc.) esistono. Basta che siano piccoli, per cui palesemente involontari.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

PPS una nota di peperone si ha solo in presenza di uve non mature che, di conseguenza, hanno pochi tannini e non hanno capacita di invecchiamento. Con quelle uve un Brunello non lo fai comunque.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Stefano, non capivo e sono rimasto stranito, fino a che oggi, rileggendo, mi sono reso conto che tu parli del 15% di altra annata, mentre io avevo inteso -chissà come!- il 15% di altro vitigno. Discorso diverso. Certo meno grave. Ma uguale. La logica è la medesima. Se di annata si deve parlare, il saldo di altre diverse deve essere tanto piccolo da non alterare sostanzialmente il carattere di quella corrente. Torniamo a spanne al medesimo 3-5%. Altrimenti stando così le cose, se è permesso di tagliare fino al 15%, non solo il carattere dell'annata viene alterato in maniera rilevante, ma soprattutto, chi garantisce che invece il taglio non sia maggiore, anche di molto? Perché le analisi ci sarebbero pure, ma come sopra mi pare che non abbiano ancora forza di prova in tribunale. Se si accetta che il taglio di annata sia la norma per un po' tutte le cantine, e non solo una possibilità legale che però i buoni produttori evitano rigorosamente di sfruttare, come il MCR, che significato ha tutto il gran ragionare che si fa sulle annate? Penso in particolare alle elegie e ai canti gregoriani alzati devotamente in onore del "grande manico" di turno, quando esce un vino di annata debole che risulta inaspettatamente grande nel bicchiere. Si dice allora che è proprio lì che il grande produttore dimostra la sua superiorità, di natura quasi sovrannaturale, esibendo abilità pari a quelle del vecchio Randy Mamola che quando pioveva riusciva a vincere persino in sella alla Cagiva. E invece magari... non lo dice ma ha semplicemente sfruttato la legge che gli consente di mettere un 15% dell'annata successiva che è una bomba, e magari nel travaso gli è scappato qualche litro in più, ma per caso eh... Il taglio di annata è un elemento omologante della qualità, e dovrebbe essere progressivamente oggetto di forti restrizioni con il crescere del prestigio e della fama dei vini, i quali in teoria pretendono di essere progressivamente qualcosa di diverso da semplici bevande alcoliche, assumendo il carattere (ed il valore aggiunto, ovvero il prezzo di vendita) di beni culturali. Per conto mio le DOCG dovrebbero avere un taglio d'annata più basso delle DOC, così come per conto mio per i Grand Cru in Francia lo zuccheraggio dovrebbe essere semplicemente vietato. Altrimenti, se per fare un La Tache o uno Chambertin che vengono considerati i vini provenienti dai migliori vigneti del mondo, con tutte le chiacchiere che si fanno sopra e con tutti i soldi che si spendono al banco dell'enoteca, si deve in realtà andare a comperare qualche sacco di zucchero di barbabietola senò così grandi in realtà non sono... insomma, non è che magari ci stiamo pigliando un po' tutti per i fondelli?

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

O meglio, non tutte e sole le DOCG per obbligo, vista l'eterogeneità delle denominazioni oggi a DOCG, ma ogni DOC che lo ritenesse utile per valorizzare l'autenticità dei propri vini sul mercato, di propria iniziativa.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Giusto per chiarire, La Tache o lo Chambertin sono arrivati ad essere ritenute le migliori vigne del mondo AVENDO E PRATICANDO il taglio di annata del 15%. Mi spiace se tu fai mente locale solo ora su un fatto che è comune a tutti i vini da sempre, e che non comporta alcuna presa in giro per nessuno. Comunque, se vuoi farti paladino della proibizione di una pratica che aiuta i piccoli viticoltori a compensare lievemente i problemi di un'annata, e che è indifferente per i grandi che possono valersi delle loro tante vigne in molteplici e diverse esposizioni, fai pure. Robin Hood all'incontrario, direi.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

Poco mi importa, sinceramente, che una cosa giusta in sé possa dare vantaggio ai grandi (che non sono mica sempre brutti, tu mi pare che non sia un piccolo produttore ad esempio) o ai piccoli (che parimenti non sono sempre belli, inutile fare esempi) produttori. Comunque preferisco non allungare oltre il tema, visto che si parla di altro, e sull'argomento principale sono fermamente d'accordo con quanto dici, su come lo dici, e sul pensiero che si vede dietro e soprattutto all'orizzonte di quanto dici.

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Rossano Ferrazzano

circa 11 anni fa - Link

"mi piace" E spero che anche i cugini del Chianti capiscano la lezione, e diventino gli escluisivisti mondiali del Taglio Chiantigiano. Insomma, alloctoni fora d'i ball, come si direbbe dalle mie parti. Non per ideologia, ma "perchè ce lo chiede il mercato", e in ogni caso "i vitigni migliorativi non sono un tabù". :-)))

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riccardo

circa 11 anni fa - Link

ciao da un cugino del Chianti, fuori gli alloctoni, sono il primo promotore di questa filosofia, anche perchè personalmente sono concorde nel dire che hanno rotto.. La cosa che mi turba però è che produco per caso un buon IGT che riesco a vendere totalmente, ed ad un buon prezzo, ed una serie di etichette Chianti, che pur essendo apprezzate stentano, stentano..stentano... allora un ci si capisce nulla!!!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Se esistesse la ricetta magica per vendere il vino e capire il mercato, pagherei non so quanto per averla. Non so se la nostra scelta di tipicità e tradizione sia applicabile ad altre realtà ma magari, dato che ne sono state provate tante e nessuna ha funzionato, potrebbe valere la pena di tentare.

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Angelo Di Costanzo

circa 11 anni fa - Link

"Credo che per capirlo occorra una riflessione su chi siamo". E' tutta lì. Personalmente non conosco tutti, ma in quindici anni una cinquantina di aziende ormai le ho messe alle spalle: ho conosciuto persone splendide, altre meno ma nell'insieme tutte esperienze conoscitive importanti. La mia oinione è che gente che lì fa vino da tantissimi anni non scenderà mai dal piedistallo per far largo, dar voce all'ultimo arrivato. Sia questo pure bravo e che faccia gran vini ed onore alla denominazione. E' una questione culturale prima che sociale. E' da sempre così. E così rimarrà.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Dice? A giudicare dagli ultimi quarant'anni non parrebbe. A fine anni settanta i leader di immagine erano Altesino e Caparzo, poi dopo dieci anni ci fu il periodo di Poggio Antico, poi Soldera, poi Cerbaiona, Casanova di Neri e ora un gruppetto di una decina, tra cui alcuni che hanno fatto il primo Brunello pochi anni fa. Per quanto riguarda le bottiglie vendute, fino agli anni ottanta eravamo noi, poi Castelgiocondo, poi Banfi e ora pare prima Volterrani e poi Piccini. Non c'é zona d'Italia che abbia avuto così tanti ricambi, e così tanti nuovi venuti arrivati in cima. Un'altra cosa unica è che con così tante aziende diverse che ogni anno si affacciano ai vertici il Brunello è sempre sé stesso; questo è il segno di una coscienza condivisa straordinaria, nuovi o vecchi, grandi o piccoli, chi viene qui lo fa per fare Brunello.

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Silvana Biasutti

circa 11 anni fa - Link

Sono d'accordo - su ciò che hai scritto, in generale, e su questo ultimo commento. Ho visto le mie ragazze (e i loro contemporanei nell'inserimento tra i produttori) faticare - magari per ragioni oggettive, ma anche per rompere il fronte un po' arcigno degli ilcinesi preesistenti (anche quelli "neo", venuti da fuori)- ma poi, dopo anni di duro e serio lavoro, essere riconosciute/i come "parte di una realtà" in cui ognuno opera con la propria personalità, essendo il legame con questa terra il motivo comune. Un po' come tanti strumenti, tante voci, di un'orchestra che suona la stessa sinfonia. Inutili i sarcasmi su questa mia immagine, perché se ci fosse meno stoltezza - o, se si preferisce, un po' più di buon senso - da tempo, in questo sito, si sarebbe dovuto lavorare, con le dovute energia e schiettezza, in questa direzione. Ci sono pochi marchi/prodotti con un'identità così forte e, allo stesso tempo, così spendibile come il Brunello e il Rosso di Montalcino. Bisogna avere le fette di salame sugli occhi per non accorgersi di quanto questi valori intangibili, ma fortissimi, potrebbero contare sul mercato internazionale (ma anche nazionale). Aggiungo che le "scuole" diverse (certo non le infrazioni, o i sospetti di infrazione, del disciplinare) sono solo ricchezza: sono le tesserine di un mosaico che rappresenta un'immagine luminosa nel piattume della globalizzazione!

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Per una volta vale un ringraziamento collettivo: i partecipanti a questa discussione non hanno contribuito ad altro che alla sua elevazione, pur nella diversità di toni. Un piacere da leggere. Per Lei, Signora Biasutti, in aggiunta un saluto caro e triplice, contando tra i destinatari le Sue Ragazze.

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Silvana Biasutti

circa 11 anni fa - Link

Ehilà! Sono ingrassata di colpo: grazie! Un triplice grazie.

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Angelo Di Costanzo

circa 11 anni fa - Link

Stefano, il successo di cui lei parla a me pare sia stato conferito dal mercato, non certo dall'establishment. Non a caso tra i nomi che Lei - onorevolmente - cita ce ne sono diversi di "rottura", talvolta proprio con un certo modo di "vedere" il Brunello, quando non addirittura la sua storia (passata e futura). Non v'è dubbio che guardiamo tutti al futuro con tante sane e buone aspettative.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Lei ha perfettamente ragione, il successo ce lo siamo costruito tutto e soltanto con le nostre mani. Solo uno stupido o un ignorante può credere che il Brunello lo hanno costruito solo i miei parenti e antenati, o solo i "puristi", o solo gli "innovatori" o solo qualunque altra parte dell'insieme; il Brunello siamo tutti, ed è una grande storia proprio perchè è scritta da tanti.

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Angelo Di Costanzo

circa 11 anni fa - Link

Appunto. ;-)

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"Per come la vedo io il sistema francese ha anche le Denominazioni ma è basato sui cru, ovvero le singole aziende che usano la loro forza di immagine e/o commerciale per imporre se stesse." E'il contrario. Riporto quanto già scritto altrove: "Sul sito dell'INAO e guarda un pò nella loro Guida alla richiesta dell'AOC, scrivono giusto a pag 5: "L’appellation d’origine constitue un patrimoine collectif, et ne peut donc pas être la propriété d’opérateurs économiques à titre privatif, contrairement à une marque par exemple." http://www.inao.gouv.fr/public/home.php?pageFromIndex=textesPages/_AOC_et__AOP232.php~mnu=232

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

No, non è il contrario. Ha mai visto citate le Denominazioni a cui appartengono Lafitte o Petrus? Epppure esistono, e corretamente i francesi scrivono che le Denominazioni sono marchi collettivi. Ma i cru collettivi non lo sono affatto e nel loro sistema sono quelli che contano. Biondi Santi è un marchio famosissimo di Brunello, e la sua fama aiuta le vendite di ogni altro Brunello. Quando il Brunello Casanova di Neri fu proclamato il miglior vino del mondo ci fu un effetto preciso sulle vendite di tutti i Brunelli.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Patrimoine collectif non è assolutamente marchio collettivo. Come se Piazza del Campo si risolvesse in Product made in Italy. C'è tutt'altra complessità. Qui si sta parlando di NOME d'ORIGINE, cioè di sedimentazioni storiche e culturali, nel caso del vino pure di condizioni "naturali" irriproducibili altrove. Il marchio nasce nella cultura anglosassone, con l'ampliarsi del mercato, precondizione della mondializzazione. Con il terroir, si punta al limite si punta al privilegio aristocratico come diceva LEI provocatoriamente, ma certamente ai valori del singolo luogo. Avete promosso più che lodevoli iniziative culturali in tal senso, dico Voi Cinelli Colombini, da decenni. Perché?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Per abitudine non uso mai i termini stranieri quando una cosa si può dire in italiano, e poi comunque non parlavo di nulla che sia assimilabile al concetto di terroir. Parlando di marchio collettivo non alludo ovviamente al significato tecnico giuridico del termine (sono laureato in legge, almeno questo lo so) ma ad un concetto, se vogliamo, sociale; tutti quelli che fanno e hanno fatto in passato Brunello sono oggettivamente comproprietari del marchio. E quel marchio, a differenza del terroir, non è fatto solo di una zona e le sue uve. É qualcosa di molto più ampio, perché è inseparabile dalla sua storia, dalla sua tradizione enologica e dal territorio. Tornando alla sua metafora senese, e posso ben dirlo io che in Piazza del Campo ci abito, il Palio senza Siena e la sua storia sarebbe solo una banale corsa di cavalli su una pista assurda in mezzo a pazzi urlanti. Ma non é assolutamente così, ed affascina milioni di persone proprio perché è qualcosa di più. Come il Brunello. E in questa tradizione c'é il fatto che lo si produce in tutto Montalcino non perché lo decido io, ma perché l'hanno deciso secoli di storia che hanno sempre visto fare Brunello in tutto il territorio; e chi sono io per azzardarmi a oppormi? Il Brunello é la storia di una comunità, e la fa vivere. Lo stesso vale per il Barolo e le Denominazioni storiche italiane, i cui confini affondano nella storia e non nelle opinioni di un geologo. I preziosi cru francesi sono storia anch'essi, ma di una famiglia e/o un'azienda, e la fanno vivere. In pillole la differenza è questa, poi lei scelga pure quello che le pare. Quanto alle iniziative culturali che noi Colombini facciamo da sempre vede, il vino é tecnica ma è anche cultura. Se scelgo di fare sangiovese in purezza invece di seguire una moda è per una scelta culturale, basata sulla profonda consapevolezza della qualità culturale di scelte agronomiche di tanti che mi hanno preceduto. Quando noi Colombini lavoriamo per salvaguardare la cultura del nostro territorio, lavoriamo anche per salvaguardare il Brunello e con lui il futuro, non solo economico, di mio figlio Giovanni.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"proprio perché è qualcosa di più", giudicato da una commissione, non da una singola opinione, riconducibile, oltre tutto quello che diceva, a un'origine naturale unica. Lo chiami terroir, lo chiami genius loci, mi pare molto lontano dall'idea di marchio. "Quanto alle iniziative culturali che noi Colombini facciamo da sempre vede, il vino é tecnica ma è anche cultura. Se scelgo di fare sangiovese in purezza invece di seguire una moda è per una scelta culturale, basata sulla profonda consapevolezza della qualità culturale di scelte agronomiche di tanti che mi hanno preceduto. Quando noi Colombini lavoriamo per salvaguardare la cultura del nostro territorio, lavoriamo anche per salvaguardare il Brunello e con lui il futuro, non solo economico, di mio figlio Giovanni." Mi trova perfettamente d'accordo. COMPLIMENTI

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Massimiliano Montes

circa 11 anni fa - Link

E' un po' generico dire "I Cru francesi". Nel Bordeaux (Lafitte, Petrus) le classificazioni dei Cru sono appannaggio delle aziende produttrici. E' l'azienda che è "premier cru" non il vigneto. Se un'azienda premier cru acquista un vigneto deuxième cru questo viene riclassificato come premier cru (è accaduto recentemente). In Borgogna invece è il vigneto, il terreno, a possedere la classificazione, non l'azienda. Un vigneto classificato come Grand Cru può essere ceduto e manterrà la sua classificazione: è il vigneto che produce buoni vini, non l'azienda. Credo che il modello da seguire sia quello Borgognotto, e stabilire, anche a Montalcino, quali siano i Cru (vigneti) migliori.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Caro Massimiliano, dal punto di vista che ho argomentato qui le due tipologie di cru sono analoghe; in entrambi casi stiamo parlando di beni identificati e di cui un privato é unico titolare, e in entrambi i casi onori ed oneri ricadono esclusivamente su chi ne é proprietario. Quello dei cru é uno dei tanti modelli possibili per valorizzare la qualità, io preferisco quello italiano basato sulle Denominazioni per i tanti motivi che in parte ho scritto sopra, e non sto a ripetere ora.

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gabriele succi

circa 11 anni fa - Link

Ciao Massimiliano, è vero, il vino buono lo fa il vigneto... ma se quel vigneto lo fai lavorare da un incapace, il vino non verrà mai buono... L'uomo conta, eccome. O no?

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Massimiliano Montes

circa 11 anni fa - Link

Fondamentale :-) Infatti dico sempre che la classificazione borgognotta è una classificazione “potenziale”: il vino di un Grand Cru può essere potenzialmente eccellente… se l’uomo ci sa fare. Non ci siamo visti più dopo il vinitaly, fatti vivo! O quì: massimiliano.montes chiocciola gustodivino . i t o direttamente quì: gustodivino . i t Ciao

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Invito tutti a ricordare che il clima cambia, e anche molto velocemente. In un anno di siccità totale come il 2012 le vigne in aree umide hanno dato Brunelli spettacolari, e quelle nei galestri hanno quasi perso il raccolto. Nel 2010 é accaduto l'opposto. Nel 2011 un vento mai visto che sembrava un asciugacapelli ha fulminato le vigne sui crinali, e quelle di fondovalle si sono salvate; il contrario esatto del 2009. La qualità è funzionale al clima dell'annata, per cui un cru indica correttamente il potenziale qualitativo di un terreno solo se si dispone di mago Merlino che ti fa avere la stessa acqua e lo stesso clima ogni anno. Qui non l'ho mai visto, ma magari in Borgogna ci bazzica.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"Infatti dico sempre che la classificazione borgognotta è una classificazione “potenziale”:" Perfetto. "La qualità è funzionale al clima dell’annata, per cui un cru indica correttamente il potenziale qualitativo di un terreno solo se si dispone di mago Merlino che ti fa avere la stessa acqua e lo stesso clima ogni anno. Qui non l’ho mai visto, ma magari in Borgogna ci bazzica." Basta capirsi: la variabilità delle annate è altissima in Borgogna, nessuno lo discute. Molto più che altrove. E, tra parentesi, è un dato che accresce il suo fascino. O se si vuole la sua suggestione indotta. La questione è se il suolo/sottosulo, che invece NON cambia se non in milioni di anni, sia l'elemento determinante per definire, A PRIORI, le potenzialità di un cru/vigneto. Classificare qui ma anche altrove, prendendo alcune caratteristiche del suolo/sottosuolo come criterio di differenziazione, mi pare operazione molto semplice. La classificazione si complica solo se assegnamo a queste caratteristiche un valore tradottto nel vino.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Il suolo non cambia in milioni di anni, questo è vero. Ma la qualità, per cui la valutazione del potenziale, è data non dal solo terreno ma dal rapporto tra quel terreno e la piovosità, l'insolazione, il vento e le temperature, che invece cambiano ogni anno. E, ultimamente, anche di molto. Per cui ogni terreno, che è di per sè immutabile, è però ottimo con un certo clima e pessimo con un'altro. Per cui ottimo un anno, e magari pessimo quello dopo. E inoltre ci sono i cicli poliennali, per cui oggi a Montalcino i vigneti a 600 mslm sono tra i migliori ma negli anni '60 erano impossibili; da qui la proibizione dei Disciplinari. La combinazione di tutti questi fattori, anche senza tenere conto dei cicli secolari che hanno visto la vite comparire e scomparire in Inghilterra, porta a risultati talmente difformi da rendere (nei fatti) non affidabile una classificazione che non sia annuale. Operando per macroaree il discorso cambia, anche perchè la metereologia calcolata su zone così ampie è molto più uniforme; che Montalcino o il Barolo siano adatti ad un certo tipo di uva nei secoli è ovvio, ma le zome migliori all'interno della macroarea variano ogni anno.

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gp

circa 11 anni fa - Link

Le oscillazioni annuali non pregiudicano affatto la possibilità di definire una gerarchia di valore dei cru, altrimenti i cru esisterebbero solo... nei deserti! Se invece al di là delle oscillazioni emerge una chiara linea di tendenza attraverso gli anni, come nel caso delle vigne alte di Montalcino (e non solo lì), allora il discorso è diverso, e può portare a una revisione dell'ordinamento dei cru. Si tratta però di un processo lento, proprio per evitare di dare un valore assoluto a un possibile "ciclo poliennale", per usare le sue parole (dubito peraltro che l'"ascesa" delle vigne alte sia un fenomeno ciclico, mi sembra da ricondurre invece al riscaldamento globale che ahinoi non pare affatto ciclico). Resta che se i cru non vengono delimitati e ordinati in due o tre livelli sulla base del suolo/sottosuolo (come dice Francesco) e di alcuni altri fattori che li rendono atti a creare vini di particolare qualità -- anche qui con un'ottica non limitata alle ultime 5 vendemmie, è ovvio -- allora non c'è niente da rivedere quando le condizioni cambiano...

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Si può dimostrare che esistono chiare linee di tendenza riguardanti specifici pezzi di terra? Non credo. Esiste una chiara continuità nello stile di specifiche aziende, ma non è proprio la stessa cosa perchè dipende molto più dagli uomini che dai suoli. Esiste una prova empirica di quello che affermo; almeno in Italia, quando cambia la proprietà cambia sempre il vino. Ed è ovvio il perchè, possono darmi anche gli stessi pennelli di Picasso ma io un gran dipinto non lo farò mai. Quanto poi alla salita delle vigne, è ben documentato che negli ultimi duecento anni sono salite e scese due volte per cui è certamente un fenomeno ciclico.

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gp

circa 11 anni fa - Link

Ah beh, se parliamo di cicli secolari è un altro paio di maniche. Possiamo anche sperare che per una serie di motivi (tra cui una tardiva resipiscenza umana) il riscaldamento globale iniziato negli scorsi due decenni in un'ottantina d'anni si sarà esaurito. Peccato che rispetto a due secoli fa l'incidenza delle attività umane sul clima si sia moltiplicata, per cui i cicli naturali da soli non funzionano più. Riguardo al primo paragrafo, credo che lei sia fortunato ad avere una vigna a Montalcino e non in Borgogna, dove un ragionamento del genere non sarebbe ritenuto accettabile. Che esista il fattore umano è lapalissiano, ma se il fattore umano è tutto allora vuol dire che il terroir non c'è: questo almeno è quello che pensano lassù, in estrema sintesi.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Direi proprio che ai cru si possano applicare le parole di Sant'Agostino; credo quia absurdum. E dato che la fede degli altri va sempre rispettata, non li metterò più in discussione qui. Auguri e un bel brindisi con un Romanée Conti.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

PS dimenticavo, figuriamoci se penso che il terroir (termine che aborro) non esiste; è evidente che Lamole, per esempio, è diversa da ogni altra zona del Chianti Classico. Ma si tratta di una zona, non di un singolo vigneto. Portare l'analisi fino alla parcella e basarsi solo sul suolo come fanno in Borgogna lo trovo assurdo, è la ricerca eccessiva del dettaglio che riduce ad articolo di fede un'idea in se non priva di buone ragioni.

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gp

circa 11 anni fa - Link

Bene, anche a Montalcino si potrebbe partire dall'ordine di grandezza della "frazione" (Lamole è una frazione di Greve in Chianti). In effetti non è realistico pensare di fare in poco tempo la strada che in Borgogna è stata fatta in centinaia di anni, l'importante è iniziarla. Per esempio, ora come ora sono "Brunello di Montalcino" e basta sia quelli che provengono dalla fraz. Camigliano (estremo Est del Comune, bassa quota) sia quelli che provengono dalla fraz. Tavarnelle (Sud-Est, quota più alta, secondo alcuni qui c'è un vero e proprio cru nella zona della Pieve di S. Restituta). Perché non differenziarli in qualche modo, in prospettiva? (posto che entrambe le zone rispettino il requisito imposto dal disciplinare di cui abbiamo discusso in altro thread e che ricordo qui: "terreni: geocronologicamente attribuibili ad un intervallo di tempo che va dal cretaceo al pliocene")

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Teoricamente si può pure fare, ma dalle mie parti c'è un vecchio detto; siamo sicuri che il tordo vale la sassata? L'altra sera avevamo una degustazione pubblica a Firenze di 12 Brunelli, provenienti da tutti i versanti e da tutte le altezze di Montalcino; onestamente non c'era modo di dire che uno era nettamente di S.Restituta o di Castelnuovo, pur nella differenza aziendale i carateri di tipicità montalcinese erano nettamente prevalenti su ogni altra differenza. E lo stesso è accaduto domenica scorsa a Roma con trenta Brunelli.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Dalla piega della discussione, non mancano motivi di accordo da cui si potrebbe partire per una più intelligente classificazione. Accogliendo per esempio la proposta di includere la variabile tempo/cambiamento climatico, m'immagino la difficoltà e il fascino di una classificazione che si trasforma a seconda dell'andamento dell'annata. E allora sì che in molti si chiederebbero se "il tordo vale la sassata". A mio parere, certamente. Chiaro che non si tratta di esportare pari pari un modello di classificazione, tipo quella borgognona, in altro contesto. Tra l'altro molto diverso proprio per caratteristiche del suolo/sottosuolo, che in Borgogna sono molto più omogenee che a Montalcino. Mi interessa molto chiedere il vostro parere su questo punto che giudico il nocciolo del discorso: "pur nella differenza aziendale i carateri di tipicità montalcinese erano nettamente prevalenti su ogni altra differenza". Cioè quali sono questi caratteri? Montalcino è un toponimo amministrativo, che vale nel disciplinare a definire l'intera area vocata. L'intera area vocata è, in questo senso e paradossalmente, espressione del territorio (e non del terroir, peraltro termine che anch'io giudico in italiano ormai insignificante) se lo si intende etimologicamente e correttamente derivato da "terror" e NON "terra". Cioè dal potere di controllo, militare, giuridico, etc. del governante di turno. Classificare, a mio parere, significa, in breve, stabilire quel che c'è o non c'è, a Montalcino come altrove. E scusate la ripetizione ma di nuovo la Borgogna è esemplare: al nome del comune s'aggiunge quello del vigneto, perché lì sta il valore della differenza. Cosa nasce non a Gevrey ma da quella terra che si chiama Chambertin, che non può nascere altrove?

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Non sono un enologo né un sommelier, non so descrivere quello che per me è la tipicità montalcinese; però la sento inequivocabilmente in praticamente tutti i brunelli attuali. Mentre non riesco a trovare una nota esclusiva propria solo dei brunelli di Castelnuovo, oppure di Camigliano o magari di Torrenieri. Se la avvertissi sarei più interessato ad una zonizzazione, ma proprio non la sento. Alcuni decenni fa si avvertiva una differenza precisa tra i brunelli della zona che guardava la Maremma, che erano più "maturi" e corposi ma meno profumati, mentre quelli di alta collina erano eleganti, meno coloriti e più profumati e quelli della media collina erano più bilanciati. Però oggi queste differenze sono state attenuate moltissimo (o addirittura azzerate) da tanti fattori; il clima più caldo, le basse produzioni e, soprattutto, l'uso del freddo in cantina e le tecniche più raffinate nella determinazione del momento della raccolta. Esaminando laicamente decenni di brunelli secondo me si può giungere ad una conclusione; il sangiovese è diversissimo dai vitigni francesi così eguali a se stessi in ogni clima o situazione, è una delle uve più complicate da coltivare ma anche tra le più "modellabili" che esistano. Con le uve francesi ha un senso parlare di cru, con il sangiovese l'unico concetto possibile è la coltura guidata dalla cultura perchè con il sangiovese il lavoro dell'uomo può portare il potenziale dato dalla natura in molte più direzioni diverse rispetto ad un merlot o un cabernet. Il potenziale è un presupposto senza il quale non ci sarebbe il brunello, ma limitandosi al quale non avremmo quel grandissimo vino che abbiamo.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Molto interessante. Alla fine tornano i motivi in comune. "Però oggi queste differenze sono state attenuate moltissimo (o addirittura azzerate) da tanti fattori; il clima più caldo, le basse produzioni e, SOPRATUTTO, l’uso del freddo in cantina e le tecniche...". tecniche, e operazioni di cantina che quindi non amplificano ma attenuano le differenze. " il sangiovese è diversissimo dai vitigni francesi così eguali a se stessi in ogni clima o situazione, ". Lei prende la questione dall'altro corno: i vitigni sono uguali, allora si esprime il genius loci. Lo stesso vale per un vitigno, giudicato di per sé portatore di DIVERSITA', che s'eleva a potenza, e dunque è riconoscibile anche dai non enologi, sommelier, etc, a seconda del luogo in cui è coltivato.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Il buon lavoro in cantina fa solo emergere tutto il potenziale, non riduce affatto la diversità. Un esempio tipico è dato dalla perdita di profumi nelle zone calde, che non è inevitabile perchè quei profumi nell'uva ci sono però prima venivano perduti in fase di lavorazione. Se poi il potenziale sfruttato al massimo produce quasi ovunque a Montalcino vini straordinari ma poco differenziati per zone, che male c'è? La cultura sta nell'uso che si fa della tecnica di vigna (sottolineo) e di cantina, che permete di esaltare al massimo determinate caratteristiche volute dell'uva; e insisto che ogni vitigno reagisce all'uomo in modo diverso, il sangiovese è di certo più plasmabile di un merlot. Ma oltre un certo limite l'uomo non può andare, e solo una una zona eccezionalmente vocata come Montalcino permette di arrivare al limite massimo del sangiovese.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"Se poi il potenziale sfruttato al massimo produce quasi ovunque a Montalcino vini straordinari ma poco differenziati per zone, che male c’è?" Nessuno, a parte una straordinaria indifferenza. E personalmente non mi convincerò che l'areale vocato coincide in toto con l'areale amministrativo, come il disciplinare sancisce. "Però oggi queste differenze sono state attenuate moltissimo (o addirittura azzerate) da tanti fattori; il clima più caldo, le basse produzioni e, soprattutto, l’uso del freddo in cantina e le tecniche più raffinate nella determinazione del momento della raccolta." "Il buon lavoro in cantina fa solo emergere tutto il potenziale, non riduce affatto la diversità." Da quel che scrive io mi chiederei se l'uso del freddo in cantina fa emergere il potenziale o attenua le diversità.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Non le chiedo certo di cambiare le sue convinzioni, ma la invito ad un esperimento; tra pochi mesi c'é Benvenuto Brunello, le faccio avere un pass e le faccio provare cinque Brunelli di sua scelta per ogni zona. Se le differenze sono talmente significative da permetterle di attribuire le zone giuste ad almeno la metà faró pubblica ammenda e diventerò un sostenitore della zonizzazione.

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Massimiliano Montes

circa 11 anni fa - Link

Dallo a me un pass! Lo faccio io l'esperimento ;-)

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

E stai a vedere che ho inventato un ruzzo novo!

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Mi scuso per la lunghezza del post e la ringrazio dell'invito. Vorrei precisare alcune cose, per non cadere in fraintendimenti. Come già scrivevo per le menzioni geografiche aggiuntive proposte per l'areale del Barolo, la cosa che più mi ha impressionato, per quanto ci riguarda, della Borgogna è venire a sapere che all'INAO non assaggiano un bel niente. L'assaggio è operazione che non vale per determinare un grand cru. Vale invece l'identificazione di altri altri elementi e su questi occorre interrogarsi. Allora mi spiego: per formazione personale mi sono dedicato agli studi umanistici e poi alla geografia, che intendo essenzialmente, giusta la tradizione classica, come una descrizione del mondo. Questo per dire che, come Lei, ho sempre riconosciuto nell'opera e nelle capacità dell'uomo una condizione essenziale, se non LA condizione essenziale. Il discorso fila, ancor più che per il vino, se si parla di lettere, letteratura,etc. impossibile non riconoscere nello stile di uno scrittore l'elemento distintivo della sua opera. E parimenti, nello specifico della geografia, la mia posizione, in sintesi, è molto semplice: oggi, come in altri periodi, la descrizione del mondo è data dalle carte, dalle mappe, che si sostituiscono alla realtà, descrivibile e comprensibile con ben altra ricchezza e complessità dalla scrittura, insomma dal linguaggio verbale. Quindi lontano da me, sottostimare il valore dell’uomo a favore della falsa, perché spesso riduttiva, certezza della conoscenza, derivabile per esempio da una zonazione. Però il discorso sul vino si complica ulteriormente, anzi direi che per paradosso il fascino che gli attribuisco deriva in buona misura dal fatto che è indipendente dalla volontà dell’uomo - se si accetta l’influenza decisiva di quel che qui chiamiamo genius loci - e da quegli elementi così individuali, che si realizzano certamente anche nella variabilità delle annate, che differenziano un luogo da un altro. Sono perfettamente d’accordo che una carta, nel caso una zonazione, non è in grado di esprimere queste differenze se non cristallizzandole e fissandole. Però la questione del riconoscerle rimane, proprio per l’assunto che domandarsi dove le cose sono è già domandarsi che cosa le cose sono. E questo non è un problema di assaggi, ma di classificazione, perché non si tratta di ricondurre un determinato vino alla sua zona geografica di origine ma di domandarsi che cosa c’è lì e non altrove. Nel caso del Brunello, se dovessi ragionare biecamente, facendo ricorso alla storia, la questione della classificazione “potenziale” si risolverebbe immediatamente: ci troviamo nel caso speciale di un vino “inventato da una azienda”. Prendiamola a modello, dico per natura dei terreni, vitigno, cloni, etc.. cioè tutti quegli elementi ritenuti fondanti del vino, e confrontiamola con le altre situazioni. Ovviamente non è quello che comunque auspico. A mio parere il problema vero sta nella intrinseca indeterminatezza, o se si vuole complicatezza, del rapporto fra gli elementi che originano un vino e quelli che alla sua degustazione riconosciamo che lo caratterizzano. Nessun degustatore, anche minimamente accorto, sosterrà mai, per tornare all’esempio condizionante della geologia, che un terreno ricco di ferro comporta immediatamente un vino dai sentori, ridiamo un po’, “ematici”. E, qui, si aprirebbe l’altra questione, quella della degustazione del vino, atto, questo sì, che giudico profondamente storico e culturale.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Sono certo che come geografo non potrà non conoscere l’assioma che “la mappa non è il territorio” e questo, nel caso dei cru, è forse ancora più vero. Io sono un legale per laurea e uno storico per passione, e in entrambe le vesti ho sempre diffidato delle belle piantine con le zone colorate che separano questo da quello; dove finiva il territorio dei visigoti e dove cominciava quello degli ostrogoti? Sulla mappa storica il confine è netto, ma era proprio così? Sicuramente no. Nel caso del Brunello, che tutto è tranne che un vino inventato da una sola persona, è evidente. Il nostro vino si fa nello stesso modo almeno dalla metà del settecento, è sempre stato un monovitigno e anche i tempi di affinamento non sono mai cambiati; dati questi presupposti, e data l’abbondanza di fonti e di produttori, l’individuazione delle zone vocate dovrebbe essere banale. Ma non lo è affatto. I catasti ed i dati di famiglie come la mia documentano che nei secoli le vigne hanno salito e poi ridisceso le colline molte volte, seguendo il microclima; qui siamo in zona semiarida e i fattori limitanti della qualità sono esposizione, umidità e insolazione per cui, mentre l’esposizione resta sempre quella, la combinazione ideale di sole e acqua si sposta su è giù nel tempo. Forse in Borgogna piove sempre nello stesso modo per cui il suolo avrà tutta questa grande importanza, ma qui è evidente anche a un cieco che il complesso di fattori che noi usiamo chiamare microclima conta molto di più del galestro o dell’argilla. Anche perché i suoli di Montalcino sulla mappa uno a un milione sembrano ben definiti, ma nel campo sono un mescolone da pazzi. La realtà è che la combinazione del fattore umano con la variabilità (ormai anche annuale) del clima fa sì che ogni zonazione vale un anno al massimo, per cui a che serve? Grossomodo, molto grossomodo, si può dire che l’areale ideale a Montalcino è una mezzaluna che in questi ultimi anni sta tra i cinquecento e i centocinquanta metri SLM nella parte più meridionale e si stringe via via verso nord, estendendosi o restringendosi a seconda delle particolarità di ogni annata. Nelle grandi vendemmie tutta Montalcino riesce a dare il massimo del Sangiovese, e nelle minori lo può fare solo il cuore di questa zona; con le dovute eccezioni, sia date dalla qualità del coltivatore che dalla nuvola che qui batte e cento metri dopo no. Questa è la nuda realtà, ma su questa basi che catalogo di cru si può costituire? Preferisco riservarmi ogni anno il piacere di scoprire da me quale dei miei amici ha lavorato meglio. Anche perché il vino è gioco, sennò che ce ne occupiamo a fare?

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

E come tutti i giochi richiede il rispetto delle sue regole.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

"Nelle grandi vendemmie tutta Montalcino riesce a dare il massimo del Sangiovese, e nelle minori lo può fare solo il cuore di questa zona" In base alle regole del gioco occorre, almeno per cominciare, identificare la zona cui si riferisce e spiegare le ragioni delle differenze. Proprio perché il punto è riconoscere una costante qualitativa da chiunque e sempre. Ma magari, come mi pare sostenga Lei, questo caso non si da.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Scusi signor Vettori, ma una regola fondamentale di ogni gioco è che non si può prendere una frase astraendola dal contesto. Alla frase che lei cita seguiva "con le dovute eccezioni, sia date dalla qualità del coltivatore che dalla nuvola che qui batte e cento metri dopo no" che ne chiariva il senso. In chiave molto diversa da quella che indica lei. Lei certo ricorda questo celebre brano; datemi un pezzo di una frase scritta da chiunque, e troverò il modo di condannarlo a morte.

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francesco vettori

circa 11 anni fa - Link

Ha ragione, il contesto è parte integrante della frase e imprescindibile per determinarne il senso. Estrapolavo per capire. Visto che non ho capito, vorrei solo chiederle un'ultima cosa: da quanto scritto, è giusto affermare che secondo Lei, entro l'areale amministrativo di Montalcino, NON sono identificabili alcune zone, cioè vigneti, da cui si produce, al limite è possibile produrre, vino di costanza qualitativa superiore - innanzitutto per complessità, ricchezza, singolarità, etc - riconoscibile da chiunque? Se questi vigneti esistessero, lo guidicherei un ulteriore punto di forza per l'intera Montalcino.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Nel Comune di Montalcino esistono numerose aziende che hanno prodotto per lunghi periodi vini di qualità superiore, ed questo il punto di forza del Brunello. Ma se metto queste aziende su una mappa noto che sono sparse piuttosto uniformemente sull'intero territorio comunale, e ovunque sono mescolate ad aziende che, negli stessi periodi, hanno fatto vini reputati di livello inferiore. Le aziende "top" insistono su suoli, altitudini ed esposizioni molto diverse tra di loro, ma è evidente che i loro Brunelli sono ottimi ed appartenenti alla medesima tipologia. Questa, in base alla mia esperienza, è la situazione di Montalcino. Ed é una situazione che il mercato, non io, ha da tempo giudicato molto buona. La conclusione che ne traggo é che solo una zona ideale per il sangiovese come Montalcino procura la base di alta qualità da cui partire, ma il gradino per arrivare all'eccellenza è frutto dell'uomo. Per cui una classifica dei migliori produttori ha più senso di una dei migliori terreni.

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Davide Tanganelli

circa 11 anni fa - Link

Colgo l'occasione anche qui per aver risposto in maniera piú che esaustiva alla mia domanda. Mettere il tutto nero su bianco anche qui su Intravino penso sia importante. Grazie ancora

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Davide Tanganelli

circa 11 anni fa - Link

ERRATA CORRIGE COMMENTO PRECEDENTE "Colgo l'occasione anche qui per ringraziare di aver risposto..."

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Daniele

circa 11 anni fa - Link

Se ne esce che il Sangiovese 100% te lo vai a comprare in Umbria, dove si fa e anche di livello.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 11 anni fa - Link

Non solo di livello, ma di ottimo livello, e chi ama il Sangiovese fa benissimo a comprarlo. Ma non é né sarà mai Brunello. Sarà un grande vino ma diverso, magari non inferiore ma diverso senz'altro.

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Luca

circa 11 anni fa - Link

"occorre essere conservatori del senso di ciò che facciamo senza essere adoratori del modo in cui lo abbiamo sempre fatto" Molto bella questa frase e molto interessante il discorso che si è sviluppato a seguito dell'articolo. io non sono vignaiolo e penso anche di capire poco di vino, ma quando rifletto su di me mi trovo nella stessa situazione descritta da lei, sig. Cinelli Colombini. Non voglio partire con voli pindarici, ma credo che anche tutta la discussione sul rapporto uomo/terroir che si è sviluppata abbia e molto a che fare con la coscienza di sè e il rapporto con la realtà che ci è data (e forse mai come nel Montalcino si può dire "donata"). e, parafrasando Spider Man, da un grande dono derivano grandi responsabilità. L

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