Banino bianco, il mare vicino Milano

Banino bianco, il mare vicino Milano

di Giorgio Michieletto

C’è chi gioca sulla battigia a racchettoni e chi si diverte, a casa, con una bottiglia coperta di  stagnola uscita dal mare di San Colombano al Lambro. Il protagonista del “giochino d’estate” è il Banino Bianco, un vino che è interessante proporre coperto agli amici di degustazioni; un po’ per evitare gli sguardi indagatori di chi legge in etichetta “Collina del milanese Igt ”, un po’ perché merita di essere scoperto così.

Degustato per la prima volta – sempre alla cieca – durante una bella serata di Ais Milano sul tema della mineralità, condotta da Samuel Cogliati, non ha sfigurato accanto a grandi bottiglie ben più note. Poi è diventato co-protagonista di tante occasioni in cui ci si diverte a scoprire sensazioni. E, quando si scopre l’etichetta, di certo qualcuno pensa di aver preso un colpo di sole. Antonio Panigada, 52 anni, è la terza generazione di una famiglia che fino a poco tempo fa concepiva il vino come seconda attività, rispetto alla salumeria del paese. Di questo vino produce appena 6.500 bottiglie numerate, che costano 6 euro in cantina.

È un uomo di non troppe parole, ma tante idee sui “vini sinceri” che “sanno di vino e non seguono le mode”. Ha quattro ettari nelle zone più vocate delle colline di San Colombano che secondo gli studi sarebbero emerse dal mare, per un movimento tellurico. Quasi delle rughe, arricciamenti di neanche 100 metri d’altezza, nel bel mezzo della pianura padana. Sono famosi, da queste parti, i ritrovamenti di fossili, coralli, conchiglie. Insomma, forse non lo sapevate, ma il mare è a 40 km da Milano.

Solo un ettaro è dedicato alla bacca bianca perché il prodotto più noto di Antonio Panigada è il Banino Rosso Vigna la Merla San Colombano Doc, ma questa è un’altra storia. Si parla di una densità di impianto di circa 6200 piante/ettaro. Il Banino Bianco Igt Collina del Milanese è 40% sauvignon, 30% chardonnay, 30% riesling renano. Affinato sui propri lieviti e imbottigliato in primavera, è vinificato completamente in cemento e Antonio è orgogliosissimo di questa scelta: «Tutta la mineralità che si sente nel vino è certo merito del nostro terreno, ma il cemento aiuta a valorizzarla e preservarla». Secondo lui il bianco Banino – gli abitanti di San Colombano si chiamano così – all’inizio è esplosivo, fruttato e fragrante poi sembrerebbe entrare in una fase di stanca per trovare un equilibrio dopo un paio di anni. Il 2017 esplode al naso con una mineralità dirompente e un erbaceo evidente. Poi pompelmo, mandarino, mela verde. Aneto, glicine. Molto sottile e preciso; avrà sicuramente un’evoluzione interessante, forse migliore dell’annata 2016 che ricordiamo un po’ più stanca, ma piacevolissima da bere adesso. Sfumature dorate evidenti. Si passa dalla citronella, al cipollotto; tanto cedro e limone molto maturo. Bella persistenza, trascinata dalla sapidità.

Panigada aderisce alla Fivi e nel 2006 quando ancora non era stata costituita dichiarava in etichetta: “Viticoltore indipendente, 100% uve proprie”. Il Banino Bianco 2006 ha fatto malolattica. Subito pietra focaia, affumicato. Poi esce nitido il frutto, lime e pesca bianca; un po’ di salvia e narciso. Acidità galoppante. Il 1994 è un altro vino: ci sono riesling renano e italiaco, trebbiano, malvasia, greco, non c’è sauvignon. Non c’è neanche la mineralità degli altri vini, ma l’emozione di assaggiare un bianco di questo territorio ancora così vivo quella c’è eccome. Tanto miele, un po’ di melone, cera e spezie indiane. Non lunghissimo.

A bicchiere vuoto dal mare si va in montagna, con un po’ di burro fresco.

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Giorgio Michieletto

Giornalista professionista: ieri cronaca nera, oggi rosa. Ieri, oggi e domani: rosso, bianco & co. Varesino di nascita e cuore, milanese d'adozione e testa. Sommelier Ais. Se c'è una storia la deve raccontare.

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