Arte contemporanea è Nicola Biasi col suo Vin de la Neu

Arte contemporanea è Nicola Biasi col suo Vin de la Neu

di Angela Mion

Un sabato mattina, è novembre sono le otto, autostrada deserta, cielo blu, direzione Brennero. Quasi emozionante di questi tempi. Si sale la Val di Non, pochi paesi e poche macchine, tanta natura veste e trama il territorio.

A mille metri o poco sotto a Coredo, in provincia di Trento, trovo Nicola. Ha la mia età, classe 1981 e l’entusiasmo del boccone più buono e succoso della mela. L’ho ascoltato quell’entusiasmo, gli anni parlano la stessa lingua.

Ero lì, né spinta né mossa, ma attratta da un pensiero quasi troppo banale: che ci fosse un vino, un grande vino, prodotto da sole uve Johanniter e quindi un grande Piwi. Un vino Piwi venduto ad un prezzo che di default lo lancia lassù, tra i grandi. Curiosità mia a mille. Il prezzo ve lo dico dopo.

“Non faccio vino Piwi. Faccio vino.” Prima cosa che ti può capitare di sentirti dire da Nicola, prima cosa da ficcarsi in testa se vuoi vederlo rilassato.

Da qui parte tutto. Non è stata una mattina semplice. Non per il freddo polare che ho patito in cantina con quel calice esatto in mano e non per te Nicola che sei stato gentilissimo e di una determinazione illuminante. Per i presupposti: quelli che stanno alla base dei vitigni resistenti. Quell’argomento ancora acido e crudo ai dipiù, esattamente scivoloso. Mi sono dovuta resettare ed il panorama che ho visto è stato quello della finestra che non avevo mai aperto.

Nessun trattato sui Piwi qui altrimenti se entriamo nel merito delle varietà ibride non arriviamo a Coredo.

Non esistono chiavi che aprano ogni porta e non esistono risposte che vestano ogni domanda. Esistono casi, teste, vite ed esperienze. Io qui ho trovato una chiave di sol, perché il vigneto di Nicola Biasi e la sua cantina sono un pentagramma che fissa note e crea suoni. Che lui dal giorno uno non vuole fare stonare e credetemi, ci riesce. Suona musica, la sua musica, musica vera non rumore.

Il territorio lo circonda e con determinazione lo asseconda: tutto parte e deve tornare lì. La sua cantina è quasi una sala operatoria: pulita, essenziale, ordinata, studiata, piccola ma non manca nulla.

Il suo obiettivo fare il miglior vino di quella terra, la sua, da sempre vocata alle mele. La terra che gli scorre nelle vene e nella testa. Ma lui non vuole fare mele ma un grande vino.

Sicuramente Nicola di esperienza sul campo ne ha, ed è partito proprio dal suo di campo.

La terra di montagna, la sua terra madre e madre di mele fitte come fili di cotone, non lascia alla vigna un ampio spazio di manovra ma ti dà suo di spazio. Abbiamo il freddo, annate estreme altre meno, l’ombra che arriva veloce, la neve, il ghiaccio e le impervie. Siamo in montagna: siamo dove il clima è umido e freddo e il rischio di muffe e malattie arriva come il lunedì di ogni settimana.

Ma Nicola il vino della sua terra lo voleva fare e lo voleva fare bene. Voleva fare un grande vino, sano, rispettoso ed orgoglioso del suo territorio. E aveva le idee chiare. Così in anni ancora di poca esperienza con i vitigni resistenti ha creduto ai suoi 990 mq di Johanniter. Bacca bianca. Incrocio tra “Riesling x ( Seyve-Villard 12-481 x (Ruländer x Gutedel))” – detto tra noi Riesling e Pinot grigio – figlio della scuola di Friburgo e delle stesse criticità di quel territorio a nord.

Impianto fitto per ragioni di possibilità in quel momento, sfidando le orme di un padre friulano ed enologo di vecchia data, scettico e prevenuto verso questi slanci moderni del figlio. Mezzo kg di uva per pianta allevata ad alberello tenuto molto basso per produrre poco. La vendemmia ad ottobre quando i grappoli hanno passato notti gelide prima di essere raccolti. Rete per gli uccelli che si mangiano tutto se non ti svegli, inerbimento.

Se va male fai un trattamento di rame e zolfo, se va normale non ne fai.

La prima vendemmia: papà Oscar l’ha svegliato dicendo che nulla si poteva fare quel giorno. – Nevica Nicola affacciati! 12 ottobre 2013 Nicola in mezzo alla neve ha vendemmiato il suo primo raccolto ed è nato il Vin de la Neu. Un nome perfetto per il suo vino che lo racconta più di quanto ogni altro impeto potrebbe fare.

Il discorso sui Piwi è stato ampio e profondo. È ampio e profondo il capire perché utilizzare una varietà resistente o no. È sottile capire che anche dai vitigni resistenti puoi produrre un grande vino, anche in purezza. Serve farlo. Serve partire senza preconcetti.

Piwi sicuramente è sinonimo di sostenibilità, è un occhio di riguardo verso il territorio. Piwi è facile e difficile allo stesso tempo. Burocrazie, costi d’impianto, obiettivi. Certo è green, libera il territorio dai mostri della chimica, è aria pulita e uva nuova.

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Piwi è decidere di produrre un vino che i nostri nonni non potevano fare ma che i nostri figli potranno fare. 

Piwi può e deve essere una scelta: etica, di stile, di gusto, di potenzialità. Una marcia da ingranare.

Non è uva da taglio, non è uva per fare volumi. È uva.

Nulla più di pioneristico ma forse qualcosa di pragmatico. Non è pioneristico studiare ma intelligente. Cambi climatici, le difficoltà di certi territori, la relatività ormai di tutto quello che ci governa ci spinge verso questo tipo di natura coraggiosa e genetica, calibrata, studiata, evoluta, possibilista e sempre forse imperfetta.

Un orizzonte lontano ma ben visibile.

E come li vendiamo? E come li raccontiamo? Al momento spesso li nascondiamo. Gli ostacoli ci sono.

Nicola risponderebbe che è vino. Adesso però sto vino beviamolo: Vin de la Neu.

Ecco, il Vin de la Neu è la copia della montagna dove esso si radica e cresce.

Un vino esatto, diritto, diretto, di un’eleganza disarmante che non gioca facile. Dimenticatevi il grasso e l’opulenza. La montagna è snella: di profumi, pini e resine, di muschio, fiori e silenziosi rumori. È severa, muscolosa ed agile, verde e fresca, minerale e sassosa. Ruscelli, foglie, burroni e l’idea che sempre qualcosa ti osservi da dietro alle spalle.

Questo vino è così. Spensierate note di idrocarburo prendono il passo e crescono nel fare degli anni figlie legittime del Riesling; il naso resta intenso e profumato di fiori, frutti, erba, scorze verdi di agrumi aspri, resina e senti il bosco che ti cammina sotto ai piedi. In bocca entra perfetto. Esatto è la parola che meglio lo racconta nella sua eleganza, a tratti spigolosa e nervosa. Non è acido da violentare i pensieri bensì asciutto e deciso, profondo, sapido e succoso. Uguale a nessuno, come noi umani d’altronde.  Gli anni lo ammorbidiscono e lo svelano, non lo svaniscono. Gli anni lo elevano e lo definiscono.

Il lavoro in cantina è attento, un valzer che gira e gira. L’unico ingrediente è il vino e tanta meticolosa attenzione. I lieviti sono inoculati per non creare equivoci tra ospiti inattesi, la malolattica svolta sempre, un anno in botti da 225 litri di rovere francese (50% nuove e 50% usate) e poi l’affinamento in bottiglia di almeno un anno o quanto serve. La bottiglia, in base alle annate e a quanto mi ricordo, in cantina parte dai sessanta euro. (Non prendo appunti perché scrivo male.)

In questi giorni di dicembre è arrivata la neve. La sua neve.

Immagino la vigna di Nicola respirare in quel soffice gelido vivo bianco che non la spaventa.

Vin de la Neu ci vediamo a primavera. Senza fretta. La fretta non ci appartiene. Le cose belle sono per chi le sa aspettare. Lo sappiamo da sempre ma non ce lo ricordiamo mai.

“Ringrazio in queste pagine ancora una volta il vino, l’inaspettato che genera in me, l’emozione forte che provo in queste parole, l’emozione dopo aver vissuto il virus con mio papà ed aver visto il mio mondo fermarsi e non arrendersi da dietro ad una finestra.”

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Angela Mion

Veneta, classe 1981, studi giuridici e azienda di famiglia. La svolta cubista arriva quando ormai maggiorenne incontra il vino: Sommelier, Master Alma-Ais ed altre cose in pentola. “Vin, avec toi on fait le tour du monde sans bouger de la table”. Bucolica e un po' fuori schema con la passione per la penna, il vino, il mondo e la corsa. L’attimo migliore? Quello sospeso fra la sobrietà e l’ebbrezza.

5 Commenti

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josè pellegrini

circa 3 anni fa - Link

Bello.Come un racconto di Natale.Forza ,fantasia e speranza.In un vino.

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Ferretti

circa 3 anni fa - Link

Gran pezzo, sia nei contenuti che (soprattutto) che nello stile fresco e moderno (a differenza di tanti pezzi enogastronomici, anche in Intravino, noiosi, vecchi e petulanti con inutili iperboli di aggettivi illeggibili). Dopo questa crisi anche l’enogastronomia dovrà cambiare radicalmente, a partire da chi fa informazione e opinione.

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Michele bigotto

circa 3 anni fa - Link

Soprannominato il jose mourihno del vino, scuola cotarella, farà carriera

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Alvaro pavan

circa 3 anni fa - Link

Curiosità: visto che la fermentazione viene attivata, è così anche con la malolattica?

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Angela

circa 3 anni fa - Link

Si, se non parte da sola..per il freddo.

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