Ao Yun, il vino cinese da 300 dollari di Moët Hennessy

Ao Yun, il vino cinese da 300 dollari di Moët Hennessy

di Andrea Gori

Ci sono tanti misteri sul vino in Cina e su questo fantomatico mercato delle meraviglie, tanti gli elementi che ignoriamo completamente. Per esempio ignoriamo che molte persone vogliono e possono spendere centinaia di euro per una bottiglia di un “grande” vino cinese, titolo che fa gola a molti produttori a quelle latitudini.

In questo contesto non appare così  folle il consistente investimento di tempo e risorse umane che ha coinvolto Moët et Chandon che con la sua divisione cinese ha individuato, dopo anni di ricerche, alcuni appezzamenti adatti allo scopo nella provincia dello Yunnan, in particolare la prefettura di Diqing, un territorio già appartenente al Tibet (siamo ai piedi dell’Himalaya), non lontano da Zhongdian, la città rinominata da Pechino come Shangri-La,  il luogo immaginario descritto nel romanzo “Orizzonte perduto” da James Hilton del 1933.

Qui c’è una zona di terrazze bellissime da sempre coltivate dall’uomo e nelle quali, in parte, erano già presenti vigneti che, nonostante l’altitudine, raggiungono con le loro uve gradi di maturazione elevata per la differente quantità di ossigeno presente nell’aria e per l’irraggiamento solare, molto più intenso a queste quote.

Shangri-La è un nome che evoca incantevoli paradisi naturali localizzati in Oriente in varie zone, senza che nessuno sia riuscito a rivendicarne esattamente la proprietà, ma è soprattutto una utopia di convivenza umana che bandisce ogni sentimento negativo e porta l’essere umano ad occuparsi solo di agricoltura per sostenersi e il resto del tempo lo dedica alla sua elevazione spirituale. In che modo c’entri il vino tenta di spiegarcelo il sottinteso evocato da Moet: il vino è fonte di elevazione spirituale (ed economica) dell’uomo comune ma anche un invito alla meditazione e alla calma.

Suggestioni paesaggistiche e spirituali a parte, fare il vino in questi luoghi è quasi un’utopia perchè servono più di 100 contadini tibetani solo per curare i vigneti di cabernet sauvignon e franc terrazzati tra i 2200 e i 2700 mt slm sparsi (oltre 300 lotti diversi!), tra i villaggi di Adong (quello più alto dove è stata realizzata la cantina), Xidang, Sinong e Shuori, ai piedi della sacra catena montuosa Meili Xueshane e attraversati dal fiume Mekong.

Gestire coltivazione, vendemmia e  vinificazione è un incubo perchè la logistica è decisamente avventurosa: la cantina è posta a quattro ore e mezzo di viaggio su strade non asfaltate e la maggior parte dei trasporti da effettuarsi a piedi o a dorso di mulo, senza considerare le tradizioni locali che non permettono turni di lavoro assimilabili alle pratiche occidentali di Bordeaux.

A capo di tutto quanto, e capace di realizzare un vino di altissimo livello in queste condizioni, c’è Maxence Dulou, che dopo anni a St. Emilion accetta l’incarico da Jean-Guillaume Prats, alla guida di Estates & Wines, la divisione vino di Moët Hennessy che segue oltre Ao Yun anche  aziende di Australia, Nuova Zelanda, California, Argentina e Spagna. Dulou parte con la famiglia  e si stabilisce proprio a Zhongdian (o Shangri-La che dir si voglia) e comincia 8 anni fa la sua avventura che lo ha portato oggi a presentare la seconda annata del grand vin cinese, la 2014, prodotta in quasi 30mila bottiglie (di cui 200 disponibili per l’Italia ad un prezzo indicativo attorno ai 300 euro).

Ao-Yun-6 plots

Ao Yun, Moët Hennessy 2014
Naso che esprime gioventù e tratti vegetali varietali ma non solo: peperoni, pepe, menta, cassis, fumèe ed etereo, poi vaniglia, note verdi che virano al cacao e bergamotto con il tempo, un aroma intricato  che si scioglie in un sorso compunto ma voluttuoso. È anche piccante, saporito e ha tannini levigati, con una concentrazione che stupisce pensando ai 2500 metri di altezza che lo vedono nascere e alla relativa giovinezza delle viti piantate nel 2000.

Difficile dire se rappresenti fedelmente il terroir, di certo la fattura è pulitissima e senza sbavature. Si percepisce la lieve maturità delle uve che lo tiene ben lontano dal classico fruit bomb che deve piacere a tutti. Non sappiamo se possa definirsi il miglior vino cinese, ma di certo è anni luce avanti al migliore che abbiamo assaggiato finora e dotato di una classe e finezza di livello davvero internazionali. p. 93

 

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

8 Commenti

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A

circa 6 anni fa - Link

Interessante... sicuramente da un punto di vista economico e socio-culturale... ormai è sempre più evidente come anche il mercato del vino si stia rapidamente spostando sempre più ad est... come dicono quelli bravi ''just follow the money''... unica perplessità: cosa intendi per ''senza considerare le tradizioni locali che non permettono turni di lavoro assimilabili alle pratiche occidentali di Bordeaux''? Nel comune stereotipo della cultura Cinese la forza lavoro e soprattutto orari e condizioni non sembrerebbero poter causare problemi...

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Andrea Gori

circa 6 anni fa - Link

Maxence parla di motivazioni religiose e pratiche: ad esempio muore qualcuno di importante nella comunità , i funerali durano una settimana e coinvolgono i villaggi vicini e quindi il personale non si presenta al lavoro. E credo che un contadino tibetano abbia uno stile di vita molto diverso rispetto ad un cinese che lavora alla Foxconn.. MOet vuole farla "pulita" da ogni punto di vista credo!

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Stefano

circa 6 anni fa - Link

Ciao Andrea, ho molte curiosità, a partire da come e dove hai potuto trovare una bottiglia. Poi mi piacerebbe capire cosa pensi di tutta l'operazione: a fronte di investimenti che immagino enormi, che senso può avere per 30000 bottiglie? Know how da spendere poi sul mercato cinese?

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daniele

circa 6 anni fa - Link

Sono pur sempre 9 milioni di euro ad annata... se la cosa sta in piedi (e la faranno stare in piedi), nel giro di qualche anno la cosa si pagherà da sola. Il valore di immagine su un mercato da una miliardata di cinesi non ha prezzo (per tutto il resto c'è mastercard); dubito che venga poi percepito come prodotto cinese (trasuda bordeaux da tutti i pori), sembra decisamente un mega prodotto francese pubblicizzato in modoi epico e toccando le giuste corde; personalmente mi incuriosisce di più delle bottiglie da napa valley, sudafrica, australia etc, dove storicamente hanno fatto 'americanate' a tutto spiano. Non saperemo mai se è territoriale, solo quello c'è di altipiano, o almeno questo passa dal messaggio. Hanno praticamente inventato un mercato e lo hanno 'brevettato' e blindato. Tanto di cappello

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Andrea Gori

circa 6 anni fa - Link

In effetti sul capire se è territoriale o no ci sarebbe da discutere. Ma assaggiandolo di certo si percepisce il terroir estremo e la maturazione lunga e lenta con le note verdi ben presenti che però non intaccano la piacevolezza del sorso. Sarebbe interessante assaggiarlo senza troppi passaggi in legno...di certo per adesso non lo si scambia per un cabernet californiano o italiano.

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luis

circa 6 anni fa - Link

Che senso ha? 30.000 bottiglie a 300 Euro l'una a casa mia fa 9 milioni di Euro, non proprio pochi. Se poi consideriamo il costo bassissimo della manodopera agricola cinese, mi sembra che sia un'operazione più che economicamente sostenibile (anche se non capisco cosa servano più di cento contadini per gestire 4 o 5 ettari di vigna: benché estremamente frammentata i vari appezzamenti, dalla mappa, appaiono contigui). D'altro canto mi sembra evidente che questa impresa serva a Moet et Chandon per installare un'importantissima testa di ponte nei mercati orientali e farsi, comunque, una pubblicità mondiale con un vino elitario riservato a pochi eletti come Gori (detto con una punta abbondante di invidia).

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Andrea Gori

circa 6 anni fa - Link

sai che me lo chiedevo anche io? penso che il numero alto di contadini dipenda dal fatto che non si tratta di contadini che lavorano esclusivamente per Moet ma famiglie di contadini che vivono in zona che tra le varie piante che coltivano seguono anche la vite con il supporto dei tecnici moet. E in questi villaggi in pratica contadini lo sono tutti quindi ecco il perchè del numero apparentemente troppo alto dei lavoratori in funzione degli ettari vitati.

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Andrea Gori

circa 6 anni fa - Link

Ciao Stefano, ho potuto assaggiarla grazie ad una cortesia di un collega giornalista invitato ad una cena organizzata per la presentazione alla stampa italiana. Per acquistarla credo sia venduta dagli agenti LVMH a clienti molto particolari e su prenotazione. Puoi provare a chiedere in enoteche che lavorano Krug o DP e potranno farti sapere. Per quanto riguarda il ritorno economico se riescono a vendere tutte le bottiglie a quel prezzo per una decina di anni può anche esserci ma credo che sia più importante la dimostrazione di affetto per un paese che potrebbe assorbire molto bene gli altri vini di lusso che Moet sta "creando" in varie zone del mondo, sfruttando il know how messo a punto a Bordeaux e in Borgogna.

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