Vino, parla con me

Vino, parla con me

di Redazione

Un tempo mi accontentavo di più. O meglio, avevo meno pretese. Mi facevo prendere dall’entusiasmo e dalla passione del momento, vivevo solo l’adesso, concentravo testa e sensi sul profumo-gusto-retro. E godevo, o soffrivo, in quei due/tre minuti che, pur sembrando infiniti, si esaurivano di fatto in un morso.

Un tempo avevo meno pretese. Mi accontentavo di cadenze, frequenze e invadenze dell’enofilia e dell’enodìa da evo antico di Facebook: seguivo tante discussioni, tanti gruppi di degustazione, tante falloforie e ancora scambi di convenevoli, competizioni, discussioni essenzialistiche, fideistiche e narcisistiche sulla bontà o la primazia di un vino o di un’annata.

Mi interessa il vino che “…nella sua essenza, non ti lascia mai solo” [1]

Ora non accetto più, vino, che tu mi possa rapire, ammaliare, che tu possa destare il mio interesse, la mia curiosità, la mia attenzione mostrandoti misterioso oppure presentandoti in maniera accattivante, non accetto che tu mi voglia sedurre con facilità, che mi conquisti con un battito di ciglia e dopo pochi minuti ti accasci tristemente, muto, smagrito, svuotato.

Non accetto più, soprattutto, i rapimenti a scopo di estorsione perpetrati da antennisti maliardi che invadono le tue frequenze per diffondere a pagamento o a scrocco le proprie: gli eventi di degustazione ridotti a palcoscenici e riflettori per chi li organizza.

Ora ti si chiede che tu continui a tirar fuori qualcosa. Il nostro essere diventati più attenti e riflessivi, in fondo, è un bene anche per te. Perché può verificarsi anche la situazione contraria a quella appena raccontata. Spieghiamo: può anche capitare che tu non piaccia affatto al primo sguardo, primo naso, primo contatto. E che dopo un po’ cominci a piacere, una volta presa una boccata d’aria, una volta accomodatoti nel bicchiere, una volta presa confidenza con il bibente e con l’ambiente circostante.

Ti si chiede di continuare a onorare le blind dates, l’incontro senza mediatori, ruffiani o traduttori, scopo relazione anche duratura. Lascia a casa i belletti, i punteggi, il sistema metrico varietale e l’edonismo programmatico degli esibizionisti gaudenti. Giochiamo a parlarci da estranei, vediamo se ci troviamo, dopo i convenevoli e senza altro bla-bla, inespressi condivisi e compresi. Ti si offre in cambio massima serietà: attenzione e partecipazione al senso dell’incontro con te, sostanza portatrice di opportunità e di possibilità [2]. Quali? Queste:

1. Dom Perignon 1998 – biancospino, lime, polpa. “Ironico” nel suo gioco di travestimenti, cambia di continuo, non soltanto durante la sua vita nel bicchiere ma anche in bocca, dove esplode come a vivere fino all’ultima goccia quel tempo di passaggio, allungandolo, allungandosi.

Struttura e tensione coessenziali, infuse come la freschezza di frutta bianca e agrumi (cedro, pompelmo, pesca), la speziatura soffusa di zenzero candito e cardamomo. Lento e ordinato, ha tratti nitidamente salmastri e una traccia iodata. Lo sviluppo olfattivo è ciclico, si ripete in variazione. L’assaggio è un abbraccio di grande presa, vigoroso e ritmato, con cenni di muschio e fungo, sensazioni tattili avvolgenti, sferza acida e grande stoffa – con l’ultimo sorso, più caldo, risalterà tutta la sua connaturata e piena vinosità – su cui si intrecciano di nuovo il frutto e le spezie, qui più virati al giallo della pesca e del curry, avvinti in lunghezza e in freschezza. E poi, lapis in fundo, on suce des cailloux…

2. Échézeaux 2007 Domaine Cacheaux – rabarbaro e radici, dritto. Il sentore legnoso se ne va con una folata di vento. Mon chéri che si scioglie nell’arancia candita, manciate di sale. Tannini ruvidi. Dopo due ore si avvia all’eterno riposo in pace, senza pianti né follie, dignitoso e silenzioso.

Simmetrico: apre con la terra e le radici che segneranno anche il primo tratto, graffiante, del sorso insieme ai tannini. Con qualche minuto rivela densità e carnosità, note evidenti di kirsch e cacao, un fondo di ferro, tè gunpowder e camino; ancora più in là, la trama si infittisce con spezie scure, cola e incenso. Presenza forte e prestanza tattile d’abord, progressione coinvolgente e continua, frutto scuro, sottobosco, pepe rosa e china.

3. Charmes-Chambertin 2007 Domaine Raphet – elegante e pepato. Sa di carne, di fumo e di brace. Bella trama tannica, asciuga ma non astringe. Ma con il passare del tempo finisce ingrassato e appesantito implodendo in se stesso. Epitaffio: “Ve l’avevo detto che stavo male”

L’idea immediata è la carne. Appena dietro, intensità svettante di ciliegia, fragola, succo di ribes e gelatina di rosa, composti su uno sfondo variegato, con mallo, cenere, muschio e chinotto. La vibrazione è meno intensa al sorso: piuttosto disteso, ornato di tannini dolci e piacevolmente terrosi, di una freschezza graziosa all’ingresso e cedevole in progressione, quando prevalgono le note più mature e calde. Mon Cheri, granatina, sale e una buona nota ammandorlata a chiudere.

4. Latricières-Chambertin 2007 Drouhin Laroze – Carnoso e sanguigno, impetuoso. Bocca fresca e svettante, di anice. Porta in sé qualcosa di ingessato e al contempo qualcosa di infernale. Esalerà l’ultimo respiro senza paura, davanti all’inevitabile trapasso. Energico fino alla fine, per lui l’epitaffio di Claudio Villa: “Vita sei bella, morte fai schifo”.

Naso fauve, una giostra veloce di kummel, pepe, menta, ruggine, terra umida, ciliegie ed erbe amare. Nervoso e radente al palato in attacco, fusiforme nello sviluppo per sottigliezza ben sostenuta, non astenica, anzi tutta nerbo e tono. Élan vital, vino-bambino, capriccioso ed energico. La farandola dei fanciulli sul greto / era la vita che scoppia dall’arsura. / Cresceva tra rare canne e uno sterpeto / il cespo umano nell’aria pura.

5. Clos Vougeot Musigny 2007 Gros Frère & Soeur – Una colazione sostanziosa e sana: c’è frutta fresca, orzo, pane salato. Cresce di minuto in minuto, caleidoscopico, profondo, tanti piani da salire e scendere e risalire. Dopo qualche ora è più vivo di prima, continua a crescere e a cambiare, i profumi sono più netti e distinti, i sentori in bocca come passati sotto un evidenziatore.

Evoca un flusso di parole umanamente informe e poco acconcio a descriverne la bellezza. Grazia: ma sotto quella come un empito dionisiaco, inquieto, carnale e incarnato dal sale (quintessenziale). Il meccanico, indaginoso vagare degli organi di senso alla ricerca del tempo e del tatto perduti è descritto da una congerie di rêveries, evocazioni eidetiche e poetiche, un itinerario dialettico disorganico che prova a darsi forma. Grazie a Edoardo Sanguineti e a Luigi Chiavarone. Grazie a lui, il vino, una magra tenia, un sogno: ora pesta la ghiaia, ora scuote la propria ombra, ora stride, deglutisce, orina, avendo atteso da sempre il gusto della camomilla, la temperatura della lepre, il rumore della grandine, la forma del tetto, il colore della paglia [3]. Cola, chinotto, cenere e frutto. Il rovo sullo sfondo, le cere e le dolcezze dissimulate. Un grande equilibrio risolto su due sponde opposte, tra morbido e duro.

6. Grands Échézeaux 2007 Domaine Romanée-Conti – carne buona, succulenta. Bellissimo il côté floreale, di geranio e peonia e rosa tea. Sambuco e menta a snellire, bocca di sale marino e di caffè. È ricco ed estroverso, un’opera di grande bellezza ma facilmente leggibile, fruibile da chiunque sia in grado di affidarsi ai sensi.

Straniero, annuncia ai burgundi che qui, al grande casellum o casalis, obbedienti alle loro leggi, noi giacciamo. Straniero, impara ad imparare [4]. Impara che oltre il cassis e la carne, oltre il sanguine viperino, oltre la ciliegia e la fragola (un minimo buffo di vento, nell’aria un gorgo ma di un secondo), oltre la materia, la struttura e la speziatura, la pietra e la pineta e la liquirizia, oltre il graffio della radice e del caffè tostato; ebbene, impara che unter der Schrift arbeitet der Nerv (sotto la scrittura lavora il nervo). Impara che:

Was du bist, steht am Rand
anatomischer Tafeln.
Dem Skelett an der Wand
Was von Seele zu schwafeln
Liegt gerad so verquer
Wie im Rachen der Zeit
(Kleinhirn hin, Stammhirn her)
Diese Scheiß Sterblichkeit [5].

Ciò che tu sei sta al margine
di tavole anatomiche.
Blaterare di anima
con lo scheletro alla parete
è così fuori luogo
come nelle fauci del tempo
(talami qua, cervelletti là)
questa mortalità di merda.

7. Romanée St. Vivant 2007 Domaine Romanée-Conti – eucalipto, caramella Polo. Cremoso in bocca, di tè rosso, di fette di lime, di radici. Espressivo e risolto, equilibrio e fantasia. I sentori si rincorrono e si fondono e si ripropongono da solisti, per concludere, dopo minuti interi, in una indimenticabile esecuzione sinfonica, pulita, limpida. La stessa musica, per nulla variata in intensità, riprenderà a suonare a fine serata.

Here, there was to be heard / no complaint but the sighs, / which caused the eternal air to tremble.

Menta dolce, anice, aneto, distillati di ciliegie e prugna, un’aerea florealità che si alterna gialligna e blu, vetiver e viole, poi rosmarino e arie da iconostasi, l’incenso e le candele, al presbiterio si accederà tra qualche anno, se smetteremo l’empietà da tomografi del vino. Intanto: fiori e mare, tannini terrosi e radenti che dichiarano la giovane età e significano la perfetta maturazione. Un vino-monaco con l’orgoglio del suo vastissimo erbario, coltissimo e riservato.

C’è da dire che se i vini hanno offerto momenti musicalmente alti, altrettanto hanno fatto i piatti che hanno sfilato sulla stessa passerella. Cibi intensi, senza sconti, protagonisti tanto quanto i bicchieri. Ragôut di tordo matto, animelle, ostriche, coratella di agnello. Nessuno è stato servitore dell’altro, le voci narranti erano solo di timbro diverso ma della stessa intensità. Avrebbero potuto vivere bene anche se non si fossero incontrati, ma qualcuno ha posto le condizioni perché l’incontro avvenisse, e se i protagonisti dell’appuntamento al buio non se ne sono forse neanche accorti, noi, i 10 fortunati commensali, ce ne siamo accorti con grande gaudio e soddisfazione.

C’è infine da dire qualcosa sui due attenzionati. Daniele delle Fratte e Claudio Ceravolo, amici nostri (e mica a caso), che hanno organizzato questa bella serata Borgogna 2007, animelle, tordo matto & co. Claudio e Daniele sono risolutamente fuori dal tunnel del divertimento, non fanno tendenza, non sono ossessionati dall’ascensione al firmamento ristoratorio e proprio per questo, non hanno stelline con cui far la gibigiana ai foodies. Sono due stazioni locali e trasmettono in bassa frequenza e alta fedeltà: uno da Capalbio, l’altro da Zagarolo. Ne sanno tanto, molto più di tanti e soliti noti, ma non se la tirano.

Testo di Alice in Wonderland e Emanuele Giannone

Note:

[1] Lo ha scritto, su Facebook, Alessandro Scorsone.
[2] I corsivi in questo paragrafo, a eccezione del primo, sono tratti da un testo di Nicola Perullo, Professore Associato di Estetica all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
[3] Tratto da Erotopaegnia di Edoardo Sanguineti
[4] Vedi nota 2.
[5] Durs Grünbein, Lezione sulla base cranica, traduzione di Anna Maria Carpi.

1 Commento

avatar

Orion

circa 8 anni fa - Link

È natale, siamo tutti piú buoni, indi per cui dovete esserlo anche voi e darci i riferimenti del vostro spacciatore di fiducia... Ora vi starete chiedendo Come io starei incaranando la bontà natalizia? Facile, non mandarvi a c... dopo i descrittori stile té gunpowder che avete sciorinato senza soluzione di continuità è la prova palese che lo spirito natalizio alberga in me :)

Rispondi

Commenta

Sii gentile, che ci piaci così. La tua mail non verrà pubblicata, fidati. Nei campi segnati con l'asterisco, però, qualcosa ce la devi scrivere. Grazie.