Vino naturale: una modesta proposta

Vino naturale: una modesta proposta

di Emanuele Giannone

Che sia riesumato Andrea Bacci. A lui per primo, reo non confesso, siano inviati i funzionari della repressione frodi. Conciossiaché fu lui per primo, nel 1596, a comporre nel medesimo titolo – quello del suo celebre trattato De Naturali Vinorum Historia – le parole vino e naturale. Al bando: pubblicità ingannevole, frode in commercio. Si trasmetta per controfirma a S.E. il Ministro, Monsieur Bettane, dopodiché sia duramente sanzionato il Bacci.

Che siano quindi riesumati e tradotti in giudizio i sediziosi teutoni del Verband Deutscher Naturweinversteigerer (VDNV)1, letteralmente Unione dei Produttori Tedeschi di Vini Naturali, che più di cent’anni fa ebbero l’ardimento di accostare la parola proibita a vini prodotti senza tagli e zuccheraggi; e con essi soprattutto i sovversivi legulei, loro connazionali, che nel 1930 fissarono in una norma di legge il concetto di Naturwein. Vada anche quest’atto alla firma del Ministro, dopodiché si irroghino le dovute sanzioni.

Ora, però, riesumiamo il buonsenso. La questione di esistenza del vino naturale è di fatto superata: non importa che non esista per disciplinari, direttive e regolamenti. Non importa che nessuna autorità voglia rilasciarne il certificato di nascita o di esistenza in vita: il vino naturale esiste nei fatti. A me non interessa più indagare le ragioni, credo d’averlo fatto abbastanza a lungo e con sufficienti letture, ricerche, conversazioni e prove empiriche, per le quali Teobaldo Cappellano, Angiolino Maule, Nicolas Joly, Giovanna Morganti, Pierre Overnoy, Giuseppe Rinaldi, Philippe Pacalet, Stefano Amerighi, Serge Hochar, Antonio Di Gruttola, Fabrizio Niccolaini e Patrizia Bartolini, Pedro López de Heredia, Giovanni Bietti, Audrey e Christian Binner, Alessandro Bulzoni, Sandro Sangiorgi, Corrado Dottori (che odia il termine ma “non ne abbiamo un altro valido”), Valter Mlečnik, Max Léglise, Vlavis Sklavos, Giampiero Bea, Frank Cornelissen, Beniamino Zidarich, Carlo Venturini, Jacques e Marion Granges abbiano scelto di convergere sulla definizione di vino naturale per individuare un concetto e un’opera altrimenti indefiniti. Leggasi: per dare un significante a un significato.

Ai citati e a tutti i non citati che ugualmente si riconoscono in quella definizione sommaria e discussa, saranno venuti sommamente a noia discussioni e argomenti speciosi come quello del vino che naturale non è perché nessun vino si fa da sé. Al contempo, il tedio li assalirà quando si imbatteranno negli utilizzi disinvolti, maliziosi, romantici o modaioli della n-word: il naturale come etichetta, paravento o dernier cri.

Chi si attarda a spiegarci che non è la natura a fare il vino, o che al contrario un vino si fa praticamente da sé, perde il nostro tempo e il proprio. Basta la minima conoscenza dei procedimenti per comprendere che il vino è un oggetto tecnico. Tuttavia la sua elaborazione si distingue nei casi migliori dalla semplice fabbricazione: mentre la seconda introduce una connotazione meccanica e seriale, la prima evoca la manifestazione di qualità o possibilità ingenite e latenti nella materia prima. Di più: il vino è anche scienza. La scienza ne ha fatto oggetto di studio per promuovere la maggior padronanza dei processi di elaborazione. Tuttavia, alcuni scienziati hanno ritenuto di poter determinare il gusto “vero” di un vino, quasi il vino fosse loro invenzione, loro opera. Qui la scienza è entrata nella fase della totale appropriazione dell’oggetto (Michel LeGris).

La definizione di naturalità del vino è certamente approssimativa: e dov’è lo scandalo? Gli scienziati, in virtù dei metodi di verifica sperimentale, sono i primi utenti dell’approssimazione. Approssimano quando i problemi e fenomeni del mondo fisico sono troppo complessi per essere rappresentati con espressioni analitiche, oppure impossibili da modellare. Facile analogia: sia reso lecito l’utilizzo dell’approssimazione naturale per quei vini troppo complessi per essere rappresentati con espressioni analitiche, oppure impossibili da modellare!

Il vino naturale esiste perché è unione di un elemento esterno e formale e di uno intrinseco e concettuale: definizione e contenuto, significante e significato. Il significato è il vino dei produttori sopra citati e di tanti altri come loro. Chiunque lo conosca e comprenda può, con un certo grado di approssimazione, significarlo a pieno titolo naturale, perché nonostante la legge è quello il segno che meglio manifesta il contenuto. La definizione sarà pur vaga, arbitraria, generica, sospetta e antipatica, ma è quella semioticamente più corretta, perché dà la possibilità a chi interpreta di comprenderne il contenuto meglio che in qualsiasi espressione alternativa.

Volendo, l’evidenza del vino naturale sta nel fatto stesso che lo si ricusi, o anche nelle requisizioni, che sono i tentativi più tangibili di negare l’evidenza e offuscare una minoranza qualificata di produttori, critici e degustatori. Loro e i loro vini senza nome, vini di N.N., ché il principio è lo stesso: figlio di N.N., detrazione di generalità come detrazione d’identità.

Ciò posto, non mi interessa neanche discutere della presenza di vini naturali mediocri o persino difettosi: è a sua volta evidenza, un dato certo quanto la convinzione che il titolo di naturalità non valga a invocare quello di qualità. Si potrà anche guardare con condiscendenza a un’ombra, un tratto tollerabile di rusticità: ma la bontà e l’enobuonismo sono posizioni alternative. Il difetto può solo inficiare, in nessun caso denotare la tipicità e l’espressione identitaria di un vino.

Ancor meno mi interessano i dualismi manichei. Vi sono concezioni e metodologie di produzione diverse. Il mio gusto e la mia predilezione vanno verso alcune tra queste, non per credo o precetto o moda. Trovo tuttavia irriguardoso astenermi dall’assaggio di un vino qualsiasi per supponenza o integralismo. E provo nelle tante sorprese lo stesso diletto delle tante conferme. Al di là della questione de gustibus, nell’opposizione tra naturale e convenzionale mi interessa rilevare il grossolano travisamento dei rapporti di forza: da più parti se ne parla con superficialità o ipocrisia come di campi pressoché equipollenti, dotati di potenza di fuoco paragonabile. La mistificazione è evidente. Muovendo da questa surrettizia equiparazione si potrebbe anche misconoscere il senso del passaggio attuale: il conflitto trasmigra dal livello ideale-ideologico a quello mediatico, quindi economico. Non mi piace questo, né il veder conguagliate le due schiere ignorando come da una parte si trovino organizzazioni capaci di dispiegare uffici stampa, responsabili marketing, reti commerciali; e dall’altra poco più che il solo strumento di comunicazione necessario e, nei casi migliori, sufficiente: la bottiglia. Da una parte si pratica lo spot, dall’altra lo Speaker’s Corner.

Infine, non mi piace la concomitanza, che ha i tratti della consequenzialità, tra l’introduzione del Regolamento Europeo sul vino biologico e il giro di vite contro i vini naturali. Da un lato sa di resa dei conti, dall’altro di ennesima circonvenzione del consumatore: anche per il vino biologico, infatti, il marchio o il titolo non vanno considerati a priori dei segnali di qualità. Ma con i naturali potenzialmente fuori gioco o comunque osteggiati in quanto irregolari, il biologico regolamentato può facilmente intercettare la scelta dei più inconsapevoli, anche in virtù dei prezzi spesso inferiori e – nel caso del biologico industriale – della distribuzione capillare.

1 L’associazione che nel 1972 muterà il nome in Verband Deutscher Prädikatsweingüter (VDP).

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

28 Commenti

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ruggero romani

circa 11 anni fa - Link

il povero Bacci andrebbe lasciato in pace: "naturali" concorda con "de...Historia"complemento di argomento in caso ablativo.il termine Historia Naturalis nel lessico latino significa ricerca scientifica...

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Me l'aspettavo. Noti bene: ho parlato di accostamento, non di consecutio o concordanza.

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Barbara P

circa 11 anni fa - Link

Finalmente un articolo ragionevole - o anche un po' di più - sulla questione. Aggiungo ancora un pezzettino tratto dalla nostra (Europea) storia recente: il 29 giugno 1907 il parlamento francese approva la legge che protegge il vino naturale contro i vini contraffatti e vieta la fabbricazione e la vendita di vini falsificati o fabbricati. La risoluzione è adottata in seguito alla rivolta dei vignaioli nel Midi, una vera sommossa popolare e contadina. Ne abbiamo scritto più estesamente qui: http://www.sorgentedelvino.it/la-rivolta-dei-vignaioli-in-difesa-del-vino-naturale/

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Grazie Barbara. Il tuo è uno spunto di grande rilievo storico.

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Nelle Nuvole

circa 11 anni fa - Link

"vini di N.N., ...figlio di N.N., " per fortuna che hai messo il punto fra una enne e l'altra, altrimenti ti avrei querelato per appropriazione indebita di nick. Hai scritto come tuo solito, parole sagge, che non mi hanno spaventato né per la mole , né per lo stile. Il tempo però è scaduto, il soggetto del contendere logoro per il mondo del web così superficiale e frettoloso. Se tu avessi scritto anche solo una settimana fa, prima dell'altra mezza dozzina di post intravinosi a riguardo, sarebbe stato meglio. Ora siamo tutti esausti. Se non tutti, in molti. Chiedo una pausa di riflessione di qualche mese. Parlate d'altro, ci sarà pure un argomento che scateni altrettanta furia commentatoria. Arrivo quasi ad invocare un editoriale come si deve da parte di Frankie Emme Curls, di quelli belli d'una volta. O qualche abbandono, licenziamento in tronco, cambio di sesso, da parte di personaggi di spicco nel mondo enoico nostrale. Mi dispiace Emanuele che tu sia l'ultimo, perché a riguardo il tuo post è eccellente.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Io credo che i toni della discussione più ancora degli argomenti siano stati la causa prima d'estenuazione. L'attenzione di molti sarà comprensibilmente sfibrata, ma il tema non è logoro: spesso mal posto, sovente mal discusso, questo sì. Sarà interessante, in occasione delle fiere di aprile, vedere come evolverà il dibattito e con quali proposte. Di certo saranno più qualificate e risolutive della mia, che è un po' come la semiotica: iperbolica, inutile, inane.

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Massimo

circa 11 anni fa - Link

Molto bello il post ,che apprezzo. Ma il punto è : se il signor Rossi che tratta in vigna e utilizza lieviti selezionati etc.. , seguendo la moda , decide come strategia commerciale di inserire il marchio "vino naturale" sulla bottiglia (ok non lo può fare.. ma che lo venda come tale). Il sign. Smith dall'altra parte dell'oceano come fa a sapere che non è una bufala? Perchè non ci facciamo promotori piuttosto di un organo unico di controllo sul Bio - Italiano, e tagliamo la testa al toro?

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

...Massimo, questo è proprio il punto al quale la navicella del mio ingegno si arena. Fino a quando esisteranno i presupposti legislativi e regolamentari in virtù dei quali la locuzione "consumo consapevole" è di fatto ridotta a un ossimoro, la questione da te posta è destinata a restare inevasa.

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Rolando

circa 11 anni fa - Link

Il problema è proprio quello della Potenza di fuoco, non so se esistano dati di mercato in questo senso. Noi che scriviamo di vino, solo per diletto o anche per lavoro, forse dovremmo sforzarci di non lasciare tutta la comunicazione che conta a LM & co. ed uscire fuor dalla nicchia di sopravvivenza. Mi pongo anche una domanda, visto che il vino sarà pure poesia, ma poi qualcuno deve tirarci fuori qualche stipendio. Vorrei sapere quanta parte della propria produzione un viticoltore naturale venda sul mercato interno e quanta sul mercato estero, magari dell'est europeo. Non vorrei che la disaffezione al dibattito da parte loro stia in parte dentro quella percentuale.

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Nic Marsél

circa 11 anni fa - Link

Vino naturale : tutti ne parlano, quindi esiste.

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

...esiste perché una maggioranza di quanti lo fanno o lo conoscono ne parlano e lo significano così. Può andare?

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Nic Marsél

circa 11 anni fa - Link

ma anche per il fatto che molti si muovono per dimostrare che non esiste

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Nic Marsél

circa 11 anni fa - Link

Qui mi fermo : questa deriva teologica comincia a preoccuparmi :-)

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Durthu

circa 11 anni fa - Link

"La definizione di naturalità del vino è certamente approssimativa: e dov’è lo scandalo? Gli scienziati, in virtù dei metodi di verifica sperimentale, sono i primi utenti dell’approssimazione. Approssimano quando i problemi e fenomeni del mondo fisico sono troppo complessi per essere rappresentati con espressioni analitiche, oppure impossibili da modellare." Complimenti per aver compresso tante inesattezze in cosi poche righe. Ma soprattutto, trovo questo articolo estremamente verboso e scarsamente utile. Qualcuno sarebbe cosi' gentile da riassumermi la proposta citata nel titolo?

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Preferisce una stima asintotica o un'approssimazione di Stirling?

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Rolando

circa 11 anni fa - Link

In effetti dovremmo fare come Trozkij diceva della Rivoluzione, per approssimazioni successive

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Durthu

circa 11 anni fa - Link

Mamma mia, quanta aggressivita', subito. Suvvia, non se la prenda. La mia sara' forse una critica fuori luogo, e' possibile. Ma resta il fatto che questo articolo ha ricevuto solo 22 commenti, di cui 2 miei e 7 suoi. Io qualche domanda al suo posto me la farei.

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Emanuele - Eleutherius

circa 11 anni fa - Link

Fuori luogo? Tutt'altro. Era nel merito e la cosa è di per sé apprezzabile. La mia risposta era provocatoria, non aggressiva, esattamente come una provocazione - almeno mi è parso di intenderla così - era nel suo intervento. Mi spiego: lei parla di tante inesattezze e scarsa utilità. Va bene. Se si limita a dir così, provoca. Se si spinge oltre e argomenta, allora critica. La provocazione è sempre lecita. La critica sempre utile, tutto qui. Sui commenti: guardi, non è una novità, né da queste parti si misura la bontà di un post sulla scorta dei commenti. Ci si ritrova, piuttosto, a riflettere spesso su un dato: veniamo sovente criticati per il "troppo gossip" e le "poche note di degustazione". Le seconde riscuotono di solito pochi commenti, di solito qualificati. Il primo (ammesso che tale sia, per me è più spesso parodia o dissacrazione) ne ottiene a vagonate. Quale conclusione?

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winedays

circa 11 anni fa - Link

Complimenti per l'articolo Emanuele.

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filippo ViniEtici

circa 11 anni fa - Link

Ho l’impressione che quando si parla di vino “naturale” ci si soffermi ancora e sempre sugli stessi punti. Il primo di questi è l’utilizzo dei lieviti e segue quasi sempre la solforosa, come se fosse l’unica molecola pericolosa e non ci fossero studi che dimostrano che invece è meglio, per la salute del consumatore innanzitutto, controllare le fermentazioni. Parliamo naturalmente di studi effettuati da università e aziende che, a meno che non siano pazzi e abbiamo tempo da perdere, da anni conducono ricerche sulle fermentazioni. Tralasciando la questione che anche i vini cosiddetti “convenzionali” hanno pregi e difetti, mi soffermerei piuttosto sui tagli con i vini acquistati, le operazioni fisiche volte alla concentrazione delle sostanze nobili o alla correzione di difetti e l’aggiunta di sostanze volte a “truccare” il vino e renderlo una semplice bevanda che non scalda il cuore che, per esperienza personale, costituiscono invece una reale problematica sulla quale vale più che mai la pena fare un’attenta riflessione. Forse è proprio questo il motivo per cui l’Azienda X riesce a produrre N numero di bottiglie grazie alle quali poter giovare di un sano mal di testa o di una poco-simpatica-digestione. Ma naturalmente è un punto di vista personale, che può non essere condivisibile. Che trovata geniale, nonché unica, sarebbe quella di evitare tutto ciò e tornare ad un lavoro in cui davvero ci si confronta con le nostre capacità (sempre che ci siano) e con quelle della terra su cui abbiamo la fortuna di lavorare! Sarebbe davvero stimolante poter lavorare con onestà, rischiando talvolta di non ottenere esattamente l’effetto desiderato, e dover ricominciare da capo ma senza mai perdere la fiducia. Pensate che svolta sarebbe svolgere un lavoro con passione, far sì che esso diventi un gioco, una continua ricerca e sperimentazione a beneficio di un bicchiere di vino che poi ci riporti a quelle stesse sensazioni! Oddio, forse è troppo difficile?! Nell’attesa della riflessione forse sarebbe più giusto salvarci dietro la bandiera dei vignaioli più che dei naturali. Credo che un’azienda condotta davvero da persone, non abbia voglia di stravolgere il suo vino a differenza di un imbottigliatore e di un’azienda che deve fare un vino per ogni mercato. il bollino del biologico presto sarà anche sulle bottiglie dei vini poco biologici, quindi questa bandiera servirà a poco e anzi serve anche un pò a confondere il consumatore, anziché a tutelarlo. Come uno dei fondatori di ViniEtici sento, e posso dimostrare, che quanto detto fino ad ora è realmente praticabile. Non si tratta solo delle solite belle parole. Il vino viene messo un attimo in secondo piano se vuoi e poi torna al centro, dopo aver avuto la certezza che il produttore davanti a te sta dicendo cose sensate e vere. Come si fa ad averne la certezza? Nell’equilibrio di un frutto maturo, nell’assenza di identità di cantina, nell’attenzione all’uomo, nel rispetto del territorio e – se non vi fa troppa fatica – soprattutto nel duro e appassionato lavoro. A me piace viverlo così il vino! F

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Emanuele - Eleutherius

circa 11 anni fa - Link

Filippo, la definizione di Etici trova il mio modestissimo consenso, soprattutto alla luce della spiegazione che Lei ne dà e grazie alla quale posso apprezzarne il significato. L'unica riserva che ho, ma che non dipende da Lei o dalla nascita del Gruppo, riguarda l'effetto-saturazione: "un'altra sigla? Un altro gruppo?". E' un rischio, beninteso, che correte di fronte a quanti (tanti?) non si peritano di cercare il senso dietro le sigle: le adottano. Magari ne hanno già una. Magari le hanno indossate e svestite già tutte. Per quanto riguarda me, essendo Lei stato così cortese da esplicitare molto del senso dietro la sigla, non posso che ringraziarLa.

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filippo ViniEtici

circa 11 anni fa - Link

Buongiorno Emanuele e grazie per aver sollevato la questione dell'ennesimo gruppo perché mi preme molto. credo che siano anche questi, una delle cause di confusione del consumatore e spesso di sdoganamento di certi produttori che si infilano a destra e a manca. quello che usiamo come "motto" aziendale è: "ViniEtici non è un nuovo gruppo di aziende ma l'Idea che unisce più realtà agricole". questo perché l'Idea è nata dal creare una società di servizi che con questo nome evocasse un metodo di lavoro e uno stile di vita, legati a due figure professionali molto dirette e schiette, un pò come il vino in certi casi. (nessuno vuole certificare niente o dire che solo noi siamo etici, chiunque può utilizzare queste due parole, noi abbiamo registrato solo il marchio con le due parole attaccate ed ogni azienda ha il suo ente certificatore). un'Idea che inizialmente era legata solo alle aziende che seguivamo in consulenza e che così resta per le aziende toscane e campane, mentre per le altre regioni al momento stiamo con calma ed attenzione selezionando, prima i produttori ;) e poi le aziende;) per una distribuzione un pò diversa dal solito. un'Idea nata dall'esperienza del vedere che spesso molte aziende di produttori sono incollate al punto di partenza per molti anni e non possono permettersi di avere, oltre al consulente di produzione, anche una serie di input separati da questo e che quindi paga separatamente e molto di più, con la conseguente rinuncia ad azioni che farebbero sopravvivere l'azienda in modo migliore. un'Idea nata dalla voglia assoluta di bere vini che sanno di uva e di terroir e di bellezza. il fatto che non basti più solo un buon vino per far parlare dell'azienda è evidente da quante parole giustamente ci girano intorno. il vecchio modo di lavorare in stile convenzionale, anche nel modo di fare di molte persone che girano intorno al vino, a nostro avviso non funziona per molte realtà italiane, altrimenti ci sarebbero le cantine meno piene. la natura ci mette a disposizione ogni spunto possibile, noi uomini possiamo rielaborare e sognare. si tratta solo di concentrarsi senza cercare scorciatoie fisiche, chimiche o intellettuali, ai consumatori dobbiamo cercare di offrire qualcosa di reale e tangibile che anche loro possano capire con il cuore e con la testa, per imparare a scegliere davanti ad uno scaffale o magari nella vendita diretta di un'azienda. ne abbiamo tanta di strada da fare, forza e coraggio :) basta altrimenti non finisco più;) vado in garfagnana dai figliocci ;) f

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gianpaolo

circa 11 anni fa - Link

Io credo che non sara possibile legalmente arrivare ad una definzione di cio' che è naturale, e credo anche che sia giusto cosi', perche' si rischierebbe di mettere fuori strada il consumatore ancora di più di adesso, per non parlare del problema dell'appropriazione di un termine ambito per uso di marketing, che per forza di cose relegherebbe tutto il resto dell'universo vino, probabilmente il 99% delle bevande che portano questo nome, al campo del non-naturale. Tutto sommato la soluzione piu' semplice per tagliare la testa al toro credo sarebbe la lista degli "ingredienti", o meglio degli "adittivi" o "coadiuvanti" da rendere obbligatoria in etichetta, cosi' che poi ognuno, consumatore e non, si faccia la propria idea e si prenda l'onore e l'onere delle sue scelte.

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Emanuele - Eleutherius

circa 11 anni fa - Link

Concordo.

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Sofia

circa 11 anni fa - Link

Che bell'articolo. Com'è scritto bene. Non è facile imbattersi su internet in testi scritti in questo modo, anche se io frequento poco la rete. Difficile trovare nel mondo del vino articoli così precisi. C'è tutto! Grazie.

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stefano amerighi

circa 11 anni fa - Link

Caro Emanuele, leggerti è sempre un piacere e non soltanto per la bellezza filologica di quello che scrivi, "significante e significato" ma per la limpidezza del tuo pensare e quindi agire attraverso le parole. C'è sempre bisogno di bellezza nelle cose che facciamo, anche in quelle nelle quali mettiamo rabbia e passione. Grazie per questo bell'articolo e grazie di averlo pubblicato su questo blog che a volte si attira critiche, anche tante e anche da parte mia, ma che come in questo caso riesce a donare sintesi e pacatezza ad idee belle e profonde

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Emanuele

circa 11 anni fa - Link

Il punto è proprio questo. C'è sempre bisogno di bellezza, ce ne sarebbe sempre meno di cinismo o divismo. Il vino, e soprattutto chi lo fa, rendono facile e bello il compito di chi si pone a conoscerlo. Chi conosce veramente il vino e chi lo fa, deve loro rispetto innanzitutto, perché è avvertito della bellezza che significano: la conoscenza, il lavoro e il loro risultato. Questa, se vogliamo, è una bellezza originale e ingiudicabile, o quanto meno precede il giudizio di valore. Chiunque semplicemente riconosca il lavoro, la conoscenza e il risultato nel loro necessario e complesso rapporto, riconosce senso e bellezza. Chiunque semplicemente conosca nomi, parole e sigle e vi aderisca senza riconoscerne il senso, è magari un versatissimo polemista, ma perde il senso del bello (e quello del dono). Il fatto che determinati vignaioli parlino di vino naturale e come loro lo facciano determinati conoscitori mi conforta: sanno quello che dicono perché vi riconoscono quello che fanno. Ora la versione efficiente. Un supercilioso signore tedesco di Stoccarda, callido redattore di fenomenologie, spiegò tempo fa: "Allorché si dà nome a una cosa conosciuta, si finisce spesso per vederne solo il nome, senza più riconoscerla. Di conseguenza non si vede più il mondo delle cose ma solo quello dei loro nomi... ". Io non posso scongiurarlo del tutto ma cerco di limitarlo: approssimo. Naturale è un'approssimazione. Quindi un errore. Meglio: allo stato attuale è il significante con il minor margine di errore, quindi il migliore. Per la cronaca, la parabola dello svevo supercilioso suonava così: Das Bekannte überhaupt ist darum, weil es bekannt ist, nicht erkannt (ciò che è noto è, proprio in quanto noto, irriconosciuto). Grazie Stefano.

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