Vino a Expo, continuano gli assaggi in attesa del day zero del Padiglione Vino. Parte 3

di Andrea Gori

Altra tappa del nostro viaggio enogastronomico dentro Expo 2015 a cercare di assaggiare più alcolici possibili. Nonostante si faccia largo l’idea che il vino sia destinato a fare solo il comprimario, qualcosa di interessante comincia a spuntare tra i menu e gli assaggi disponibili.

Tutto in attesa che il Padiglione Vino venga inaugurato il prossimo sabato 23 maggio (con molti più ospiti chef che enoici, ovvio), e che riceva più visibilità e attenzione come dimostra la richiesta via twitter da Giovanni Mantovani, che forse comincia a pentirsi di essersi fatto assegnare questa grossa gatta da pelare.

Vanno forte, fortissimo i padiglioni carnivori ad Expo, soprattutto Uruguay e Argentina con code chilometriche la sera per mangiare carne alla faccia della sostenibilità, e soprattutto alla faccia dei puristi della griglia che si accontentano di cotture alla piastra (a Expo è vietato accendere fuochi liberi e fiamme). Nella carta vini, ristretta ma non troppo, peschiamo il più particolare: Estancia La Cruz Tannat 2012 “Jano”. Prodotto dalla cantina monumento storico nazionale, su vigne di 85 anni, è pacato ma intenso, selvatico e balsamico, con giuggiole e amarene, pepe di Sechuan e alloro, umami e zenzero. La bocca è sorprendentemente esile e aggraziata, con passo serafico e lungo, ferro e spezie nel finale che accompagna alla grande il primo medallón de lomo che vi capita vicino. 92

In Argentina non troviamo vini al bicchiere e ci accontentiamo dell’impressionante scelta di vino per la cena, oltretutto in bella mostra e invitante con un dispenser (molto raro ad Expo dove i vini rossi hanno tutti profumi da vin brulé), che garantisce il servizio ad una temperatura ottimale.

Non ci è per niente dispiaciuto il vino al padiglione israeliano, un Carignan di Monfort Village dalla regione di Dan del 2014, con il suo bel profumo schietto di ciliegia menta e ribes, amarena, pepe, finale di zenzero e sale, appena dolce che appunto servito fresco (e nel vetro) sarebbe quasi da 87 mentre invece servito nell’orrido bicchiere di plastica è davvero deprimente. Peccato perché il padiglione di Israele con l’orto verticale e i filmati ben congegnati a spiegare le sfide dell’agricoltura alle prese con il deserto sono da non perdere (soprattutto, diciamolo, perché ce le spiega Moran Atias).

Non molto lontano dall’ingresso troviamo un intermezzo birraio quasi imperdibile per i non-talebani, la birra della Repubblica Ceka, la Pilsner Urquell, che viene portata in tank da 500 litri, non pastorizzata (quindi “cruda”): la particolarità appunto è che rispetto a quella che si trova nei locali italiani, questa viene trasportata refrigerata direttamente dalla cantina di Plzen senza passaggi o alterazioni. Il gusto è più corposo e speziato, pur essendo sempre amarognola e rinfrescante: soprattutto in questo modo diventa una birra da pasto davvero completa, che non sfigura per esempio con l’ottima bistecca di cervo, patate panna e funghi cucinata al ristorante all’ultimo piano del padiglione.

Ma le esperienze più appaganti di Expo non necessitano sempre di alcol: in Oman (bel padiglione con tante idee per l’utilizzo dell’acqua “a ore” e “a scopo”) l’alcol è bandito, quindi si possono assaggiare bevande a base di aloe e cocktail con zenzero e altre spezie rinfrescanti. In Qatar è meglio evitare il tristissimo Arab Mojito senza alcol, e puntare sul “Qarak” ovvero un tè nero (nel deserto) con zafferano, cardamomo e latte di mammifero non precisato. Magari servito con il Meshi Warak Enab e il Pollo Al Mathroba. Nota di colore forse superflua ma che potrebbe evitarvi incidenti internazionali, non azzardatevi a portare alcol nei padiglioni musulmani, nonostante la giurisdizione sia italiana: uno shottino di vodka Beluga dal padiglione russo al tavolo in Oman ha fatto scattare la sicurezza e attirato le guardie, neanche fossi il peggior terrorista di passaggio.

Un’altra bella carta dei vini incontrata è quella dell’immaginifico padiglione del Kazakhstan (forse il più bello e il più completo per uso della tecnologia e densità di contenuti) che presenta Barolo di Ceretto, Chianti Classico Rocca delle Macìe, Felluga, Hofstaetter insieme a vini kazakhi: peccato che i vini, come il caviale del resto, siano ancora fermi alla frontiera. Non appena li sbloccano, ci faremo trovare in prima fila ad assaggiare.

Abbiamo anche fatto un salto al controverso cluster Bio-Mediterraneo gestito dalla regione Sicilia. Di per sé non sarebbe male la piazzetta azzurro pastello, coi vari chioschi dedicati a vino, pane e dolci circondati dai padiglioni dei paesi del Mediterraneo. Ma è l’atmosfera ad essere sbagliata: appare molto vuota, dimessa e per niente allegra, con poche attività e iniziative che portino la gente in questo angolo molto periferico di Expo. Eppure siamo ad un passo dal visitatissimo Albero della Vita, e basterebbe poco per attrarre più persone qui dentro. Per adesso (c’è tempo per rimediare) è un luogo dimesso e sottotono, tutto il contrario di quello che la Sicilia merita. E non vale dire “meglio di niente, almeno all’Expo ci siamo” perché la figura della provinciale la Sicilia del vino non dovrebbe mai farla.

[I post precedenti: parte prima e parte seconda].

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

3 Commenti

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Durthu

circa 9 anni fa - Link

Off-topic: mi lasciano perplesso umami e sale utilizzati nella lista dei descrittori olfattivi.

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Andrea Gori

circa 9 anni fa - Link

sono tutti e due basati e derivanti dal concetto di mineralità ma detti in altri termini possiamo definirli come "dado" e "umidità e salinità" insieme

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Durthu

circa 9 anni fa - Link

Chiedo scusa, non intendevo che la perplessita' fosse sul significato, quando sul fatto che sono due sensazioni gustative piu' che olfattive (soprattutto l'umami). Licenza sinestetica?

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