Vinitaly 2014: i migliori assaggi della redazione di Intravino

di Redazione

Placare la sete atavica della nostra redazione non è stato facile ma, tutto sommato, qualche boccia di buon livello per dissetarsi al Vinitaly 2014 c’era (faccina). Eccovi, allora, tra belle conferme e piacevoli novità, i migliori assaggi della fiera al netto del caos (totale) e del caldo (torrido). Avviso: nessun pass per blogger o giornalisti è stato maltrattato o utilizzato durante le degustazioni. 

Massimo Andreucci
Il Capovolto La Marca di San Michele: quattro annate in degustazione a Vivit di un Verdicchio sapido e pulito che cresce di stagione in stagione. Il 2013 avrà un gran bel futuro e il 2010 è così giovane che è un peccato berlo ora. Il tempo trascorso ha giovato alle annate più deboli (2011 e 2012): è il bello di chiamarsi Verdicchio.

Cerasuolo di Vittoria 2011 COS: appagante già al colore, poi fiori e frutti rossi, pellame, sentori animali e cacao. Così lieve e complesso: mi convinco sempre più che questo blend di Frappato e Nero d’Avola sia il nostro Pinot Nero.

Vecchio Samperi Ventennale Marco de Bartoli: entro in sala stampa a Villa Favorita e trovo questa bottiglia che al banchetto non c’è. Che faccio? Me ne verso un bicchiere generoso e sparisco sul prato a meditarci sopra. Davvero c’è bisogno che descriva questo vino?

Jacopo Cossater
C’è qualcosa di magnetico nei vini di Arpepe, che si tratti del più semplice Rosso di Valtellina (oddio, semplice, parliamone: è sorso goloso e sfaccettato, davvero imperdibile) fino ai più eleganti Stella Retica e Vigna Regina. C’è voluta però la 2002, vendemmia altrove disastrosa e qui fortunatissima, per far emergere uno dei Sassella più definiti che ricordi. Il Rocce Rosse è un inno non solo al nebbiolo di montagna ma anche alla gioia, ogni sorso richiama il successivo in un rincorrersi di sensazioni positive, così longilineo e raffinato ma al tempo stesso così disponibile a concedersi.

In Umbria con il 2010 Peter Heilbron sembra aver trovato quell’equilibrio che dall’inizio della sua avventura con il Sagrantino di Montefalco stava cercando. Dalla cantina di Bevagna, Bellafonte, sta infatti per uscire un vino che rimette in discussione molte delle convinzioni che circondano la tipologia: disteso, lungo e di grande eleganza, è rosso che impone una riflessione sulla denominazione e che si pone tra le sue interpretazioni più belle.

Anche il Brunello di Montalcino Riserva 2006 de Il Paradiso di Manfredi richiede tempo ed attenzione: è assaggio monumentale per ampiezza e profondità, capace di trovare perfetto bilanciamento tra densità, ricchezza espressiva ed un’acidità di grande luminosità. E poi il Montepulciano d’Abruzzo di Emidio Pepe, quest’anno alla sua cinquantesima vendemmia. Ma è vino che celebreremo a parte, con un post dedicato.

Emanuele Giannone
Che bello lo Stanko Radikon biancovestito, pugnace e tenace, circondato da un manipolo di paleo-palati incravattati e onusti di mostrine, ai quali ha fatto fare la figura degli sciocchi in blu (nonché in avana, nuance diarroica) brandendo la più potente tra le sue armi d’istruzione di massa: un boccione di Jakot 2007. Leggendo il vino come le avvertenze e le modalità d’uso, quelli questionavano prima sul colore – e io vorrei sapere cosa si può dire sul colore del suo Jakot, ambra e tramonto, un barbaglio di luce vera sotto la luce fredda della fiera – poi sui profumi, quindi sul gusto. Giunti al finale, esaurita la memoria bignamica, sono rimasti in silenzio. Lui li ha lasciati ai loro grufolii e sopraccigli inalberati, è tornato al banco e nel suo solito timbro da cor anglais mi ha detto qualcosa che non posso ripetere. Jakot 2007 è valore plastico inciso nella ponca e movimentato dal fresco e dal vento di Oslavia. Velluto e sève, vigore, intensità e profondità. Stoffa grossa e al contempo viva, brillante. Tiglio, camomilla, lokum, canditi e sale. Vino propriamente armonico nel rapporto tra costituenti, capace di indurre allo sbigottimento chi lo accoglie: lasciandolo appeso tra potente e puntuto, suadente e arguto. Per le finte, i dribbling, le rabone e gli scatti travolgenti.

Che bello e della stessa sostanza, stessa freschezza intrinseca, stesso sale e solo appena più ruvido e terroso e ritroso è il Lunar 2008 di Movia. Se Oslavia allude e irradia e si fa vento, Dobrovo è un’erma silenziosa e in lotta, noncurante del sole che la scotta.

E che bella la Valpolicella in un banco condiviso che oppone ai facili denigratori di Amarone-e-i-suoifratelli i volti di Cecilia Trucchi (Villa Bellini), Alessandra e Carlo Venturini (Monte dall’Ora). È molto à la page stigmatizzare il Ripasso bolso, l’Amarone trofico e tronfio e il Superiore ora acerbo e ora rigonfio. Chi si è fermato qui si è rinfrescato, rivestito in velluto e lamè, profumato di spezie e di tè a Villa Bellini; si è intrattenuto con il trattato sulle diverse maturità del frutto e le variazioni sui temi della freschezza e della succulenza a Monte dall’Ora. Cose da pazzi: noi a giocare da esperti, che figura, e loro a far così sul serio.

Che bella la silloge nuitonne, 2009 e 2010, di Prieuré-Roch. Che bello lo Chardonnay 2004 di Buscemi.  Che belli, infine e in breve perché secondi o già detti oppure prossimi: i vini e i visi alla verticale di Emidio Pepe. E poi i visi e i vini, direi due in particolare, al Paradiso di Manfredi: Brunello 2007 e Riserva 2006. Noi scrivani siamo soliti dimenticare la nostra naturale improntitudine: scriviamo finitamente anche quando dovremmo descrivere infinità. A Rosella Martini e Florio Guerrini ho provato a spiegare che trovo certi vini imperfettibili, quindi indescrivibili. Per parlare di alcuni tra i loro dovrei aver prima imparato a tradurre all’impronta i Cantos di Ezra Pound. Non ne sarò mai capace. Mi accontenterò di restare esterrefatto.

Andrea Gori
CorteMasso Langhe 2013: c’è un nuovo Nebbiolo in città e non è niente male: fruttato e salino con la rosa “giusta”, da vigneti che saranno Barolo a breve, una via di mezzo ben colta tra frutto e sapidità tagliente, tra Langa classica e tentazioni moderne. Da cogliere appena sul mercato per capirci di più, probabilmente a settembre.

Lanson 2004 Champagne Gold Label: in controtendenza rispetto a tanti altri millesimati di questa annata, un carico di spezie, gelsomino gesso, pan aux raisins, bocca con tanta materia ma freschezza impressionante non solo dovuta alla costante mancanza di malolattica svolta .

Omina Romana Lazio Viogner 2011: il vino dell’industriale tedesco nonché presidente della Bga, la Federazione del commercio estero, nasce nei Castelli Romani e anche se ha prezzi “da tedeschi”, colpisce per le note di albicocca, miele e torta di mele con una struttura agile e fresca al palato che non si fa dimenticare.

Cristiana Lauro
Occhipinti Frappato 2012: mi ė sempre piaciuta Arianna Occhipinti ma i suoi vini, fino a qui, non mi avevano convinta. Durante questo Vinitaly ho cambiato idea su tutta la linea. Vini molto centrati, puliti, senza sbavature, con carattere e personalità definiti come Arianna che li produce. Frappato 2012, da poco sul mercato, è una vera delizia. Fresco, fruttato, elegante ma non esile, con una nota ancora floreale piacevolissima e una buona acidità senza squilibrio alcolico. Un vino brillante, che vorrei bere a secchiate.

Cantina Produttori del Barbaresco. Barbaresco 2010: la cantina ha deciso, come nel 2006, di non imbottigliare i singoli cru. Barbaresco 2010 beneficia per tanto dell’assemblaggio di tutte le uve migliori destinate solitamente alle riserve. Frutto a maturazione perfetta, tannini ancora leggermente ruvidi perché un po’ giovani. Un’espressione del nebbiolo di grande precisione e armonia, sostenuto da buona acidità e giusto grado alcolico, a un prezzo decisamente conveniente.

Stefano Amerighi. Apice 2010: il vino non è ancora sul mercato, uscirà in autunno e le bottiglie sono veramente poche, purtroppo. Amerighi è azienda biodinamica che lavora in maniera non convenzionale senza bisogno di giustificare difetti perché qui difetti non se ne sentono nel bicchiere. E se in qualche syrah provato negli anni passati ho riscontrato una concentrazione talvolta eccessiva, ora la faccenda cambia e volge verso un’eleganza e una bevibilità impeccabili. Si riconoscono il vitigno, (con una forte speziatura di pepe su un frutto brillante, gioioso, fresco) e la zona di provenienza. Il metodo ce lo racconta Stefano. Pigiatura delle uve coi piedi, fermentazione spontanea, nessun filtraggio, un leggero passaggio in tonneau e zero solforosa. Il risultato è eccellente: grandissimo frutto, vino armonico ed elegante che personalmente reputo il migliore del suo campionato.

Andrea Marchetti
Dettori Dettori Romangia IGT Rosso 2010 e Maccario Dringenberg Rossese di Dolceacqua Posaù 2012: per loro un fil rouge che parte dalla Sardegna ed attraverso la Liguria sfocia, per le sensazoni che danno, nel Rodano meridionale. Due vini che evidenziano nettamente, come pochi altri sanno fare, sia la loro dimensione locale e tradizionale, ma anche un respiro più ampio, che si può chiamare con un solo nome, sia geografico che emozionale: Mediterraneo.

Sontuoso il Dettori Rosso, Cannonau 100%, un vino dal richiamo arcaico, da alberi centenari, nessun tipo di chimica sia in vigna che in cantina, rese bassissime sui 15 q/ha, un olfatto variegato di olive e salsedine, di fragole macerate ed erbe amare, di mirto e capperi. In bocca il tenore alcolico imponente di 17,5 % vol è integrato nella struttura sinuosa ed avvolgente, che lo rende perfetto sia come abbinamento a piatti importanti che come vino da meditazione, in virtù anche di un leggerissimo residuo zuccherino che completa il già ricchissimo quadro. Passaggi solo in cemento e vetro. Il vino che i vecchi servivano nel bicchiere piccolo.

Una macchia mediterranea nettissima tratteggia ed identifica il Posaù 2012 di Giovanna Maccario. Al naso troviamo alloro e rosmarino, ginepro ed una nota di origano, oltre a fiori e frutti rossi. Ben disegnata la parte gustativa in cui si è riusciti a contenere la componente alcolica, ne risulta un sorso assolutamente piacevole. Passaggi solo in acciaio e vetro.

Infine un’espressione molto ben riuscita di Sangiovese: Voltumna Querciolo 2011 Toscana IGT. Da viti coltivate senza sostanze di sintesi, con metodo biodinamico, il vino fermenta coi propri lieviti, non filtrato, non chiarificato. Le vigne si trovano sui 300 m slm immerse nei boschi nella zona del Mugello, il vino ha un’ottima fattura anche in relazione all’annata, non delle migliori. Ha una florealità quasi “nebbiolesca”, il frutto è leggermente maturo, ma perfettamente delineato è definito, il colore è trasparente e brillante, in bocca è già pronto da gustare con una bella fiorentina. Sosta 18 mesi in barrique usate. 2.500 le bottiglie prodotte in questa annata. Complimenti.

Leonardo Romanelli
Cuvée A Azienda Agricola Mola:
 mai capitato di bere un Aleatico vinificato in bianco spumantizzato con metodo charmat. Il risultato? Naso compresso, poco espressivo non esaltante, in bocca invece grasso e cremoso, ampio, non un esempio di perfezione stilistica ma molto curioso.

Philipponnat Royale Réserve Pure Cuvée: inaspettato il bouquet complesso e non scontato, ampio con fruttato intrigante ma è in boca che si esprime bene con una sapidità che accompagna a lungo la beva senza eccessi di bollicine pungenti.

Spalsh D 2011 Bulichella Metodo classico: petit verdot e sangiovese veramente inconsueto vinificato in bianco, naso di erbe aromatiche variegate, bocca salina e appetitosa, gusto prolungato e finale in crescendo

Fiorenzo Sartore
I primi due vini sono connessi tra loro per un unico motivo: sono etichette facilmente reperibili anche in GDO. L’assaggio è stato in parte casuale, in parte dovuto all’amicizia con chi li produce, e devo dire che alla fine ho fatto un pensiero del tipo “vedi che a ‘sto giro chi compra vino al supermercato cade bene”. Il Brunello 2009 di Fattoria dei Barbi esce alla grande, anche perché in questa vendemmia le uve del Brunello selezione (Vigna del Fiore) e del Riserva sono finite lì. Ecco quindi un Brunello che mixa bene frutto e austerità (più il primo che la seconda), ha tecnica impeccabile senza mai sconfinare nella freddezza esecutiva, che per me è sempre un rischio connesso alle produzioni non piccole.

Il secondo vino è il Dogliani 2013 di Clavesana, mega realtà cooperativa. Molto succoso, molto dolcetto, con una lunghezza notevole: parliamo di un vino che sugli scaffali dei supermercati dovrebbe attestarsi sui 6-7 euro, oppure a cifre anche più basse se avete fortuna. Certamente un’etichetta da tenere d’occhio, superata solo dal Dogliani 2012 contrassegnato con l’etichetta “3” (un numero che identifica il conferitore). Questo ha rappresentato un vero colpo d’ala per la cantina sociale, a mio modo di vedere; è indirizzato però al cosiddetto canale HoReCa (traduzione: ristoranti e posti fighetti). Niente male davvero. Il mio terzo vino (per farmi perdonare il tralignamento da supermarket) stava tra i banchetti del Vivit, ed è il Grillo 2012 di Nino Barraco. Barraco ci ha abituato a prove rilevanti, e praticamente ogni etichetta meriterebbe la segnalazione, tuttavia questo grillo salmastro, quasi salato, intenso e vibrante, s’è ficcato nella mia memoria gustativa: molto, molto profondo.

Pietro Stara
Ci si conosce su Facebook: due chiacchiere online, scambi rapidi in punta di piedi. Poi ti viene voglia della voce viva, della stretta di mano: così vado da Rolando Zorzi (e ti becco pure Luigi Fracchia), Mineralwine, Vivit, Vinitaly. Non avrei mai pensato di abbracciare con altrettanto calore la bottiglia di Marsannay Clos du Roy 2012 di Sylvain Pataille: succo, sapidità, rotonda scorrevolezza. Trasparente solennità in progresso. Una elegante goduria biodinamica.

Altro Cantone: Valtènesi. Tutt’altro vino: Il Chiaretto del Garda 2013 de la Basia. “La moglie ubriaca”: così lo hanno chiamato. E’ la primavera che ti entra negli occhi, nel naso e poi in bocca: fresca sapidità giovanile in un tourbillon di lamponi.

Concludo con un pezzo di storia ispanica in terra di Toscana (San Miniato): il Tempranillo Vigna alle Nicchie 2009 di Leonardo Beconcini e di Eva Bellagamba. Appassimento in cassette, macerazioni lunghe, lento affinamento, estrazioni potenti: eleganza pervasiva e sensazioni evolute. ¡Caramba!

Antonio Tomacelli
Che Marianna Annio fosse una grande vignaiola lo avevo sempre sospettato ma l’assaggio di tutti i vini presenti al Vinitaly stupisce per coerenza e qualità. Se proprio dovessi sceglierne uno mi fiondo sul Pietraventosa Gioia del Colle Riserva 2010, un primitivo di rara bellezza, sempre in equilibrio sulla corda dei suoi 14,5 gradi alcolici. Naso, bocca e goduria da 90 punti in scioltezza.

Sua mostruosità l’Aleatico Passito 2008 della salentina Masseria Li Veli invece, è massiccio da paura: sfonda porte e abbatte muri con un carico di caffè, fichi passiti, datteri, nocciole tostate, torta alla pasta di mandorle, vaniglia e cannella che schianta. “Il Gigante” è un film non a caso girato “dagli stessi autori dell’Occhio di Pernice”. Faccina e 93 punti.

Termino con lo Zero Infinito 2013 di Pojer & Sandri, un colfòndo che riscrive un tot di manuali sulla questione. Non lasciatevi impressionare da quella specie di serpe attorcigliata sul fondo della bottiglia e assaggiatelo senza paura: è primaverile, floreale e sapido come nessun altro colfòndo prima d’ora. È proprio il vino che vorrei accanto nei momenti più duri della vita, tipo uno spaghetto allo scoglio o un crudo di gamberi viola: meno di 88 punti non si possono dare.

(Foto di copertina: Ennevi-Veronafiere)

14 Commenti

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vittorio cavaliere

circa 10 anni fa - Link

7 sono rigorosamente tra i miei preferiti, devo preoccuparmi? Normalmente non sono mai in grande sintonia con le classifiche.

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Antonio Tomacelli

circa 10 anni fa - Link

Tranquillo, è un attimo e poi passa :D

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vittorio cavaliere

circa 10 anni fa - Link

Nel senso che poi mi può piacere?

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Antonio Tomacelli

circa 10 anni fa - Link

Nel senso che ogni tanto capita, per sbaglio, di essere d'accordo con Intravino, ma passa subito. :D

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vittorio cavaliere

circa 10 anni fa - Link

Per il sottoscritto, ti assicuro , mai per sbaglio , ho purtroppo l'abitudine di scrivere sempre quello che penso, ho consapevolezza che spesso sarebbe meglio non farlo, ma mi piaccio così.

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salva

circa 10 anni fa - Link

Zero Infinito è stato il primo assaggio di questo vinitaly, veramente e finalmente un colfòndo emozionante

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Marilena Leta

circa 10 anni fa - Link

Caro Massimo, ci dispiace che tu sia stato tra i pochi "sfortunati" a non trovare al banchetto il nostro Vecchio Samperi (sarà successo una o due volte e per qualche frangente)... ma l'idea della meditazione sul prato è fantastica! La prossima volta veniamo con te, prima in sala stampa a fare scorta e poi sul prato a meditare insieme, ovviamente non siamo "autocentrici", siamo pronti a meditare su tutto... grazie per l'affetto.

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Massimo Andreucci

circa 10 anni fa - Link
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Il chiaro

circa 10 anni fa - Link

Intuisco che nessuno della redazione abbia assaggiato monprivato 2010 e cà d'morissio 2006 :-D

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Ahimè, almeno per quanto mi concerne l'intuizione è felice (ed io un po' meno).

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Massimo

circa 10 anni fa - Link

Il Capovolto mi ha davvero Capovolto. Splendido vino.

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Gianluca Zucco

circa 10 anni fa - Link

Non c'ero, quindi non ho molto da dire a parte le varie conferme trovate. Ringrazio commosso per esservi immolati per noi, il tempo passa e rimangono i bei ricordi anche delle esperienze più traumatiche, mentre attendo con ansia il post sul cinquantenario del Montepulciano di Pepe.

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