Verso la zonazione del Chianti Classico. Con qualche dubbio, che prontamente vi elenchiamo

di Emanuele Giannone

Un inizio incoraggiante, come lo sono sempre gli inizi vibranti di nobili aspirazioni. Incoraggiante perché non ispirato da intenti compromissori, né tantomeno clientelari: promosso, al contrario, da comuni esigenze e solidi riscontri storici, scientifici e documentali. A fronte dell’euforia degli atti di fondazione, in casi di questo genere è tuttavia d’obbligo moderare le aspettative e vaccinarsi di realismo. Orbene, è acclarata l’esistenza di un gruppo di produttori e soggetti collaterali (enologi, giornalisti, operatori culturali e della ristorazione di vaglia, vari colti e cultori) consci dei criteri e dei vantaggi della zonazione applicata all’areale del Chianti Classico. Di quella individuano retrospettivamente i fondamenti e prospettivamente i vantaggi d’immagine, promozionali ed economici. Di quella comprendono e condividono il significato culturale. Hanno terra, prassi e storia dalla loro. Tuttavia, sui futuri sviluppi andrebbero presto fugati i dubbi che l’indubbia valentia dei produttori, da sola, non potrà risolvere. Eccone alcuni.

1. Se l’autorevolezza dei produttori non lascia adito a dubbi, lo lasciano di converso il loro peso all’interno del Consorzio e la loro volontà di fare fronte; in altri termini, la capacità di rappresentare unitariamente l’istanza della zonazione e la resistenza del gruppo ai vizi interni, cioè personalismi e interessi particolari, e a quelli esterni, soprattutto la prevedibile e strenua opposizione da parte dei rappresentanti di interessi diversi o contrari, che si presumono maggioritari nell’assise consortile.

2. La Borgogna è spesso invocata ma come esempio ed equivoco a un tempo. Stando al modello che pone, l’adozione di principi simili a quelli del classement des vins de Bourgogne implicherebbe non solo l’introduzione di livelli gerarchico-qualitativi per i diversi vigneti dell’attuale denominazione, ma anche il ridimensionamento dei poteri del Consorzio e il simultaneo trasferimento a un organismo terzo e non elettivo, sul modello dell’INAO in Francia, delle prerogative di valutazione e classificazione (nonché di revisione, accorpamento e divisione delle sottozone attuali). Il dubbio è qui di duplice natura: investe in primo luogo un’argomentazione prodotta durante il dibattito, secondo la quale il Consorzio sarebbe dotato delle competenze necessarie per valutazioni e decisioni del genere; e in secondo luogo uno spunto di riflessione proposto all’uditorio, circa la reale disponibilità dei produttori del Chianti Classico a delegare un ente “straniero” alla determinazione del rango dei loro vigneti. Sulla prima questione, se è pensabile che il Consorzio abbia le competenze, lo è assai meno che sia disposto a impiegarle in un opera di palingenesi terroirista. Sulla seconda si è registrato un solo commento pubblico e di tenore mirabilmente equilibristico, intermedio tra stizza e convenevole. E solo uno espresso confidenzialmente, voce isolata di attenzione e sostanziale apertura.

3. La zonazione à la bourguignonne trova riscontro tra i produttori consapevoli, ad esempio, della varietà del sostrato geologico e dei condizionamenti microclimatici; consapevoli, per conseguenza, della varietà espressiva che ne deriva e motivati a custodirla. Pensate voi che questi custodi siano maggioranza o minoranza?

4. Il dubbio di fondo: se sembrano patenti utilità e fondatezza del principio di zonazione, ci si chiede perché le sedi istituzionali, quelle ove si collocano virtualmente le competenze più raffinate su vini e territorio, storia e identità, abbiano deciso di abdicarvi: l’ircocervo della Gran Selezione, la “Riserva più Riserva della Riserva” secondo la felice definizione di  Maurizio Castelli, statuisce un nuovo grado di confusione intorno a un vino già confuso da molti: in primis, forse, collegialmente inteso, dal suo stesso Consorzio.

[Immagine: 20inchianti.it]

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

40 Commenti

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Giampiero Pulcini

circa 10 anni fa - Link

Mi accodo alle considerazioni di Emanuele, al solito lucidissime. Passi l'intento tassonomico, ma si provi poi ad abbozzare una gerarchia accettata e condivisa... Un rilievo ulteriore, mi sia consentito: l'età mediamente assai giovane del parco vigne, specie se raffrontata a quella del modello cui ci si riferisce. Sarà banale, ma per attingerne l'identità hai bisogno di starci da parecchio, in un posto.

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Giusto. Possiamo distinguere due fattispecie, la più virtuosa delle quali è probabilmente minoritaria: penso a impianti recenti ma equivalenti, di fatto, al ripristino di una forma storica, sovvertita e cancellata al tempo dei modernismi senza senno. Mi viene in mente la Vigna Grospoli a Lamole, che è opera di recupero senza romanticismi filologici: oggi appare come doveva apparire molto tempo fa, prima che terrazzamenti, sesto d'impianto et cetera venissero cancellati da scelte poco assennate.

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Andrea Gori

circa 10 anni fa - Link

dal punto di vista storico, la quasi totalità degli impianti delle vigne dei vini che vanno per la maggiore sono tutti stati fatti da metà anni '90 quindi in realtà la storicità dal punto di vista agronomico c'è tutta in realtà

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Andrea, presumo che Giampiero definisse la storicità con riferimento ai vigneti borgognoni, molti dei quali prestigiosi, che vantano età inconcepibili per molti altri territori. Non è la regola, neanche lassù, ma è più che una semplice eccezione. Non so se qualcuno abbia rilevato l'età media del parco vigne in Borgogna (o nel CC) nel complesso. Sarebbe interessante conoscerla.

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Roberto Stucchi

circa 10 anni fa - Link

Ottime considerazioni, ma secondo me c'è un equivoco. Una classificazione di tipo Borgogna non è neanche pensabile in CC. Quello di cui si sta parlando è di definire i vini di una sottozona comunale, o di frazione, con una menzione specifica, comunale o di frazione. L'idea è di collegare il vino ad un territorio specifico, e di rappresentare il CC per quello che è in realtà: un mosaico di incredibile complessità. è un inizio, nel tempo si potrà procedere a qualificare zone più piccole e più omogenee. E comunque questo creerà una categoria più qualificata anche per il grande mercato dello sfuso, aiutando e incentivando il miglioramento della qualità.

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Grazie Roberto, per questo commento e per il tuo intervento a Firenze. Sono d'accordo. La definizione delle sottozone sarebbe comunque un passo importantissimo, indipendentemente da un ipotetica e successiva classificazione gerarchica.

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

PS - mi sono debitore di un apostrofo.

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lorenzo

circa 10 anni fa - Link

non credo che sia interessante guardare alla borgogna di oggi, bisogna rifarsi alle classificazioni "empiriche" ed economiche di fine ottocento quando nei vignei di geologia ancora non si parlava. per quanto anche adesso la geologia e la zonazione o classificazione dei climats non vanno per forza a braccetto (e lo posso dire avendo visto quello c'è sotto per 5 anni di lavoro al GEST). quindi la mia opinione è che se si vuole guardare alla borgogna si possono definire le aree come ad esempio: Bourgogne = Chianti Cotes de Beaune = Chianti Colli Fiorentini Nuits = Panzano e questo seguendo i limiti amministrativi! anche lassù si sà che i Nuits verso nord sono un poco Vosneggianti (il terroir non segue i confini amministrativi) ed in questa classificazione, non ci sono gerarchie! AOC Chorey "vale" quanto AOC Vosne poi se i produttori o il mercato desiderano definire delle gerarchie allora all'interno di ogni DOC comunale si potranno definire le migliori zone "1er crus" con la possibilità di mettere il nome del vigneto (ma qui mi sembra di essere più sul Barolo) e se addirittura si definiscono aree specifiche di altissimo pregio e storicità allora si potrà conferire una DOC tutta per loro. come sono i grand crus che a volte ricadono su due comuni attigui (vedi Montrachet, Corton etc) e che hanno una AOC tutta per loro. quindi una zonazione comunale secondo i limiti amministrativi mi sembra molto facile e anche filologicamente bourguignonne, per il resto c'è tanto da lavorare. scusate la lungaggine lorenzo

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Lorenzo, più che lungaggine è esaustività, quindi non c'è bisogno di scuse. Anche qui concordo, salvo per un dato secondario: se parlavi, come mi pare d'intendere, di Borgogna alla fine dell'800, di geologia e litologia si parlava già, sebbene gli strumenti disponibili fossero ovviamente limitati.

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lorenzo

circa 10 anni fa - Link

Emanuele, volevo solo sottolineare che all'epoca Geologia e ancor meno pedologia entravano in conto nella definizione di Cru. Lavalle (1855) fa una "zonazione" a gusto! lorenzo

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

... e mica è una sottolineatura da poco. Visto che, credo, ci intendiamo, vado un po' a ritroso. Lavalle fa la zonazione a gusto e ancor prima di lui i monaci, che beati loro ricevevano donazioni, decime, dazioni contro indulgenze etc. sotto specie di parcelle, classificavano informalmente e per propri usi i vini secondo il loro giudizio di gusto. La classificazione, peraltro, aveva un fondamento diacronico e li portava a identificare i vini come provenienti da date parcelle in base a date caratteristiche organolettiche, riconoscibili e ricorrenti nel tempo. In breve, introdussero il concetto di cru su fondamenti qualitativi. Poi lo approfondirono e svilupparono, loro e Lavalle stesso, eziologicamente: con quel che le nozioni e gli strumenti del tempo gli consentivano di scoprire. Grazie per lo spunto. Sono questioni che mi appassionano.

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maurizio

circa 10 anni fa - Link

"appellation village" (comunale). Più qualche frazione di particolare notorietà come Panzano, Lamole etc. A mio modesto parere, unica soluzione praticabile senza scatenare guerre civili e nel contempo potenzialmente utile. Di gerarchie non si parli proprio, o finisce a schifio prima di cominciare. Siamo in Italia, non in Francia.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Vorrei portare un altro punto, che finora non è stato sollevato. La zonazione, con tutti i suoi limiti che mi lasciano molto perplesso, ha un senso quando si parla di monovitigno. Qui invece si parte dal presupposto di accomunare vini con il 100% sangiovese con altri con percentuali fino al 20% di merlot, cabernet o quant'altro. Non solo si tratta di uve che "marcano" molto, ma spesso provengono da altri areali per cui reagiscono a clima e terreno in modo diverso dal sangiovese. E molto diverso anche l'una dall'altra. Pur con la massima stima per il progetto e per chi lo sta portando avanti, vedo questa disomogeneità di partenza come un serio limite ad ogni progetto di zonazione, perché vedo difficile che si arrivi comunque a prodotti con un tratto comune riconoscibile.

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lorenzo

circa 10 anni fa - Link

difatti, secondo e la toscana dovrebbe ispirarsi di più a quanto fatto nel bordolese. anche li si trova una piramide di AOC: Bordeaux, Haut Medoc Pauillac poi prendendo esempio da St. Emilion una bella commissione che definisce la gerarchia qualitativa in base alla degustazione del vino ma siamo in Italia e quindibisognerebbe preparare i rifugi atomici altro che aula bunker!

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Maurinho50

circa 10 anni fa - Link

Stefano ha centrato perfettamente il nocciolo del problema. E la disomogeneità resisterebbe anche a un'eventuale (utopistica) zonazione (e relativa classificazione) vitigno per vitigno.

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Il dubbio di Stefano Cinelli Colombini poggia su basi solidissime. Tuttavia, e considerando che potrei sbagliarmi per eccessivo ottimismo, penso che lo compensi la scelta di molti fautori della para-zonazione per il Chianti Classico: sangiovese e, ove utili, misurati saldi di uve - passatemi la riduzione - da Chianti Classico, senza pescare a fantasia dall'elenco delle idonee. Poi: liberi tutti di produrre ottimi seconds vins e oriundi, se vogliono. Ma sono e sarebbero altra cosa.

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Riccardo Campinoti

circa 10 anni fa - Link

Penso che questo tipo di zonazione sia a beneficio di produttori e degustatori "sensibili". In entrambe i casi i vini con saldo di vigneti internazionali poco hanno a che vedere con la questione. Inoltre spero che a Montalcino ci si dia una mossa , farsi battere sul tempo dai chiantigiani sarebbe un'onta!

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Paolo De Cristofaro

circa 10 anni fa - Link

Riccardo, per formazione e "passione" sono favorevole ad ogni strumento che possa aiutare aziende e consumatori a focalizzare gli aspetti territoriali specifici che poi possono entrare nell'espressione del vino che abbiamo di fronte. Sulla necessità di una (macro)zonazione a Montalcino, però, non dico che ho cambiato idea ma sicuramente mi si riprongono una serie di dubbi. Innanzitutto, mi chiedo e ti chiedo, quante sono le aziende che producono un Brunello riconducibile per le uve utilizzate ad una singola zona ben individuata e circoscritta? Non sono poche oggi, e forse varrebbe la pena di zonare a prescindere da queste considerazioni, però secondo me bisognerebbe tenere in conto quello che dice il bicchiere. Se vini di zone sulla carta anche molto finiscono per assomigliarsi o se vini che nascono dalla stessa zona si mostrano quasi antitetici, è veramente utile per il consumatore inserire in etichetta una menzione geografica? Io sono un mediocre assaggiatore, ma anche quelli più bravi hanno ancora molto difficoltà ad individuare alla cieca, anche se per sommi capi, la provenienza dei Brunello, pure quelli da "singola zona". Non bisogna poi secondo me abbandonare completamente l'aspetto "storico" quando si ragiona su determinati sviluppi. La "storia" di Montalcino è quella di un vino "da assemblaggio" rispetto a uve proveniente da più parcelle, versanti, terreni: solo in tempi recenti per il ritmo del vino è diventato veramente possibile pensare in funzione di veri cru nel vasto areale. C'è infine un altro aspetto che secondo me va tenuto in considerazione: dal mio punto di vista uno sviluppo di questo tipo non potrà avere reale efficacia se: a) da un lato non diventa anche una sorta di "classificazione" delle migliori zone, che renda impossibile per le aree di recente introduzione (rivelatesi spesso le meno vocate) mettersi sullo stesso "piano" delle zone storiche e di quelle migliori; b) se non si prova almeno a ragionare sulle specifiche "tecniche" del disciplinare, per esempio l'affinamento minimo di 5 anni (e ben due in legno), innanzitutto, che è un retaggio superato dall'attuale contesto produttivo, viticolo e climatico. Sorvolando sulle implicazioni legate allo stato di forma con cui questi vini escono sul mercato (o sul ruolo dei ringiovanimenti, sempre più necessari con la sequenza di annate calde), io credo che molti vini di zone diverse finiscono per assomigliarsi anche per effetto di un percorso di cantina che pesa forse troppo nell'economia espressiva dei vini. Dove al momento dell'uscita sul mercato molti dei tratti originali ed identificativi delle varie vigne si sono già in buona parte persi o comunque di molto avvicinati nelle componenti terziarie. Come detto non ho nessuna vera idea "definitiva" sulla questione, ma forse vale la pena ragionarci insieme. E grazie se vuoi dirci la tua su queste questioni.

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Paolo De Cristofaro

circa 10 anni fa - Link

mi scuso per gli strafalcioni, a parziale scusante da telefono se ne fanno di solito di più. :-)

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Condivido la perplessità sulla zonazione e trovo corretti i punti portati, ma l'affinamento del Brunello è quattro anni e non cinque. E non sono troppi, perché nessun vero Brunello raggiunge il suo optimum prima dei sette anni.

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Paolo De Cristofaro

circa 10 anni fa - Link

quattro anni, certo: commercializzazione dal quinto anno dalla vendemmia, dice il disciplinare, lapsus. E comunque raggiungere l'optimum dopo un certo periodo non vuol dire che prima non ci siano cose interessanti da ascoltare in un vino. Per me ci sono troppi Brunelli che escono già sfibrati o nei quali comunque il lungo affinamento non sembra aver portato benefici, anzi, specialmente quando il frutto si asciuga. E non sono una piccola parte..

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Vero, ci sono Brunelli di qualità inferiore. Mica tutte le ciambelle riescono col buco. Ma tanto quelli anche dopo tre o due anni sarebbero quello che sono, ovvero vini modesti. Per cui non vedo il beneficio di accorciare una data di immissione al commercio che ai vini "giusti" non fa alcun male. Anzi, spesso dopo quattro anni non sono ancora da bere.

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Paolo Cianferoni

circa 10 anni fa - Link

Io credo che in un territorio complesso come quello geografico del Chianti, dove si produce il Chianti Classico, se si partisse già solo con le menzioni comunali o frazioni sarebbe un importante inizio per un percorso virtuoso verso una zonazione. Si perché quando si parla di zonazione entrano in gioco, oltre alla qualità del terreno e ambientali, le qualità di conduzione che ancora nel nostro territorio sono poco uniformi. Vorrei ricordare qui il lavoro delle cartine di Enogea di Radda in Chianti, Panzano, Castellina in Chianti e Gaiole in Chianti dove Masnaghetti si rivela un profeta di quel che occorrerebbe fare. http://www.enogea.it/Enogea/Carte_Chianti.html Naturalmente ci sono opinioni contrarie alle menzioni...

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Cristiano Castagno

circa 10 anni fa - Link

Scusate, ma vorrei offrire anche un'altro spunto di riflessione. Ebbene questa zonazione, almeno in teoria, non gerarchica, ma geografica non dovrebbe essere qualcosa di fine a se stessa ma dovrebbe tentare di risolvere il problema di base della denominazione cioè la periodica banalizzazione della percezione del valore dei prodotti sul mercato, indotta tra le varie cause in particolare dalla proliferazione di offerta e dal moltiplicarsi del primo prezzo. E la zonazione andrebbe a migliorare questa problematica ? Senz'altro, per i produttori situati nelle zone più vocate, tuttavia solo se si da per scontato che al mercato dello sfuso venga concessa la "portabilità" delle menzioni geografiche. A questo punto però verrebbe a notevolmente peggiorare la situazione dei piccoli viticoltori/imbottigliatori specialmente delle zone meno blasonate che si vedrebbero schiacciare dai commercianti/imbottigliatori, come già ora avviene (per la loro possibilità di acquistare nei momenti a loro favorevole sottocosto), ma in misura ancora maggiore di oggi. Doveroso, a mio avviso sarebbe quindi in concomitanza della zonazione poter distinguere adeguatamente i prodotti dei "rècoltant" da quello dei "nègociant" altrimenti uno dei problemi di base della denominazione rimarrebbe di fatto inevaso.

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Cristiano Castagno

circa 10 anni fa - Link

Errata corrige. Sostituite la parola "blasonate" con "vocate"nell'ultimo paragrafo perchè se è vero che ogni comune può vantare blasoni prestigiosi, (come sicuramente farebbe notare il buon Roberto Stucchi) questo non è sempre accompagnato da un territorio ugualmente vocato. Non deve stupire che in Toscana, terra di vinattieri prima che di viticoltori che qualche volta è stato proprio il blasone ad aver dato nobilità a territori non sempre esaltante dal punto di vista vitivinicolo ed i nodi prima o poi vengono sempre al pettine.

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Michele Braganti

circa 10 anni fa - Link

Campinoti falla finita pure a montalcino e'stato piantato dove non venivano nemmeno le zucche!...e solo grazie alla dizione montalcino che vendete la dimostrazione e' il Sant'Antimo che non ha assolutamente lo stesso appeal a parità (sulla carta) di suoli territori ecc....

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Uffa che noia, ancora questa datatissima bischerata! Scusi signor Braganti, se gentilmente si prende la briga di venire al Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello sarò lieto di farle vedere la mappe di dove erano i vigneti nel 1820 (4500 ettari), nel 1900 (3800 ettari) e seguenti, e vedrà che a Montalcino oggi ci sono solo 3600 ettari e sono tutti in zone dove le viti esistono da secoli. Spiacente se l'ignorantissimo Rivella ha sparso questa calunnia, ma dopo che tanto è stato scritto per confutarla è insensato riprenderla.

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Cristiano Castagno

circa 10 anni fa - Link

Suvvia, a Montalcino come nel Chianti Classico esistono vigneti situati in zone sicuramente meno vocate, non raccontiamoci bischerate.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Vero, come è vero in ogni angolo del mondo. Però è anche un dato storico che i due terzi del territorio montalcinese, crete escluse, è stato sempre vitato per molti secoli. In caso di insuccesso i nostri avi facevano la fame, se insistevano per tanto tempo su una cultura è segno che in quel posto veniva bene.

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Cristiano Castagno

circa 10 anni fa - Link

E chi lo nega ? Sarebbe un peccato trasformare questo bel post in una ridicola e banale diatriba tra guelfi e ghibellini.

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Riccardo Campinoti

circa 10 anni fa - Link

Michele cosa c'entra questo con quello che ho detto io??

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gp

circa 10 anni fa - Link

Mi sembra che questo post di Giannone crei solo confusione, con il riferimento alla Borgogna che ha una storia millenaria in fatto di delimitazione e classificazione delle parcelle. Come ha giustamente detto nel suo commento Stucchi Prinetti (Badia a Coltibuono), che di questa materia se ne intende, si tratta invece della possibilità di aggiungere la menzione del comune, e di alcune frazioni su cui c'è un generale accordo (per esempio Panzano), alla denominazione Chianti Classico. Il modello, come ho già detto e come è facile ritrovare in rete, è molto più vicino a noi: è quello del Gavi. Ma capisco che parlare a sproposito di Borgogna sia molto più fico...

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Cortese gp, il modello-Gavi è decisamente molto più cool di quello burgundo ed è una vergogna che non sia assurto a exemplum per tutti i zonazionisti d'Italia. Ora: se prova a liberarsi dalla coazione all'invettiva e a rileggere con calma, magari prendendosi un minutino supplementare per un'utile sbirciatina al post che precedeva questo - stesso tema, stesso convegno - potrà sfiorarla il dubbio che a introdurre la Borgogna come riferimento e termine di paragone non sia stato il sottoscritto. La sua premessa iniziale integra una simpatica fallacia di pertinenza: è un fatto che la Borgogna abbia una storia millenaria in fatto di delimitazione e classificazione delle parcelle. In punto di logica è invece un misfatto individuare in questo una causa ostativa all'adozione del modello da parte di altre zone vitivinicole di chiara vocazione, solo perché mille anni fa o giù di lì i frati romitani e i monaci di Sant'Antimo non indulgevano nello stesso viziaccio di piazzare clôtures qui e là, tra una faglia e una sabbia pliocenica.

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gp

circa 10 anni fa - Link

Effettivamente, se da parte di chi interviene su una materia non esiste un interesse a soluzioni concrete e praticabili, ma alla produzione di parole a mezzo di parole, non è interessante approfondire il modello Gavi ed è meglio buttarla in caciara proponendo (vari) o rilanciando (Giannone) modelli irraggiungibili e complesse alchimie istituzionali (tipo l'"organismo terzo e non elettivo, sul modello dell’INAO in Francia" che dovrebbe rimpiazzare il Consorzio). Il pregio del modello Gavi è che basterebbe aggiungere poche righe al disciplinare esistente per dare la facoltà di aggiungere la menzione del comune, che è quello di cui concretamente in questa fase "ur-borgognona" si può parlare per il Chianti Classico, invece di infilarsi in acrobazie il cui risultato è prevedibilissimo: non se ne farà nulla. Per non ripetere, rimando ai commenti miei e di Gily qui http://www.slowfood.it/slowine/frantumiamo-il-chianti-classico-e-ricostruiamolo-piu-bello/#.UtO5W_tEOSo

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Il riferimento a Piero Sraffa è molto suggestivo. A lei serve, riduttivamente, a derubricare la discussione (questa, ma soprattutto quella a Firenze) a caciara. Ora, poiché lei fa riferimento ad aspetti regolamentari condivisibili, non contesto oltre il suo avviluppamento al Gavi perché oltre quegli aspetti non mi interessa andare.

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Michele Braganti

circa 10 anni fa - Link

egregio colombini....la mia domanda e'...quelle migliaia di ettari del 1820 e del 1900 erano specializzati...o promiscui..??...ovvero grano(tanto) olivo(abbastanza) e a margine un filaretto di vite?...perche' cosi' erano in Chianti mooooolto prima del 1820.....l'affresco di simone martini del buon governo nel salone del palazzo del comune a siena sta li a dimostrarlo.

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Ce n'erano sia di specializzati che di promiscui, con però una percentuale ampia (oltre un terzo) di specializzati in genere con sesto un metro e mezzo per mezzo metro. Si usavano ovviamente margotte, per cui i vigneti non morivano mai. La produzione doveva essere molto alta, varie volte quella attuale; tenga conto che Montalcino serviva tutto l'Amiata, buona parte delle crete e quasi tutto il territorio a sud fino a Acquapendente, a differenza del Chianti che era circondato da zone che producevano vino. Certo vini di qualità inferiore ma pur sempre vino, mentre sull'Amiata e nella creta la vite non vive.

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

A questo punto vorrei solo scongiurare il rischio di derive polemiche: il post si proponeva di proseguire il confronto iniziato a Firenze e di stimolare, ove possibile, interventi qualificati. Così è stato e ringrazio: i commenti, in massima parte autorevoli e pregnanti, hanno chiarito aspetti importanti e prefigurato soluzioni. Proprio per ricondurre il discorso al suo scopo iniziale, tento di riassumere alcuni lineamenti: - a pensarlo da Panzano o Greve, il modello borgognone è suggestivo ma non condivisibile, né replicabile tout court ("... Di gerarchie non si parli proprio, o finisce a schifìo prima di cominciare...", Maurizio); - la menzione specifica è un obiettivo utile e più realizzabile. Oltretutto non esclude evoluzioni nel senso di ulteriori classificazioni qualitativamente fondate ("... qualificare zone più piccole e più omogenee...", Roberto Stucchi P.); - la menzione specifica lascia irrisolte alcune questioni non secondarie, ad es. ruolo e peso del négoce (vs tutela dei viticoltori-produttori), varietà ammesse per il saldo etc. - sebbene tratti Montalcino e non il CC, c'è un commento di Paolo De Cristofaro che illustra efficacemente la complessità della questione. E che inquadra in premessa il nodo fondamentale: "... aiutare aziende e consumatori a focalizzare gli aspetti territoriali specifici che poi possono entrare nell’espressione del vino che abbiamo di fronte... ". Grazie a tutti.

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Michele Braganti

circa 10 anni fa - Link

Sento parlare a vanvera di cose assolutamente non sostenute da nessuno dei soci ,produttori,consiglieri, quella sera al fuor seasons. L'idea e' quella di dare una valenza territoriale in etichetta a un Chianti classico prodotto in una determinata zona ovvero: Chianti Classico di Gaiole in Chianti Chianti Classico di Castellina in Chianti Chianti Classico di Radda in Chianti Chianti Classico di Greve in Chianti Chianti Classico di Castelnuovo Berardenga Ecc.....ecc... Messo così in etichetta il consumatore magari straniero riesce meglio a collocare che chianti e' e da dove proviene perché una cartina o goggle Map la sanno usare tutti.Si supera la confusione tra Chianti e Chianti Classico, e' un primo passo certamente ma secondo me importante, io non ho mai parlato di classificazioni di merito e' argomento troppo delicato e richiede molto più tempo ma la dizione comunale e' cosa facile che non penalizza nessuno.Per chi non vuole metterla invece rimane tutto così ovvero solo la denominazione chianti classico. All'atto della denuncia di produzione sui registri viene annotata la provenienza dell'uva e ecco fatto...anche l'imbottigliatore e' contento perché può imbottigliare più etichette provenienti da tutte le zone del Chianti Classico.io credo che questa soluzione non scontenti nessuno e magari aggiunga qualcosina...senz'altra fa un pochino più ordine. Per rispondere a Riccardo, a Montalcino insistono sullo stesso luogo 5 denominazioni di rossi, ovvero: Rosso,brunello,Chianti colli senesi,Sant'Antimo,igt toscano.Ora in teoria nella stessa zona,stessa azienda potrebbero esistere adiacenti l'uno all'altro 5 vigneti medesimo suolo,medesima uva,stessa cura vinificazione,ecc....guarda caso "la dizioncina" di Montalcino fa si che i primi due vadano a ruba gli altri tre non se li fili nessuno....e' un'analisi molto riduttiva ma serve a focalizzare l'idea che la dizione comunale aiuta e tanto...poi ovviamente e' il mercato a stabilire chi,come e quando.

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Emanuele

circa 10 anni fa - Link

Grazie, molto chiaro. Io, invece, nelle due sessioni non ho praticamente sentito alcuno parlare a vanvera. Ma è questione di opinioni. Volendo, anche di cortesia.

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