Tenores in verticale dal 2010 al 2001, il vino calabrone che non potrebbe volare ma lo fa

Tenores in verticale dal 2010 al 2001, il vino calabrone che non potrebbe volare ma lo fa

di Andrea Gori

Così come la frase di Einstein sull’estinzione delle api, che precederebbe quella degli esseri umani di pochi anni, anche la famosa citazione sull’impossibilità del calabrone (o meglio del bombo) di volare in base alle leggi della fisica pare sia un’elegante e poetica bufala cui tutti fingono di credere. Ma se fosse vera sarebbe una frase perfetta per descrivere il Cannonau Tenores di Dettori, un vino che a guardarlo nei freddi dati analitici tra alcol, estrazione e struttura non dovrebbe essere piacevole o facilmente bevibile, mentre invece è un piccolo prodigio di territorio, succosità e puro piacere enoico.

Un godimento che per essere apprezzato va servito fresco, come del resto tradizionalmente si fa in Sardegna per il vino da tavola che è sempre rosso, mentre il bianco è il vino da bettola in compagnia con gli amici. Ci siamo occupati spesso di Alessandro Dettori ma ogni volta che lo incontriamo in pubblico, come poco tempo fa a Taormina Gourmet, non possiamo fare a meno di apprezzare la costanza e la serietà con cui porta avanti la sua missione di restituire dignità storica e qualitativa al vino della sua terra.

A cominciare dalla rinuncia all’affinamento in legno (importato dal Piemonte e mai davvero praticato in Sardegna fino a pochi anni fa), e al voler insistere nel produrre un vino in direzione “ostinata e contraria”. Partendo da un errore sistematico da Rauscedo, Alessandro stima che l’80% del cannonau in Sardegna sia in realtà un tocai rosso e non propriamente un vero cannonau autoctono sardo, anche se entrambi ovviamente fanno parte della grande famiglia delle grenache. Il tocai rosso si comporta in vigna e in cantina in maniera molto diversa, e produce vini molto più pettinata e abbordabili con gradazione alcolica raramente vicina ai 14-15%. I vini di Alessandro invece sfiorano i 17-18% e lo fanno con baldanza e coerenza senza avere mai la pesantezza classica di altri vini affinati in legno. Il Tenores esce appunto a partire da uve biodinamiche e affinandosi solo in cemento, una vendemmia integrale che vuole immaginare come potesse essere un cannonau dei primi del ‘900 sull’isola.

Nonostante nasca come vino da essere bevuto giovane ha più volte dimostrato incredibili qualità alla lunga distanza, che abbiamo puntualmente rilevato nella nostra degustazione.

Tenores 2010. Vino acceso e luminoso, che attira subito le labbra al bicchiere cangiante di alloro menta e senape, mora di gelso, fragola matura; in bocca si rivela energico e saporito con tannino graffiante e tanta sensazione marina e balsamica, nel finale una dolcezza struggente, mai faticosa, per una vena acido-sapida perfettamente calibrata. 94

Tenores 2009. Piuttosto cupo, scuro e pieno di rimandi al sottobosco, una bocca ficcante tridimensionale scura e passionale, profonda e con filo di carbonica che lo estende e dilata; un vino con tanta espressività e sapore, carrube e piccantezza notevoli, tannino piacevole e distinto. 90

Tenores 2003. Naso che stupisce con frutto giovane, bellissimo di ciliegia e amarene vive e croccanti, balsamico radioso, solare e appassionato; bocca fresca, spiritata e saporita, sorprendente, altalenante, bizzarro e lungo, tanta materia ma tanta animazione e energia pulsante, un vino con accento freak che sa cosa può essere la grandezza. 94

Tenores 2002. Annata che ha visto tanta pioggia anche in Sardegna, oggi rivela note curiose di pepe sale e mallo di noce, mostra una bocca fitta e serrata con tannino sferzante: è un poco rabbioso e concede poco al piacere, la sua dolcezza è davvero molto nascosta, ma è degno figlio della sua annata. 86

Tenores 2001. Annata molto fredda che restituisce un vino cupo scuro e deciso, affumicato e selvatico, con profumi di mora mirtillo e confettura di ciliegie, più vitale al palato dove si riscatta e sorprende per freschezza e forza tannica che ravvivano la materia. 92

Difficile trovare un vino tanto trascinante, contadino eppure nobile nell’animo, e difficile trovare una persona che ne parli ogni volta con fermezza mista a grazia, idee chiare, animo battigliero ma finezza di ingegno come Alessandro, davvero uno dei migliori ambasciatori che la Sardegna abbia mai avuto.

Per i curiosi del calabrone bombo su Verascienza leggiamo che: “ha un battito d’ali pari a 230 battiti al secondo, molto più veloce di altri insetti di dimensioni minori, addirittura 5 volte superiore a quello di un colibrì ed è proprio questa velocità incredibile che gli consente di ottenere una spinta sufficiente a mantenerlo sospeso in aria, oltre che ad un movimento alare inconsueto che contribuisce a generare portanza. Il movimento alare del calabrone infatti non è semplicemente un battito d’ali come quello che possiamo osservare negli uccelli, ma un movimento molto più complesso, che comporta la torsione e l’oscillazione delle ali per creare una spinta che non sarebbe ottenibile con un semplice battito. L’errore nei calcoli che dimostravano che il calabrone non può volare fu l’applicare le leggi della fisica ad un volo “standard” che non corrispondeva al moto alare del calabrone.”

Andrea Gori

Quarta generazione della famiglia Gori – ristoratori in Firenze dal 1901 – è il primo a occuparsi seriamente di vino. Biologo, ricercatore e genetista, inizia gli studi da sommelier nel 2004. Gli serviranno 4 anni per diventare vice campione europeo. In pubblico nega, ma crede nella supremazia della Toscana sulle altre regioni del vino, pur avendo un debole per Borgogna e Champagne. Per tutti è “il sommelier informatico”.

17 Commenti

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Roberto Pusole

circa 8 anni fa - Link

Un saluto a tutti. Scrivo solo per fare una piccolo appunto sul legno il suo utilizzo e la Sardegna. Quanto scritto sopra è un errore. Le botti piccole le usavano mio babbo mio nonno e mio bisnonno ma della misura variabile da 20 a 50 brocche (1 brocca=14 litri) . Tant'è che il legno si usava anche per la fermentazione: tineddoso di massimo 1500 litri per una facile gestione delle vinacce. Importazione degli anni 51 è il cemento usato per vinificazione e stoccaggio con la costruzione di vasche chiuse con portella. Se vogliamo parlare di novità in vinificazione in Sardegna possiamo quindi citare cemento, acciaio e ultimamente le anfore. Il legno fa parte della nostra cultura ed anzi ogni paese aveva il proprio bottaio tradizione purtroppo persa e non recuperabile. Saluti a tutti.

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Tino

circa 8 anni fa - Link

Questo del Tocai rosso non lo sapevo..ma possibile?? Ci sono delle iniziative per correggere questo errore? Come nota a parte, qualche giorno fa ho aperto una bottiglia di Perda Rubia, un Cannonau delle parti di Cardedu. Annata 1989, 15.5% di Alcol. Non riuscivo a credere come questo vino, di colore molto chiaro, ma luminoso e ancora abbastanza giovane. Il vino non dava segno di stanchezza, anzi, era fresco, grazioso, tannini fini, l'alcol non si sentiva per niente. Purtroppo era l'ultima bottiglia, ma mi ha sorpreso moltissimo la grazia di questo vino, e come sia invecchiato senza affanno. (OK, ho una cantina abbastanza fresca, alte bottiglie della stessa annata saranno forse molto più evolute).

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Gian Piero Saccu

circa 8 anni fa - Link

Buonasera Nel post ci sono 2 fondamentali imprecisioni, la prima già puntualizzata da Roberto riguardo l'utilizzo delle botti sia piccole che grandi. Fino a neanche 50 anni fa infatti in sardegna l'unico materiale sia per lo stoccaggio che per la fermentazione era necessariamente il legno, salvo alcune eccezioni nel campidano di Cagliari e nel sassarese. Per quanto riguarda il tocai rosso è decisamente sovrastimanto quanto scritto nel testo sopra. Si a causa di rauscedo un clone riconducibile al tocai rosso si è drammaticamente diffuso nell'isola, senza tuttavia superare il 30-40% dei vigneti iscritti come cannonau. Saluti

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Alessandro Dettori

circa 8 anni fa - Link

Grazie Andrea per il bel resoconto e per gli altissimi punteggi attribuiti al Tenores. Completo specificando, come già fatto a Taormina, che la notizia del tocai rosso/cannonau fu divulgata per la prima volta dal Professor Pietro Deidda del'Università di Sassari, al Convegno "Cannonau wine festival - Terre di Cannonau" tenutosi a Dorgali il 29 maggio 2004. La percentuale del Tocai rosso sul cannonau è del 60% circa del totale dei vigneti di cannonau (da loro stimato) che arriva all'80% se si prendono in considerazione i soli vigneti iscritti alla DOC. Oltre al Convegno al quale ho partecipato potete trovare tutte le notizie qui: DEIDDA P., NIEDDU G., 2004 - Attività di ricerca del DESA sul Cannonau. Cannonau wine festival - Terre di Cannonau. 29 maggio 2004. Volume unico. Non vorrei attribuirmi capacità e qualità non mie :-) Sul legno e cemento aggiungo che ne ho parlato in risposta alla (classica) domanda:<Perché non usi il legno?>. Lo ripeto anche qui. Non uso il legno perché non è mai stata tradizione utilizzare i legni come "strumento" di vinificazione e/o affinamento. Leggasi bene il termine "strumento", cioè l'utilizzo da parte del vignaiolo per "conseguire" uno specifico risultato (micro ossigenazione, maggiore decantazione delle particelle sospese e quindi suo illimpidimento, migliorare il gusto dei tannini, ecc. ec.). La maggior parte dei nostri nonni vinificava in "Su Laccu": vinificatore in pietra dai tempi dei nuragici (2.800 a.c.) evolutosi in cemento già dai tempi dei romani (il cemento è oggi è visto erroneamente come il "solo" calcestruzzo con la portella, ma il cemento veniva usato già dai tempi degli egizi), ancora presente ed utilizzato da tanti vignaioli. Poi il vino dalle vigne (ove lo si ammostava, se le vigne erano distanti dal paese) veniva portato in paese nelle botti di legno dove rimaneva sino a gennaio massimo febbraio. Chi non riusciva a venderlo oltre febbraio era un :-) , nessuno desiderava affinarlo.....(discorso a parte per la grandissima Vernaccia e Malvasia). A Sassari è ampiamente documentata già dal 1500 la presenza dei mastri bottai, "rinomati in tutta l'Isola", così scriveva Francesco Gemelli ne "Il rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura" (1776). Ma ripeto, quelle botti di allora come le botti di cinquant'anni fa erano (tranne sicuramente rare eccezioni) dei meri contenitori avendo all'interno oltre 5cm di crosta di tartrati e altro, rendendola simile ad altri inerti contenitori. Non era uno "strumento", ma un contenitore. Chi ha iniziato ad utilizzare in Sardegna i legni come strumento sono state poche e nobili famiglie piemontesi a partire dall'inizio del '900.

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landmax

circa 8 anni fa - Link

Chi ha ragione, allora? Roberto Pusole o Alessandro Dettori? Perché a me pare che tutti e due affermino, con una certa sicurezza, l'opposto di ciò che afferma l'altro (in tema di utilizzo di legno e cemento per la vinificazione). Forse sono soltanto usi diversi in zone di produzione diverse? Attendiamo delucidazioni, grazie!

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Roberto e Alessandro

circa 8 anni fa - Link

Caro Landmax, non ha ragione nessuno, anzi ... abbiamo ragione tutti e due :) Grazie al post di Andrea ci siamo fatti una bella chiaccherata ed entrambi concordiamo sull'utilizzo del cemento nella tradizione, Roberto si riferiva soprattutto alle "recenti" botti in calcestruzzo con portella, ma il Laccu era presente eccome anche in Ogliastra per la vinificazione, come su tutta l'Isola. Chi usa il cemento cerca di trovare e percorrere la strada più cruda e neutrale, lavora in negativo, per sottrazione, chi invece usa il legno deve saper possedere l'equilibrio per donare al vino gentilezza e armonia. Strumenti complicati e diversi che hanno però lo stesso obiettivo: valorizzare il proprio terroir. Roberto Pusole e Alessandro Dettori

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Marco

circa 8 anni fa - Link

Salve, Non so da dove lei abbia estrapolato queste cose ma sono delle fandonie assurde, mi vuole far credere che i nostri nonni utilizzavano su laccu?! Per favore... diamo informazioni vere perlomeno, altra cosa che vorrei commentare riguarda questo 80% di tocai in Sardegna, non ho mai letto nulla su questo argomento tanto meno pubblicato dal professor Nieddu, il quale credo proprio non sostenga questa teoria. Dovrebbe informarsi meglio sulla storia della viticoltura in Sardegna. Saluti

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Alessandro Dettori

circa 8 anni fa - Link

Buonasera signor Marco, http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2004/05/30/SL4PO_SL402.html Presso la biblioteca universitaria di Sassari c'è copia dello studio: DEIDDA P., NIEDDU G., 2004 -- Attività di ricerca del DESA sul Cannonau. Cannonau wine festival -- Terre di Cannonau. 29 maggio 2004. Volume unico. Le percentuali sono state comunicate dal Professor Deidda al convengno. Libri facilmente reperibili e belli da leggere: - "Il Vino in Sardegna, 3000 anni di storia, cultura, tradizione e innovazione" edito da Ilisso. - Cannonau, Mito del Mediterraneo, scritto dal Professor Enzo Biondo. Entrambi i libri elencano fonti bibliografiche infinite. Saluti.

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andrea

circa 8 anni fa - Link

Mi viene offerto di comprare il 2006...tende al 2003 oppure... Grazie

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Andrea Gori

circa 8 anni fa - Link

dovrebbe essere simile ma l'annata 2006 in genere è ben più equilibrata della 2003. Di recente non l'ho assaggiato comunque se lo trovi ad un prezzo buono vale sempre la pena!

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andrea

circa 8 anni fa - Link

Grazie! Preso. 27 euro.

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Marco Delugas

circa 8 anni fa - Link

Salve a tutti, Per quanto riguarda Oristano, Alessandro ha ragione. Su laccu si utilizzava eccome per le vinificazioni della Nieddera, (qualche cantina ancora lo ha come arredo) e non è neanche troppo difficile trovare delle foto. Sono quasi sicuro sul fatto che ci siano delle foto in un libro che si intitola "Vernaccia, l'oro della valle del Tirso" (che ho da qualche parte) scritto da Tendas e Marceddu e pubblicato da Stampacolor, piccola casa editrice di Sassari. Per quanto riguarda la Vernaccia, ho avuto la fortuna di conoscere un piccolissimo (ma bravissimo) produttore privato di nome Pietro Fanari di Baratili S.Pietro, che purtroppo è venuto a mancare, che mi raccontò che quando da bambino affiancava i suoi parenti nella vendemmia e nelle vinificazioni, le botti nuove (da circa 1000l) e fatte dal bottaio del paese in legno di quercia del Montiferru, venivano portate in vigna insieme a su laccu e si pigiava per poi mettere il mosto subito nelle botti che venivano trasportate in cantina piene per poi eseguire il travaso nelle botti più vecchie. Questa pratica veniva eseguita per qualche anno con le botti nuove per poi sostituire le botti più vecchie in cantina. Roberto ha ragione nel dire che i paesi avevano il bottaio. Paolo Contini, proprietario dell'azienda Contini di Cabras, (1898, la più antica dell'isola) mi confermò del bottaio e della quercia dal Montiferru. Riguardo gli strumenti e le vinificazioni sulla Vernaccia, se si parla con gli anziani (che purtroppo sono uno dei pochissimi modi per sentire come davvero andavano le cose) vi capiterà spesso di sentire metodi di vinificazioni con strumenti differenti, sopratutto di paese in paese. Un saluto a tutti

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ziliovino

circa 8 anni fa - Link

Ma quello in foto è Walter Massa o un suo sosia? :-)

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Andrea Gori

circa 8 anni fa - Link

è lui! era presente anche lui a Taormina Gourmet e ha animato un dibattito sulle DOC insieme ad Alessandro

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Romeo

circa 8 anni fa - Link

Un suo sosia .

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filippo

circa 8 anni fa - Link

è la prima volta che partecipo ad un dibattito...ma la colpa è di Andrea, mi incuriosisce sempre quello che scrive, fa... credo che il problema non sia se il cemento è arrivato prima del legno, ma se il Vino prodotto siamo buono o no, o meglio se abbia "beva" o "no"....di vini che si bevono con gli occhi e le orecchie siamo pieni!! Detto questo, vorrei capire da Dettori che vantaggi porti al Vino rispetto ad un tino di legno delle stesse capacità, nella stessa cantina, e stessa cosa vorrei capire come o se raffredda i mosti. Ultima cosa, ho letto che Dettori scrive "...L’uva viene diraspata ma non pigiata " visto la sua attenzione alla Natura, gli consiglierei di fare il "contrario" perché il raspo è un elemento fondamentale...visto che tutti parlano di storia. in wine we trust fp

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Andrea Gori

circa 8 anni fa - Link

andremo a chiederglielo Filippo! Sulla questione dei raspi potresti discutere per ore...soprattutto in Borgogna... Per la mia esperienza, ma non faccio vino, il cemento raffredda naturalmente i mosti e impedisce che si "elettrizzi" come invece può succedere in acciaio e impedisce anche che ci siano cessioni nel vino di sostanze esterne come avviene con i legni sia nuovi che vecchi. Anche per effetto delle alte gradazioni (non rare in sardegna) dei mosti in fermentazione e poi dei vini in affinamento, la quantità di sostanze cedute da un contenitore di legno al vino rispetto ad un contenitore inerte è enorme.

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