Tatto, sapore, retrogusto ed altri fatti sensoriali. Fenomenologia della lingua

di Pietro Stara

Ogni manuale da Sommelier o da Degustatore semplice che si rispetti, quando affronta il nodo gordiano del gusto, abbarbicato tra sensazioni saporifere, sensazioni tattili e sensazioni retronasali (alcuni parlano di retrogusto), fa apparire, stilizzata, tridimensionale, diversamente colorata, la lingua. L’organo del gusto per eccellenza, anche se mi piace ricordare le sue sorelle e i suoi fratelli d’armi, ovvero il palato molle, la faringe, le guance e l’epiglottide, viene rappresentato graficamente per spiegare come il passaggio di un liquido, o di un cibo, sulle oltre 3000 protuberanze (papille gustative), determini percezioni sensoriali differenziate prima che si butti nei bassifondi del corpo.

La lingua, insomma, incastonata nel luogo dell’ambiguità e della colpa: la bocca. “E’ qui che si respira, si inghiotte, si assapora, si parla; è questo un luogo di transito corporeo sovrinvestito dall’umano che, in questa sede, rompe il suo isolamento esistenziale facendo comunicare l’esterno con l’interno [1].” Molte delle rappresentazioni grafiche della lingua sono inadeguate nei confronti  dei due latecomer del gusto: l’umami, che indica il sapore del glutammato, la cui scoperta risalirebbe al 1908 e il grasso: proprio così, il grasso. Ricercatori americani della Washington University School of Medicine avrebbero identificato un recettore chimico nelle papille gustative della lingua, regolate dal gene CD36, che dovrebbe riconoscere le molecole di grasso. Siamo in attesa del settimo gusto, quello del fritto, e non sto scherzando.

Ci fu, però, un tempo lontano in cui la lingua era cosa viva tanto da essere considerata messaggera delle caduche voglie umane, e per ciò stessa degna di attenzioni particolari. Nel pensiero medico-biologico del Seicento lo scienziato, come l’artista barocco, non si limita più a esaminare staticamente le parti del corpo, ma rivolge la propria attenzione al movimento e al funzionamento di esse. Non ci si accontenta più di sapere come sono costituiti gli organi del corpo umano, ma si vuole sapere quale sia il loro funzionamento: dall’anatomia descrittiva si passa così all’anatomia ‘animata’ o funzionale, ovvero alla fisiologia [2]. E la lingua, al pari di altre membra del corpo, si anima come un serpente tentatore. Ma noi, oggi, abbiamo appreso che “che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio [3]”:

«Lingua che non dà tanti giri, non spiega tanti accenti, non muove tante parole, quanto son le sue laudi, guarnita di forte lena, vestirà di piacevole chiarezza, ornata di splendide note, arricchita di gravi sentenze illustre d’armonico suono, chiara di soavi accenti, colma di dolce favella. Lingua per la cui mezzo l’alma sfoga la doglia sgombra il timore, stuzzica la tristezza, desta la gioia, nodrisce [4] il desiderio, mantiene la speranza, attizza l’odio, fomenta l’ amore. (…) Lingua, che sollevandosi da gli altri membri, anco co’l cuore supremo, principe di tutti, contende e gareggia; sì che se il cuore prescrive le leggi la lingua è il trombetta che le pubblica; se il cuore dà le sentenze perentorie, la lingua l’intima; se il cuore è la vena della sanità, la lingua è il polso che la dimostra; se il cuore è la sorgente dell’acque, la lingua è il canale che le corriva [5]; se il cuore è la fucina dell’armi, la lingua è la cote che l’aguzza; se il cuore è il Sole la lingua è l’ombra; se il cuore è il condottiero, la lingua è l’araldo; se il cuore è il re, la lingua è l’interprete; se il cuore è la fornace, la lingua è il camino; se il cuore è il palagio, la lingua è la facciata; se il cuore è l’orologio, la lingua è la mano. Lingua che, quasi sonatrice industre, servendosi per mantici del polmone, per cannella delle fauci, per tasti de’ denti, per dita le labbra, per concavo del palato, per corde delle vene, per aria del fiato, per registro della gola, or distesa, or piegata, or tarda, or presta, or in guisa d’invoglio, or in forma d’archetto, or percotendo, or errando, or con sminuire, or con impinguare, or grave , or acuta, forma a tutte l’ore nel bell’organo il delicato suono della dolcissima voce [6].»

[1] Gisèle Harrus-Révidi, Psicanalisi del goloso, citato in Francesca Rigotti, La filosofia in cucina, Il Mulino, Bologna 2004, pag. 29

[2] Cfr. Giuseppe Ongaro, La Rivoluzione scientifica – I domini della conoscenza: Anatomia, in  Storia della Scienza, Treccani cap. XLIX

[3] Fabrizio de Andrè, Bocca di Rosa

[4] nutre

[5] incanala

[6] Poetiche dicerie, overo Vaghissime descrittioni e discorsi accademici del P.F. Tomaso Caraffa domenicano e di altri eccellentissimi autori. Prima e seconda parte. In questa nouissima editione accresciute di cinquanta dicerie e del Discorso de’ biasimi d’amore, per Diotallevi, Viterbo 1638, pp. 89-90 (edizione originale 1614)

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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