Recensioni ai tempi del Prosecchino: il ristorante dell’Hotel Regency di Firenze

di Leonardo Romanelli

L’albergo lo si potrebbe definire “di charme”, nascosto com’è nella piazza che ha visto vivere il buon Pellegrino Artusi una volta trasferito a Firenze: c’è perfino una lapide che lo ricorda quale insigne ospite di quelle mura. L’Hotel Regency è il 5 stelle per chi vuole riservatezza e tranquillità, anche se in occasione del mitico (per noi giovani di allora) concerto dei Duran Duran a Firenze, fu il posto prescelto dalla band inglese per riposare.

Da un punto di vista gastronomico, balzò agli onori della cronaca più di vent’anni fa, per opera di Carlo Persia, oggi trasferito in America, dove mise in pratica una cucina che oggi forse farebbe sorridere ma che destò molto interesse per l’epoca: molti ingredienti per piatto, tante cotture unite, molta scenografia e comunque in grado di smuovere un po’ la curiosità dei critici italiani dell’epoca. Meno interessati i fiorentini, che non sono certo tra i popoli più curiosi, gastronomicamente parlando.

Oggi, dopo anni di oblìo, sta pian piano tornando a farsi conoscere dalla clientela esterna il ristorante “Relais Le Jardin” che, in estate e con un giardino nascosto indubbiamente pregevole, stimola la curiosità di chi vuole mangiare all’aperto in città, senza auto che lo disturbino.

Prezzi abbordabili, 60 euro escluso vini, e si parte con un Prosecco offerto dalla casa che arriva tristemente da solo, senza nemmeno la bottiglia che lo accompagni per capire di chi sia figlio. La richiesta della carta dei vini si fa obbligata ed in effetti non c’è in lista niente che faccia saltare dalla sedia per ricerca accurata, con un bell’errore da matita rossa su uno sconosciuto Chianti Classico declassato a semplice DOC.

L’arrivo del burro incartato modello colazioni mattutine e del contenitore dell’olio EVO potrebbe deprimere ma è così fuori luogo che strappa invece un bel sorriso: meglio allora provare ad addentare il pane ma, anche in questo caso, le capacità di miglioramento sono enormi.

Il carpaccio di manzo su insalatine di campo ricoperto da glassa di balsamico lo ordino per  capire se era veramente come lo immaginavo nella fantasia, ma la supera; meglio la tartare di branzino con agrumi e avocado , dove però la glassa compare ancora, stavolta sotto forma di gocce (sic!).

Interessanti i tortelli di ricotta e carciofi aromatizzati al timo con salsa di lardo di Colonnata, anche se sarebbe più esatto definirlo solo “lardo”.

Gustosi, magari scomposti nella presentazione, i tagliolini al nero di seppia con calamaretti ed erba cipollina, mentre il cosciotto di agnello  alle erbe su cime di rapa e patate nocciola è un grande classico, ben eseguito.

Fuochi d’artificio sul finale, con biancomangiare al basilico e marmellata di pomodori rossi che stupisce trovare in una proposta generale altamente classica. Il servizio è indubbiamente gentile, ma il tutto avrebbe bisogno di una ventata di novità che, forse, sta arrivando. Per il momento, si potrebbe cominciare dal burro, come diceva Marlon Brando.

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Leonardo Romanelli

“Una vita con le gambe sotto al tavolo”: critico gastronomico in pianta stabile, lascia una promettente carriera di marciatore per darsi all’enogastronomia in tutte le sfaccettature. Insegnante alla scuola alberghiera e all’università, sommelier, scrittore, commediografo, attore, si diletta nell’organizzazione di eventi gastronomici. Mescolare i generi fino a confonderli è lo sport che preferisce.

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