Questo è un post sul vino pieno di invettive e parolacce
di Emanuele GiannoneChe strana impressione, visti da un cantiere navale a Grand Bahama, gli autoscatti con bottiglia al di là dell’Atlantico; e soprattutto le foto di bottiglie brandite da solenni mani esperte, didascalizzate di espressionismi idiomatici e generosamente spolverate di puntini di sospensione. Che strana impressione, i redazionali infiocchettati e i comunicati stampa e le sensazionali promozioni. Dall’una all’altra categoria espressiva, l’impressione attraversa il campo di variazione tra pippa e sveltina.
La mia attività lavorativa non richiede una comunicazione alimentata a steroidi anabolizzanti. Sono esentato dai superlativi ipertrofici e dalle bombe di iperboli e pleonasmi. Nel mio lavoro nulla spacca, nulla fa il botto, con l’eccezione delle squadre di demolitori quando si danno al sabba dello strip (niente a che fare con le riviste di spogliarello: è il lavoro di smantellamento). Non c’è nulla di monumentale, è tutto manifatturiero. Artefatti, non artifici. I mega- e gli extra- sono inutili. Per suffragare il giudizio di valore e per convincere della bontà dei manufatti, proprio come dovrebbe essere per il giudizio sul vino buono, non servono slogan e non serve l’ostensione di soldi e muscoli, vini e peni e altri attributi utili per le sfide a chi ce l’ha più lungo.
I social somigliano all’impermeabile dell’esibizionista e gli autoscatti bottigliati ne sono una variante: servono a far mostra del vino come la si farebbe del cazzo. Anzi: di un accrescimento posticcio, più che di un membro flesh and blood. Eno-toys come sex-toys, esibiti in pubblico smutandamento. Toh, beccatevi questo. E ora scegliete: pippa o sveltina?
Non c’è nessuno scandalo, beninteso: unicuique suum, vino o cazzo che sia. E se non è abbastanza lungo, che lo si aggiusti pure con un articolo dal catalogo di Beate Uhse. Resta il fatto che quegli allegri scatti di vini come verghe, gli stravinamenti e gli stravergamenti, mancano inevitabilmente di flesh and blood. Insomma: nella sua parte maggioritaria, quella del vino è una comunicazione, più ancora che da latte alle ginocchia, di latex. E poco, pochissimo muscolo. Il problema, sia chiaro, è tutto mio: sono al livello di un educando, ho fantasie e sogni enotici da età prepuberale. Gli esibizionismi non mi eccitano. Sono rimasto indietro e mio malgrado ci sto bene.
Mi annoiano i protagonisti. I grandi interpreti non hanno ambizioni nazionalpopolari. A forza di sovraesposizioni si rischia di confondere i Laurence Olivier con i Lorenzo Cherubini.
Mi annoia l’anabolismo della logopoiesi. Il linguaggio si adatta alle necessità, questo è certo: l’evoluzione del linguaggio e l’accessione di nuovi lemmi lo mantengono vivo, funzionale allo scopo di veicolare informazioni. Ma il cambiamento è positivo solo nella misura in cui accresce la capacità di esprimersi e la pregnanza dell’espressione. L’eno-logopoiesi è in massima parte funzionale alla comunicazione istantanea e semplificata, più che alla versatilità e alla ricchezza espressiva: «La ricchezza è la prima e più necessaria qualità di una lingua, e consiste nel non avere alcuna manchevolezza, ma piuttosto nell’avere un’abbondanza di parole utili ed espressive, utili per tutte le circostanze, con le quali si possa significare ogni cosa con energia e proprietà, e per dir così si possa dipingerla con colori vivi…». Così parlò un tedesco degno di qualche stima. Un altro scrisse che il linguaggio traveste il pensiero; con ciò, tuttavia, non intendendo che il pensiero sia un travestito.
Mi annoia l’aura estetizzante: arte allo stato gassoso che circonfonde e magnifica il mero atto della fruizione, presenzialismo ostentato, celebrazione di bevutine e bottigline. Tutti valori estrinseci rispetto al valore intrinsecamente estetico del vino: storia e lavoro incorporati, sapienza, senso e sensi.
Mi annoia molto l’informazione ridotta al titolo: adattata a soglie basse di attenzione, semplificata negli argomenti, preclusa alle argomentazioni. Una comunicazione tarata su un lettore-target renitente per principio alla lettura di testi lunghi o complessi, impaziente di arrivare al pay-off: una successione di conclusioni prive dei passaggi argomentativi che dovrebbero fondarle.
Amo i poeti ermetici e la leggerezza calviniana; aborro chi li cita a sproposito per nobilitare la propria penuria di mezzi espressivi.
Detesto la ricerca del massimo impatto per catturare l’attenzione, le iperboli, le reiterazioni di superlativi – le prime vittime, meschini pure loro, svuotati oramai di qualunque significato o valore emotivo a causa del loro smodato impiego; sacrificati a una modulazione espressiva – è Remington Norman – «…used for impact rather than for information.».
Mi annoia lo spin, the art of massaging communication, l’esaltatore d’insapidità più anabolico e sgamabile. Il fatto che per la comunicazione tutti i vini siano ugualmente ottimi e tipici manifesta il ricorso all’espediente della suggestio falsi, suppressio veri. Mi provoca accessi viepiù violenti di gonadogalattosi la filtrazione spinta del contenuto intellettuale del messaggio, allo scopo di renderlo più immediatamente intelligibile: perché presuppone un concetto di target quale organismo dotato del quoziente d’intelligenza di una pastinaca.
Ora: per non sentirmi a mia volta pastinaca, credo che sarà bene bere con moderazione. Concentrarmi sui vini di quelle persone e di quei luoghi che mi danno pensiero e voce. E leggere, molto più che scrivere. E leggere prima, attentamente, le avvertenze. Così da leggere attentamente solo chi lo merita. Sono parecchi, non sono quasi mai su Facebook, tendenzialmente si fanno i cazzi propri e mai li mostrano (vale anche per le bottiglie).
13 Commenti
Nic Marsél
circa 9 anni fa - LinkPastinaca del regno animale o vegetale?
RispondiEmanuele
circa 9 anni fa - LinkA ben vedere, la prima. Perché la pastinaca sativa è bòna assai, specie se ripassata. Quella di mare non ispira sagacia, né arguzia.
Rispondicarolaincats
circa 9 anni fa - Linkho letto, ma come al solito mi ci vogliono altre 3-4 letture... @-@
RispondiEmanuele
circa 9 anni fa - LinkCarolina! Ma allora vado migliorando!
RispondiEmanuele
circa 9 anni fa - LinkCarolina! Allora vado lentamente migliorando!! Vedrai che la tua pazienza, alla fine, vincerà. E grazie.
RispondiRolando
circa 9 anni fa - LinkBeh, caro Eleutherius, gliele hai cantate. Ma, come ben sai, a determinati personaggi è necessario il coro, non sarebbero in grado di reggere un monologo e, quando ci provano, diventa un soliloquio sproloquiante (sto imparando a dire parole difficili, la cosa mi spaventa...). In ogni caso, è il marketing, bellezza, e tu non puoi farci niente. Niente
RispondiEmanuele
circa 9 anni fa - LinkIl marketing è, o dovrebbe essere anche informazione. Un marketing povero o privo d'informazione non è, almeno stando a funzione e significato, un buon marketing. Io non ho nulla contro quello buono. Il guaio è che il concetto è abusato; e che la parola "marketing" sta bene in tutte le bocche. Risulta comoda alla fonazione anche per piazzisti, illusionisti e favolisti enomessianici.
RispondiJacopo Cossater
circa 9 anni fa - LinkTrovo tutto maledettamente molto bello, parolacce incluse.
RispondiBen Bevendo
circa 9 anni fa - Linkconfesso che ho dovuto usare il vocabolario, ma l'articolo mi piace molto!!!
RispondiHomo
circa 9 anni fa - LinkEmanuele, mi illumin(i) di immenso ... ops, forse l'ho usato a sproposito? ;-) ...ops avrò usato l'emoticon per accrescere la capacità espressiva o solo funzionalmente alla semplificazione della comunicazione? Dubbi. Bella lettura
RispondiEmanuele
circa 9 anni fa - Link... nel dubbio, grazie comunque.
Rispondicarolaincats
circa 9 anni fa - Linkdopo riletture varie dico che sei stato esaustivo. dico che le parolacce ci stanno. dico che come sempre mi piace come ti esprimi. grazie.
RispondiEmanuele
circa 9 anni fa - LinkGrazie a te!
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