Quando ascoltare il vino pare faticoso, così uno trangugia

Quando ascoltare il vino pare faticoso, così uno trangugia

di Pietro Stara

Alle volte mi sforzo. Non sono mica bravo per natura. Neppure cattivo. Torno a casa, occhi arrossati, pensieri sovrabbondanti che stipano ogni angolo del cervello, cose di sempre da sbrigare. Mi impongo ugualmente di giocare con mio figlio più piccolo, Marco, che ha cinque anni. Gara di macchinine: ne scelgo una, ma lui me la cambia subito. “No, prendi questa!” – mi dice – “Io questa qua”. Marco non mi sfida per gioco. Lui, antidecubertinianamente, vuole vincere ad ogni costo. Con ogni scusante e con ogni mezzo necessario.

Parla di me. Una volta andai, con mio padre e con mio fratello, a Montecomposto, piccola borgata sopra Rubiana, comune della bassa Valle di Susa, dove mio nonno Peppe si era costruito la sua dacia estiva. A fianco dell’abitazione c’era un spiazzo inerbito, a forma rettangolare, separato da un muretto basso dal resto del giardino. Gli altri lati, che lo dividevano da un bosco di castagni, erano sormontati da una rete metallica, che ricordo abbastanza alta, ma non a sufficienza per le pallonate che le volavano sopra la testa.

Per me il calcio era tutto: quintessenza distillata del senso primo e ultimo della nostra presenza terrena. L’unico tramite tra noi e l’alto dei cieli veniva tracciato da un pallone di cuoio rinviato dal portiere. Una volta che aveva raggiunto il suolo era questione degli umani. Io contro mio padre e mio fratello. Giocai all’impazzata, in una sorta di sospensione respiratoria che neppure l’asma infantile riusciva a limitare. Fintanto che un sibilo di aria riusciva ad insinuarsi nei polmoni, le gambe manovravano autonomamente in perfetta comunione con il cervello. Mio padre decise di darmi una lezione, educativa immagino.

Perdetti miseramente, senza appello. Sono incazzato ancora oggi. Però una grande passione: non importava nulla che giocassi nel campionato, in un giardinetto o contro il portone di una chiesa, prodromo di un imminente anticlericalismo. In due, in tre o in ventidue. Così Marco.

Poi la testa mi si riempie di nuovo. Gioco distrattamente. Marco se ne accorge: “adesso non è ho più voglia. Facciamo un’altra volta”. Mai un tono accusatorio o di colpevolezza. Se ne assume lui tutte le responsabilità. Mi commuovo sempre di tanta gentilezza. Noi adulti proiettiamo. Siamo bravi a scagliare. Me lo ha insegnato duramente e lungamente mia moglie, che continua a fare la psicoanalista.

Col vino uguale. Non mi sforzo più di tanto, ma ci sono volte che non lo ascolto, neppure un attimo. Lo trangugio, che se potesse parlare mi direbbe: “adesso non è ho più voglia. Facciamo un’altra volta”.

[Immagine – crediti]

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

4 Commenti

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Nelle Nuvole

circa 8 anni fa - Link

Super scrittura per un super racconto. Se ad un uomo piace il calcio, il vino e il cane, non è un uomo disprezzabile.

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Luca

circa 8 anni fa - Link

più trangugio per tutti, bravo Pietro

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sergio

circa 8 anni fa - Link

I Blog(tutti) di Cibo stanno avendo un calo molto forte della partecipazione ai dibattiti.I motivi sono molteplici e non è questo il momento per approfondire. . Io sono attratto da articoli come questo o come quelli di Sara Boriosi, di Cristiana Lauro ed Altri.Vengo su Intravino anche per questo. Ed anche per leggere dei commenti, come quelli di Nelle Nuvole, ad esempio. . Il testo scritto può essere accostato al vino. E ci può essere un'analisi testuale superficiale, veloce e una più profonda, che richiede più tempo. . Nel trangugiare veloce del vino c'è una verità profonda. Fatta risaltare dal racconto costruito intorno ad essa.

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Giorgio

circa 8 anni fa - Link

Grazie Pietro per questo racconto, lontano nel tempo. Sono passati solo 40 anni, io giovane ( si fa per dire) e tu giovanissimo. Non so se da quella lezione sia nata la tua passione . Certo é che quando a tutti i costi si vuole vincere, é forse più facile capire che si può anche perdere. Deve rimanere sempre la "voglia".

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