Primi della classe: come uscire vivi da un corso intensivo di degustazione

di Emanuele Giannone

Si torna a scuola. Almeno qui nella città dove li passeracci so’ usignoli. Io ce so’ nato e però, bontà d’Antonello, l’usignoli non li ho mai visti. Torniamo a scuola anche noi, che in parte ce sémo nati e in parte no. Iniziammo da piccoli gelmini, continuiamo ora da piccoli giannini, ma allo sport estremo degli organici e degli orari ridotti eravamo e siamo ugualmente soggetti: un’ora oggi, con mamma a portata di strillo; una e mezza domani, con nonna, di guardia al di là del cancello, che sproloquia all’indirizzo dell’educatrice; due dopodomani, con papà in stolida attesa sulla panchina di Piazza Filattiera, più tranquillo di mamma e nonna perché tutto preso da smàrfon e Corriere dello Sport.

A noi è andata di lusso: abbiamo trovato un maestro napoletano dal nome buffo che, dice lui, pure a Napoli gli storpiano. Ha fatto orario prolungato anziché ridotto. Per cominciare, ha cacciato via a malo modo mamme e babbi, avoli e avole. Quindi, ci ha condotti in classe e riuniti intorno a un tavolone: “Benvenuti. Assettàtevi.”. Dopodiché ha inforcato gli occhiali, sorriso e parlato così: “Ora faremo un giuoco che si chiama crash course – ripetete: crèesc còors, molto bene – ecco qui un taccuino con ventidue pagine e ventidue bottigliette colorate: guardatele, annusatele e scrivete sul taccuino che cosa vi fanno venire in mente. Come dici, tu? Non sai ancora scrivere? E famm’ nu disegn’. Avanti: pronti? Si parte: scrivete e disegnate…”.

1. Barolo Cascina Boschis Dogliani Sylla 1965. Stesso millesimo del maestro. È coinvolgente per freschezza, vivo e delicato, di beva assolutamente agevole. Tra granato e aranciato, brillante. Fiori secchi, nappa, noce moscata, tabacco latakia, note fungine e di creta. Del palato si è detto: filigrane coloratissime e profumate, sottolineate da tannini levigati e presenti, gustosi.

2. Henriot Brut GC Cuvée des Enchanteleurs 1990 (magnum). La cuvée degli impilatori sfoggia un dorato intenso e molta sostanza già al naso. Da consumato, spigliato bon vivant, non gioca con l’età, piuttosto la nobilita in un’eleganza disinvolta e accogliente, non estenuata. Scorze di agrumi e rabarbaro canditi, mela e ananas essiccati, miele amaro, mandorle tostate, noce moscata e kümmel. La bolla è fine e cremosa. Al palato apre su cenni di cioccolato bianco e torrefazione per tornare alla frutta candita ed essiccata, alle spezie bianche e a un magnifico ultimo passo tra ostrica e champignon fresco.

3. A. et J. Beaufort Brut GC Ambonnay 1996. Potente, giovane, eminentemente agrumato in apertura, dal perlage timido che in bocca, tuttavia, riesce in un’effervescenza piena, cremosa e nettante. Dopo l’inizio in arancia, chinotto e menta secca, il naso evolve in rollercoaster e sopporta anche la temperatura infingarda, prima con riluttanza, poi pazientemente: frutta essiccata, arancia rossa, ruta, genziana, spezie bianche, nougat. Ampiezza e presenza gustativa. L’anima è una mineralità di sale e gesso.

4. A. et J. Beaufort Brut Polisy 2002. Pronto. Meno complesso del fratello, disteso, più rapido nello svolgimento degli aromi, si veste di una stoffa più robusta e ha richiami più aperti alla frutta candita e secca, con in più cenni di erbe amare, champignon e miele. Bocca generosa e di grande soddisfazione, con l’effervescenza infusa nella struttura del vino a dargli slancio. Lungo, non come il fratello.

5. Deutz Brut Cuvée William Deutz 1996. Naso evoluto e potente ma abbastanza preciso, tra fiori secchi, frutta sciroppata e note decise di pain grillé, caffè, nocciola e fungo. In bocca è subito mela essiccata e tanto sale; procede coeso, abbastanza rapido nella progressione, di tattilità robusta e connotato dalle note evolutive.

6. Veuve Cliquot Ponsardin Brut La Grande Dame 1996. Oro antico con residui riflessi verdi. Bolla finissima e continua. Note dominanti di funghi freschi e tostatura, quindi neroli, olio di bergamotto, scorza d’arancia candita, fiori secchi e in essenza (caprifoglio), mandorla, curry e un fondo grasso e resinoso. La sosta nel calice evidenzia una complessa trama speziata ed esalta la nota grassa: sono i temi che si ritrovano subito al gusto, mentre la dote floreale-fruttata è compressa sullo sfondo. Vivo, potente e voluminoso. Qualcuno, al tavolo, dice che la grande dama è chiapputella.

7. Bollinger Brut La Grande Année 1996. Altro oro ma più brillante. Bolla finissima e molto persistente – letteralmente deliziosa nelle sensazioni tattili di avvolgenza e delicata piccantezza al palato. Naso di intensità e complessità coinvolgenti: oltre le prime impressioni di tostatura, torrone e pasta di mandorle pulsa un nucleo coeso e dinamico di componenti speziate, minerali e fruttate, progressivo e definito nel loro rilascio: noce moscata, cardamomo, nocciola, pumpernickel, pietra focaia, croccante e quelli più giovanili di frutta rossa, mela golden, arancia. Al palato attacco cremoso che in progressione evolve in freschezza nettante. Definizione aromatica, profondità ed energia fino a tutto il finale.

8. Pascal Doquet Brut Grand Cru BdB 1996. Pain grillé e pasticceria, poi lievito, frutta bianca matura, arancia candita, croccante, marmellata di gelso, il fondo di liquore e fungo secco a testimoniare l’ossidazione. Che però non lo ha sfigurato: non ha il grip, l’allungo e la profondità dei più divini, il frutto resta in secondo piano, però la sua morbidezza infusa di articolata mineralità – è molto sapido e sfuma su ardesia e gesso – e la freschezza residua regalano un sorso composto e di grande suggestione.

9. J. Selosse Brut Grand Cru BdB Initial (sboccatura 2009). Confesso: approccio faticoso, soprattutto per me che incrocio Champagne di questo calibro con la frequenza degli anni giubilari e Selosse ancor più di rado. L’insistenza delle note cerealicole e ossidative (malto, lievito, marinata) cela il resto e lo cede solo di fronte ad altrettanta insistenza nel ricercarlo. E c’è, eccome, ma che fatica: un profluvio di agrumi canditi, uno speziario (cardamomo, anice stellato, pepe bianco, vaniglia), la balsamicità della propoli, la creta, il fungo e, in fondo, un fondo di cucina. Bocca larga, grassa e centrata sul sale, con le note ossidative che, proprio come per l’olfatto, aprono la progressione e in questo caso la chiudono pure, insieme a un soffuso limonoso di conforto.

10. J. Selosse Brut Grand Cru BdB Substance (sboccatura 2/2005). Substance è un distintivo: è quello più estremo, è “il Solera”, nell’Oltremare Nordatlantico dei campagnòfili è the stuff dreams are made of o anche mindblowing. Non discuto: in effetti it really blew my mind per la potenza, la mole e la lunghezza salmastra; per l’evidenza delle note speziate e di pasticceria siciliana. E tuttavia, lo confesso, io fatico a capirlo. I miei sogni sono fatti d’altra stuff. Se qualcuno vuole, me lo spieghi. Se qualcuno me lo offre, capirò anche più volentieri.

11. Bollinger R.D. Extra Brut 1996. Il paragone con la Grande Année, che tanto era piaciuta, intriga. È più austero, teso e fresco, di struttura più ingente, ancor più misurato e regolare nella cessione degli aromi, qui tra l’altro più giovanili. Più delicato al palato e con una bolla avvolgente e finissima. Elegante, radioso.

12. Dom Pérignon Brut Oenotheque 1996. La fortuna del principiante: mai bevuto prima. L’assaggio, per di più, è alla cieca, quindi gli uuuh e gli oooh di sbalordimento precedono l’agnizione e sono di sorpresa, non di ossequio. Magnifico: compressione aromatica e tensione da verdissima età, nessun segno del tempo; nitide e, appunto, verdeggianti le note floreali e agrumate, sullo sfondo quelle gialle di frutta fresca e sciroppata (che non è quella sciropposa delle latte), più discrete quelle tostate, pane e mandorla. Un connubio di energia e misura che definisce una classe a sé, pienamente rivelato al sorso: droiture e precisione allo stato liquido e a quello gassoso, presa ferma e irresistibile al palato, tensione e pressione, grande sostanza agìta con eleganza, allungo perentorio e di profondità abissale.

13. Pol Roger Brut Cuvée Sir Winston Churchill 1996. Fino al pregiato predecessore era forse il mio preferito tra gli Asi. Piazzandolo dopo l’opus magnum, il maestro ha deliberatamente cercato di inculcarmi Wagner e la Götterdämmerung. Resto nonostante ciò molto affezionato a questo vino, il primo grande Champagne bevuto nella mia giovine vita di scolaro. Bolla fine e diffusa, naso stratificato, colmo d’agrumi e spezie dolci, note fumé e tostate molto eleganti, zabaione e caramello. L’evoluzione si sente ma non dispiace: stessa impressione al palato, dove è bilanciata da una freschezza affatto viva, che regola anche le sensazioni più dolci e grasse di frutta caramellata e creme. Alla distanza è proprio la ricchezza del frutto a rievocare la gioia della prima bottiglia: ananas maturo, pesca gialla, mirabella, mela golden, susina e mango. Il tutto, più una punta di sale dolce, splendidamente regolato in progressione e infuso nella lunga cadenza.

14. Edmond Vatan Sancerre Clos de la Neore 2006. Chiudere gli occhi e sognare oltre Sancerre: il Teatro Mariinskij e il fantasma di Sergej Sergeevič, il musicista al quadrato, l’attacco del primo Concerto per Piano. Suvvia, provate. Giallo e oro verde. Il naso è d’intensità fendente e freschezza sorgiva, freschissimo d’erbe (menta, verbena, vetiver, erba falciata), fiori bianchi e gialli, cenni aromatici di finocchio selvatico, cerfoglio e canapa indiana. In fondo, la nota di pietra focaia. Al palato rivela una texture ricca e grande classe, tensione, un’armonia tre volte esemplare tra freschezza, sapidità fendente e struttura, tutte invero azimutali. Il finale è un lunghissimo sussidiario gustativo di mineralogia, un tappeto d’erbe aromatiche, una parata di agrumi. E caprifogli. Al Mariinskij non sono mai stato. Se mai ci andrò, so con quale vino festeggiare l’evento.

15. Domaine Coche-Dury AOC Meursault 2006. Quasi fosse intimidito da tanti vicini di rango, si presenta intabarrato in una foggia modestamente più Meursault che Coche: rotondità, gialli e solarità all’ombra del campanile. Ameno e placido. Esce bene alla distanza, quando l’agrume si tempera e punzecchia, guarnito di una foglia di menta; e quando si slancia in volteggio, piroetta e mulinello per un bell’esercizio di forza, equilibrio e coordinazione. Chiusura agrumata di grande effetto.

16. Didier Dagueneau Blanc Fumé de Pouilly Paradoxe 2000. Fate sei passi indietro. Amo Silex e qui ne risento la travolgente, infusa mineralità di pietra focaia, fumo, sale amaro, sassi che il mare ha consumato. Ma non ritrovo la stessa bocca eminentemente secca, dritta, salina e tesa, né ritrovo così nitidi gli agrumi (limone, pompelmo); qui svettano piuttosto le note intense e dolci di frutta tropicale. Ingente per sostanza, intensità e tessitura, questo sì. Ma so di non sapere.

17. Domaine Tortochot Charmes-Chambertin Grand Cru 1989. Il fondista alla fatica dell’ultimo giro dell’ultima gara in carriera, la campana lo saluta cocciutamente in testa e con le forze al lumicino, alla volata arriva che lui ha consumato ogni riserva, stacca gli ultimi passi in moto inerziale. Gli ultimi passi: tè nero, legno di rosa, chiodo di garofano, nerofumo e sapidità infusa, il frutto è pressoché evaporato, la tensione è risolta. Eppure, dopo il nastro concede un ultimo giro d’onore a passi impercettibili e lenti. Cose d’altri tempi.

18. Toscana IGT L’Ottantanove di Sergio Manetti Montevertine. Annata storta e niente Pergole Torte. A raddrizzarla senza gessi, corsetti o impalcature pensò un genio doppio che, contro ogni ragionevole dubbio, rese semplicemente in un tono minore la classe e la ricchezza di sfumature del grande sangiovese. Il naso è integro, fresco, ricco d’erbe e fiori secchi, il frutto è appassito e in essenza. L’ingresso in bocca è delicato, non cedevole, la progressione regolare, senza incertezze nella fase centrale, pulita e coinvolgente. Finale sottile, col ricordo di frutta rossa che si rifà vivo e con tannini svolti e perfettamente infusi. Altre cose d’altri tempi.

19. Château Cos d’Estournel Saint-Estèphe 1989. Rubino intenso, intatto. Naso sontuoso, elegantissimo e invitante: cassis e altri piccoli frutti neri, bergamotto, cannella, menta, eucalipto, canfora, sandalo, scatola di sigari, cioccolato fondente; il tutto in un quadro coerente, di grande intensità e slancio. Il primo tocco al palato è leggero e rinfrescante, ma è un istante. Il secondo già rende la stratificazione e la setosità in creme di bacche nere, tè english breakfast, cacao, acqua di rose, spezie rosse. Viva sensazione calorica che coadiuva lo sviluppo aromatico. Tannini dolci e levigati a dettare il finale, di lunga e pregevole persistenza speziata e fruttata. Altri tempi e vino faustiano.

20. Langhe DOC Nebbiolo Sorì Tildin Gaja 1995. Sign o’ the Times. Quell’anno uscirono, per dirne pochi, The Sky Moves Sideways dei Porcupine Tree, The Bends dei Radiohead, Maxinquaye di Tricky, Mellon Collie and the Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins e giù con Massive Attack, Sleater-Kinney, Aphex Twin, Björk et cetera. A spopolare furono però Celine Dion, Take That, Shaggy, Mariah Carey, Coolio e giù con Michael Jackson, Scatman John, Enrique Iglesias et cetera. E spopolò anche questo vino.

21. Louis Jadot Grands Echézeaux Grand Cru 1995. Bouquet denso e stratificato di spezie, con chiodo di garofano, curcuma, macis e pepe, quindi cuoio, creosoto, tabacco e frutta rossa sotto spirito. Corposo e serrato al palato, mantiene la promessa di speziari e in più evoca incensi, fumerie e magazzini di stoffe, è ben evoluto ma molto piano per l’appellation, asserragliato in un sopore senza troppi sogni e innervosito da tannini alleganti.

22. Dom. Marquis d’Angerville Volnay 1er Cru Monopole Clos des Ducs 2001. Il primo giorno di scuola si chiude come si era aperto: con l’ora che si attendeva più impegnativa, quella dal titolo che suscita timor sacro, e che invece va via (e va giù) con una disinvoltura goduta attimo per attimo. Quattordici anni di cesello, alambicco e ozio creativo. Ne riesce un bambino prodigio, giovane ma in grado di far cose da grandi. Evidentemente ha frequentato una scuola diversa dalla nostra, quella di noi che iniziammo piccoli gelmini e che ci ritroviamo piccoli giannini. Lui, di sicuro, non conosce fatiscenze, né carenze d’organico.

PS – Questo post è dedicato ex aequo al maestro, a tutti i docenti e a tutti gli alunni dei gradi inferiori della scuola dell’obbligo: bimbi, lo dico con rammarico ma pare proprio che a noi grandi abbia detto meglio. Alla vostra. E buon anno, in barba al degrado.

PPS – A proposito: Buon Compleanno, Signor Maestro. Mio papà dice che Ponsot è un cadò con cui sfiziarsi bene. Ma chi è Ponsot? E che è un cadò?

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

6 Commenti

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landmax

circa 9 anni fa - Link

Una curiosità: cosa non va nello stile di Sori Tildin '95 da lei bevuto? Cosa manca (o cosa c'è di troppo)?

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Emanuele

circa 9 anni fa - Link

Quaestio de gustibus, quindi opinabilissima. Trovo suggestiva, a volte entusiasmante, la resa di un vino nella sua evoluzione. Non amo, invece, l'artata durevolezza dei vini che paiono fatti per mantenere ultra vires il tratto e il piglio della gioventù, specie se informati a potenza, impatto e opulenza. In quel vino c'èra tanto di tutto quella sera, esattamente come c'era tanti anni fa. Il festeggiato ci ha fatto un gran regalo a portarlo per la festa. Riassaggiarlo è stato importante. Il risultato? Un organolèmma indicizzato. Ma senza partecipazione, né progressione gustativa. Inopinatamente fresco al servizio, a seguire immobile. E durante i ripetuti assaggi: imponente, voluminoso più che corposo, disunito, allegante, stringe la bocca con tannini come corsetti, caldo di un calore distale e quasi bruciante, dominato fin dalla fase centrale da lasciti gustativi tra fuliggini, grafiti, il fondo del tè nero e i Caran d'Ache (ma in una confezione monocolore). Profumo intenso, quasi denso di frutto all'inizio, poi è stato come se il frutto s'immergesse in uno sciroppo ancor più denso, alcolico e poco decifrabile. Troppo facile, nevvero? Le dico: più d'un campione del gusto di ieri - il mio per primo! - finisce oggi per somigliare al busto-campione di un'ipotetica gliptoteca enoica. Forme studiate, perfette, tristemente inanimate. Ma, come dicevo, è quaestio de gustibus. E se lei è di diverso parere, sarei onorato di leggerlo.

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landmax

circa 9 anni fa - Link

Grazie davvero per la più che esauriente risposta. Dato che ha chiesto il mio parere, le riporto le mie note d'assaggio su detto vino (nov. 2014). Con questa doverosa premessa: ero (e sono) tendenzialmente prevenuto su tutto ciò che Gaja produce, eccetto il Barbaresco. "Il vino, buono sin da subito, esce prepotentemente alla distanza. Il primo naso è floreale (azzardo una rosa appassita) e fruttato (marasca), poi pian piano escono i terziari (rabarbaro, cioccolato), il tutto in un quadro davvero articolato e mobile. La bocca ora è perfetta: l’estrazione tannica è puntiforme, la freschezza contrasta magistralmente la dolcezza del frutto, il finale è ampio e profondo. 95/100". A leggere invece le sue, di note, sembrerebbe che abbiamo bevuto vini diversi. Allora mi chiedo (e fermo restando il motto - sempre valido - che "non esistono grandi vini, ma solo grandi bottiglie"): è possibile che la sua bottiglia non fosse del tutto a posto? O attraversasse una fase di chiusura (magari temporanea)? Perchè il vino che ho assaggiato io - ripeto: partendo stra-prevenuto - ha avuto una grande progressione nel bicchiere, il vino era in piena beva e di calore alcolico manco a parlarne (del resto è annata fredda, mi sembrerebbe proprio strano). Poi, se le vedo aggiungere: in quella stessa giornata ho bevuto anche Barbaresco '74 dello stesso produttore: non c'è stata partita (per il secondo, ovviamente). Ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, così, per onestà intellettuale.

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luca

circa 9 anni fa - Link

"il naso evolve in rollercoaster".....montagen russe pareva brutto?? ma come fate a scrivere certe cose....mah

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Emanuele

circa 9 anni fa - Link

Lo facciamo perché amiamo gli ipercorrettisti come fratelli, e ci dispiacerebbe assai se restassero confinati in perpetuo al loro fosco e muscoso scotoma. Perciò li stimoliamo al coming-out - chiedo venia: al disvelamento - con forestierismi e altri buffi stratagemmi, per la gioia nostra e di tutta la comunità.

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Andrea'S

circa 9 anni fa - Link

Chapeau... And the winner is... "Incensi, fumerie e magazzini di stoffe"

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