Non c’è pace in Champagne. I vigneron manifestano contro le tasse a Chalons

di Pietro Stara

Un secolo fa. Dopo la devastazione fillosserica, che distrugge gran parte del patrimonio viticolo Francese, viene approvata una legge (1907) che impone al produttore di dichiarare il volume della propria vendemmia, delle riserve di magazzino e fa divieto di aggiunta dello zucchero al mosto. Successivamente, tra il 1908 ed il 1912, vengono promulgati i decreti per delimitare le aree di produzione di Champagne: Cognac, Armagnac, Banyuls e Bordeaux.

Nella prima legislazione sullo Champagne, quella del 1908, non viene contemplato alcun dèpartement dell’Aube: la situazione degenera presto in proteste molto dure che portano oltre 20.000 persone a scendere in piazza, tra il 1909 ed 1910, e a formare una Ligue de Défense des Vignerons de l’Aube non soltanto contro il governo, ma anche verso quei négociants che si riforniscono di uve nel Midi per poi far vinificare altrove lo Champagne. Contemporaneamente, i produttori di Champagne della Marna, preoccupati sia della concorrenza sleale dei négociants che del possibile ingresso dei produttori di Aube, prima devastano le cantine di Damery, di Dizy e Ay (11 aprile 1910) e poi, il giorno seguente, marciano su Ay ed Epernay sin tanto che il governo non manda loro oltre 15.000 soldati a disperderli. I soldati rimarranno a presidiare la regione per tutto l’anno successivo. Le vendemmie abbondanti del 1911 e 1912 calmano la situazione che si andrà a risolvere soltanto nel 1927 quando la legislazione corrente permetterà ai 71 comuni dell’Aube di utilizzare l’Appelation Champagne, che specifica, tra le varie norme, l’uva da usare nella produzione del vino.(1)

Oggi. Dopo cent’anni di calma apparente, 1.500 produttori sono calati da Epernay, da Troyes e da ogni dove della Champagne a Châlons-en-Champagne per dimostrare contro l’aumento delle tasse, di vario tipo e foggia, e soprattutto contro l’inasprimento dei diritti di successione. I novelli berretti verdi guidati dal John Wayne locale, Pascal Férat, presidente della Svg, l’unione sindacale dei vignaioli di Champagne, hanno deciso di scagliarsi in una lotta senza terroir contro i vietcong guidati dal temibile Hollande. Sembra di trovarci in una storia piuttosto consueta: a fronte di un depauperamento sempre più evidente di risorse economiche e finanziarie, i governi si buttano all’impazzata nella ricerca di denaro dove sanno di trovarlo. Dove dovrebbero è un’altra faccenda. Di fronte a ciò, settori che godono di residui di rendite piuttosto evidenti si chiudono in formazioni a testuggine, cercando di mantenere, il più possibile, la posizione acquisita. La battaglia, a differenza di un tempo, non si svolge esclusivamente entro i confini locali: avvoltoi internazionali stazionano in attesa di gettarsi sul primo cadavere.

Da questo ho imparato che la lezione giunta a noi da Oltreoceano ci può tornare di qualche utilità: “un buon esempio di manifestazione fu il Boston Tea Party, dove degli americani offesi travestiti da pellerossa buttarono il tè inglese nella baia. Poi, dei pellerossa travestiti da americani offesi buttarono veri inglesi nella baia. Quindi gli inglesi travestiti da tè si buttarono l’un l’altro nella baia. Alla fine, dei mercenari tedeschi vestiti solo coi costumi delle Troiane si buttarono nella baia senza motivo alcuno.” (2)

1. Marcel Lachiver, Vins, vignes et vignerons, Histoire du vignoble français, Librairie Arthème Fayard, Paris 1988.
2. Woody Allen, Citarsi addosso, Bompiani, Milano 1996.

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

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