Nella mia Langa da bambino, viti di dolcetto ovunque. Ora siamo Patrimonio dell’Umanità UNESCO

di Pietro Stara

Si cenava presto al mio paese, e in tutti i paesi limitrofi; verso le sette. Anche d’estate. Finito di mangiare, mia madre, mia zia e mia nonna ci chiedevano di accompagnare il nonno per la passeggiata di smaltimento. Allora io e mio fratello Andrea, di mala voglia, ci incamminavamo verso la porta di casa, in attesa che il nonno fosse pronto per uscire. “Bastianin” per i paesani in confidenza, Giovanni per l’anagrafe, nonno Gianni per noi, Maestro per i più. Perché al paese, come in tanti paesi, il maestro era il Maestro con la M maiuscola. Soprattutto per quei vecchi che avevano fatto sì e no la seconda elementare. “Ma che ne sapevano più di te”, come diceva mio nonno, anche se avevo appena finito la quarta elementare.

Il giro con il nonno era peggio della via crucis: si fermava a chiacchierare con tutti quelli che incontrava e, in estate, erano tutti fuori dall’uscio a prendere il fresco della sera. Parlavano in dialetto stretto, un piemontese slargato e sgarbato, come diceva mia nonna Germana, che era un’elegante purista della cadenza torinese. Il giro tondo del paese finiva con l’immancabile gelato di Gemma. Quando non parlava con gli altri, mio nonno discuteva con me e con mio fratello. Più che discutere, dispensava a piene mani. Ricordo frasi ripetute per decine di volte, raccomandazioni, illazioni, e promesse non mantenute. Una di queste riguardava il fatto che potevamo multarlo, di dieci centesimi a botta, ad ogni intercalare di “neh”, che in Piemonte sta al “belin” di Genova come due incognite di un’equazione matematica perfetta. Sino a che l’intercalare fosse scomparso definitivamente, cosa che in vita non avvenne mai.

Tra le tante affermazioni ripetute, ve ne era una che riguardava il nostro paese, Farigliano: “siamo il primo paese della Langa, al di là del Tanaro.” Per me “essere primi” era un motivo di orgoglio, anche solo per il fatto che gli attribuivo una valore gerarchico di tipo numerico. Non come quelli di Carrù, quelli del bue grasso, che quando arrivi da loro hanno scritto sul cartello: “Porta della Langa”. Noi eravamo l’ingresso: la porta era già stata valicata! La Langa, poi, era un territorio della memoria: i confini ci sfuggivano, ma sapevamo che stava dentro la provincia Granda, quella di Cuneo, e che andava da noi verso Alba e poi un po’ più un là, in un piccolo pezzo dell’astigiano. E che verso la Liguria c’era il fiume Bormida. “Collinacce che sembrano mammelle, tutte annebbiate dal sole[1]”, paesi e viti. E viti dovunque. Da me il dolcetto.

Ora siamo Patrimonio dell’Umanità: con la P e con la U maiuscole. Lo capisco, come quando eravamo il primo paese della Langa. Perché, dimenticavo, da noi la Langa è femmina e singolare. Ma un po’ no, non lo capisco. E quelli intorno a noi chi sono? Patrimoni di un’umanità minore? Da casa mia vedo altre colline e altre montagne, altri paesi, altre genti. E non ne vedo tante altre. Sarebbe ora che pensassimo che tutto è patrimonio di tutti.

[Foto: Marco Cananzi Photography]


[1] Cesare Pavese, Paesi tuoi, Torino, Einaudi 1961 (prima edizione 1941; scritto nel 1939)

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Pietro Stara

Torinese composito (sardo,marchigiano, langarolo), si trasferisce a Genova per inseguire l’amore. Di formazione storico, sociologo per necessità, etnografo per scelta, blogger per compulsione, bevitore per coscienza. Non ha mai conosciuto Gino Veronelli. Ha scritto, in apnea compositiva, un libro di storia della viticoltura, dell’enologia e del vino in Italia: “Il discorso del vino”.

2 Commenti

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Federico

circa 10 anni fa - Link

Bello. Grazie!

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Gianluca Zucco

circa 10 anni fa - Link

I luoghi cambiano, i ricordi no. Anche il mio era Giovanni e maestro, "u professuri", a Castelbuono (Madonie), il passeggio, il Circolo, le storie di caccia e di cani più che di prede, "a rranita di limone" di Fiasconaro, le schiere di eterni alunni. Grazie Pietro.

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