Nella sua lettera Angelo Gaja ne ha per tutti: guide, colleghi, pratiche. Noi ne abbiamo per Angelo Gaja

di Alessandro Morichetti

Nel mondo dei cronisti del vino che pensano di contare è ormai in voga da anni un mantra che religiosamente recita: “Mi ha telefonato Gaja”. Segue sorriso compassato da chi sente di avercela fatta. Alla trentottesima persona che me lo ha ripetuto orgogliosa ho risposto: “Angelo Gaja chiama tutti. I veri fighi oggi sono quelli che lo chiamano”. Quando succede, all’altra parte ottengo gelo e sguardo triste.

Ci sono poi anche pochissime foto di AG online, e tutte molto serie.

Da qualche tempo, inoltre, è in voga l’uso di pubblicare pari pari i comunicati sullo stato dell’unione che periodicamente il Gaja invia a un indirizzario segreto, rigorosamente senza mezzo commento a margine, proprio come fossero le tavole della legge (d’altra parte quando Mosè è sceso dal monte con le tavole lì sopra c’erano i comandamenti, e nemmeno mezzo commento). Da qui ad ad annoverare Gaja tra i contributori della propria rivista o blog è un attimo, tanto è gratis.

Quindi l’ultima comunicazione sullo stato dell’unione firmata Angelo Gaja, datata 28 maggio 2014 la pubblico con le note a margine. Anche se non l’ho ricevuta direttamente (sì, gli ho telefonato ma era occupato, capirai, è sempre al telefono). Vamos.

«Sul calo inarrestabile del consumo di vino in Italia si sprecano le analisi; mai che si dica della CONFUSIONE che prospera rigogliosa ed allontana i giovani consumatori. La funzione alimentare del vino si va via via esaurendo in favore di quella edonistica: più che di pancia si beve di testa.»

Un anonimo ha commentato: “Angelo, vuoi che muoro o mi mandi una di quelle tue bottiglie da 300 euro?”. Gli fa eco un altro anonimo: “Sono perfettamente d’accordo col grande Gaja, tanto che da tempo ho adottato il suo Costa Russi 2010 come mio vino quotidiano”. Più tranchant un terzo: “È francamente imbarazzante che un produttore che vende a cifre inavvicinabili per il 99,9% della popolazione lamenti questa deriva edonistica”.

A proposito di calo dei consumi, invece, molto interessante il pensiero di Jovica Todorovic dell’enoteca Unoevino a Roma. Per lui il calo del consumo del vino è legato a questi fattori:

a) bere vino era un gesto e non lo è più (cambio delle abitudini, problema socio/culturale)
b) i beni alimentari hanno avuto per il secondo anno consecutivo un calo, questa volta del 6% rispetto all’anno precedente (problema economico)
c) l’Italia del vino è commercialmente immatura (approssimazione a qualsiasi livello, spaventosa e imperante)
d) che riprende il punto c, il sistema vino non ha saputo adeguarsi ai tempi imboccando una strada che ha collocato la bottiglia tra gli status symbol e non più tra i beni di largo consumo. Hanno fatto molto meglio i ragazzi della birra che si sono riposizionati senza intaccare le abitudini se non incrementando i consumi. Un fottutissimo errore di strategia di marketing.

Occhio, Teo, secondo me ti arriva a breve una telefonata col prefisso 0173. Gaja prosegue:

«Così crescono le nicchie di consumatori che vogliono il vino naturale, biologico, biodinamico, sostenibile, libero, pulito, giusto, … e dei produttori che ne assecondano la richiesta; e si invocano nuovi controlli e certificazioni. Ben vengano, purché non si faccia ricorso a denaro pubblico.»

Fin qui direi tutto regolare ed interessante. Sul discorso del denaro pubblico sono poco ferrato ma passiamo oltre.

«Il CODICE DEL VINO disciplina le pratiche consentite per fabbricarlo e permette di tutto e di più: basterebbe stilare un elenco delle pratiche più invasive, ed obbligare il produttore che le adotta ad indicarle sulla contro-etichetta.»

Eh? Senza scendere un po’ nel dettaglio rimaniamo nel regno della supercazzola. Definiamo “invasivo” tutti insieme? Senza far scoppiare la terza guerra mondiale, intendo. Per capire: è invasivo diminuire il tenore alcolico? Mettere il 5% di cabernet nel Barolo (si ok è illegale, facciamo a capirci)?

«Il vino, a causa della doverosa azione di prevenzione dell’abuso, finisce sciaguratamente accomunato e confuso con i superalcolici e le bevande dissetanti addizionate di alcol, nonostante storia, cultura e valori profondamente diversi.»

Sì, vabbè, è una vita che la blogosfera vinosa ci prova a dire che i due fatti sarebbero ben distinti. Ma repetita iuvant, mettiamola così. Superalcolici e altre pozioni che, tra l’altro, mi risultano in crescita nei consumi. Oltre al danno, la beffa?

«Le GUIDE DEI VINI sono in Italia in numero quintuplo rispetto alla Francia. Copiose anche le classifiche dei 100 MIGLIORI VINI italiani, inevitabilmente le une diverse dalle altre. Di PREMI GIORNALISTICI, istituiti a beneficio di chi scrive di vino, ce ne sono in Italia di più che in tutti gli altri Paesi europei messi assieme. Si continua a fare promozione turistica trascinando il VINO IN PIAZZA, quando la mescita delle bevande alcoliche dovrebbe essere autorizzata solamente nei locali dotati di licenza. Mai che un produttore di grandi volumi, uso a dirigere la propria azienda, rifiuti la veste di VIGNAIOLO nonostante il vocabolario di lingua italiana definisca tale figura: “chi coltiva (manualmente) la vigna”.»

Effettivamente son dati di fatto: industriali del vino fieri di esserlo non se ne sono mai visti. Perché le guide sono il quintuplo che in Francia? Perché si moltiplicano i premi? Chi siamo noi? E dove andiamo noi?

Sempre su questo punto, qualcuno la pensa diversamente e ho trovato in giro questo commento. L’autore preferisce restare anonimo e gli daremo un nome di fantasia. Lo chiamaremo Maurizio Gily: “Io invece non sono d’accordo. Le guide, i premi, le discussioni sul naturale di sicuro creano confusione, ma riguardano vini che occupano forse il 2 per cento del mercato. Come sempre Gaja parla dei vini di cui si occupa lui, non del vino in generale. Il vero dramma è che cala il Tavernello”.

«Si trascinano stancamente le POLEMICHE, animate sia dai produttori che dai numerosi consiglieri esterni, sul modo di intendere il vino, produrlo, venderlo.»

“Si trascinano stancamente le POLEMICHE” = ho appena fatto un’altra polemica (mito!). Rientra di diritto tra i paradossi honoris causa della logica col nome “Paradosso di Gaja”.

«Per contrastare il calo del consumo occorre diradare la confusione e per farlo servono rispetto e coraggio.»

Angelo Gaja, 28 maggio 2014

Ite, Missa est. E uscendo, per favore, diradatemi un po’ di confusione.

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

9 Commenti

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flavio

circa 10 anni fa - Link

"Il CODICE DEL VINO disciplina le pratiche consentite per fabbricarlo"...FABBRICARLO!

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Stefano Cinelli Colombini

circa 10 anni fa - Link

Angelo Gaja è un grande del vino ed un'immagine insostituibile del Made in Italy nel mondo, ma (per sua fortuna) la vita non l'ha costretto a conoscere la giungla di carta che regola il nostro settore. Gliel'ho detto, ma non ci crede. Così come in una precedente lettera "urbi et orbi" auspicava una normativa sui diritti di reimpianto che già esiste da decenni, ora parla di un Codice del Vino che nessuno ha mai visto e fa uno slalom temerario tra leggi e regolamenti. Bon, è un grande e ha fatto così tanto per il vino italiano nel mondo che non si può pretendere, in tutta onestà, che conosca anche le miserie di leggi e cavilli che appestano noi che tiriamo la carretta ogni giorno. Viva Gaja comunque, e se qualche volta pontifica a sproposito pazienza.

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EnzoPiet

circa 10 anni fa - Link

Emblematica l'ultima frase secondo cui il consumo di vino sarebbe in calo perchè i giovani consumatori sarebbero confusi. Il solo fatto che uno che vende bottiglie da 300 euro pronunci la parola "giovani" è di suo ridicolo. Ma perchè lo intervistate!?!?!?!?!?!

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ornella

circa 10 anni fa - Link

non e' un'intervista e' una lettera di Angelo Gaja

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Ildebrando

circa 10 anni fa - Link

In Italia vi è troppo vino acquistabile ovunque e a tutti prezzi anche irrisori che non fanno diventare questo squisito prodotto agricolo uno status symbol come accade invece in tutto il mondo. Possiamo fare la stessa similitudine con le meraviglie artistiche italiane ammirate e invidiate da tutto il globo e trascurate da noi italioti.

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Pietro Ghilardi

circa 10 anni fa - Link

Onestamente caro Alessandro io questo tuo articolo proprio non l'ho capito, e a dir la verità mi sembra più che altro un attacco personale ricco di populismo, scritto con rabbia e volendo volutamente mal interpretare ciò che è scritto nella lettera. La polemica sui prezzi dei vini Gaja la trovo ridicola quanto Italiana (bravo lui che riesce a venderli). Prima di tutto si stava rivolgendo al calo dei consumi del vino in Italia in generale, non dei suoi, e a mio avviso giustamente parla della perdita di significato del vino nell'alimentazione. Credere che Angelo Gaja non intenda i suoi vini anche e soprattuto in chiave edonistica significa essere ignoranti del suo passato e della storia della cantina, lui stava parlando del vino in generale non dei suoi in particolare. La verità è che il consumo del vino per i miei nonni era parte dell'alimentazione, per la mia generazione è stato uno status symbol (se vi ricordate in discoteca si ordinavano bottiglie di Champagne per essere fighi non di Vodka. I corsi di sommelier erano così popolari che avevano più avvocati ed architetti che veri sommelier fra i corsisti), per la generazione di oggi è solo una delle alternative. Occupandomi sia di distribuire vini che alcolici posso francamente notare come sempre più spesso, e grazie alla crescente professionalità dei barman italiani, i cocktails abbiano preso piede nella clientela più giovane di tutte le fasce economiche come fra l'altro è sempre accaduto in tutto il mondo.

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Alessandro Morichetti

circa 10 anni fa - Link

Caro Pietro, grazie del commento che mi permette di precisare, visto che tra i sentimenti più assenti qui ci sono attacco personale (?) e rabbia (maddeché). AG è un leader proprio perché ha saputo imporre certo standard al mercato. Massimo rispetto. Ma una punzecchiatura la concedi, rozza come voleva essere? Ci sono poi vari altri punti in cui si osservano aspetti ancor più rilevanti per me: si parla genericamente di pratiche invasive, è lecito chiedere a chi solleva la questione a cosa si riferisca o suona peccaminoso? Io lo trovo stimolante e un uomo di mondo come Angelo mi auguro non manchi di apprezzare che si ascoltano le sue parole e che si intende andare a fondo nella comprensione, specialmente qui. Solo che, conoscendone bene il grande carisma, trovo molto più stuzzicante e utile non partire da un tappeto rosso ;-).

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Lorenzo Biscontin

circa 10 anni fa - Link

Caro Alessandro, non vi tedierò con il fatto che dal 2008 sostengo in ogni occasione ed ambito il fatto che il vino deve ritrovare piacevolezza e normalità anzichè appiatirsi sull'elitismo, ricavandone sbertucciamenti da parvenu che non ha ancora capito l'importanza e la specificità del mondo del vino. Non entro neanche sul fatto che parlare oggi della funzione alimentare del vino è più antistorico che anacronistico (si deve tornare a bere vino anche quando si ha sete e non solo quando si ha fame, ossia quando si mangia), nè su quello che lo stesso Gaja che nel 2012 considera positivo il calo della vendemmia, l'anno dopo avverte del pericolo concorrenziale rappresentato dalla Spagna perchè ci ha superato nella produzione vinicola (un po' di confusione c'è). Scrivo per farvi vivissime C O N G R A T U A L A Z I O N I perchè siete gli unici a non pubblicare pedissequamente le bolle papali emesse da Gaja. Chapeau! P.S. per contrastare il calo dei consumi bisogna modificare la percezione del vino come categoria merceologica, svecchiandolo, rendendolo meno barboso, elitario e scostante, ossia il contrario della visione di Gaja (che ve invece benissimo per la nicchia in cui si collocano i suoi vini).

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