Nebbiolo Prima 2014. Il succo delle Anteprime di Barolo e Barbaresco in 7 punti sicuramente lunghi

di Alessandro Morichetti

La settimana di Nebbiolo Prima è un esercizio utile e un po’ stancante per analizzare le nuove annate di Barolo e Barbaresco (e Roero). Gli assaggi seriali sono un banco di prova in cui scoperte, conferme e cantonate si alternano. Io preferisco altre modalità ma l’assaggio di campioni in batteria ha qualche vantaggio: pregiudizi al minimo e sguardo verso l’ignoto. Ho raccolto alcune riflessioni in 7 punti probabilmente approssimativi ma sicuramente lunghi. Quindi ecco Nebbiolo Prima 2014 secondo me.

1) Barolo 2010. Una grande annata classica e fresca, da comprare, iniziare a bere o aspettare con molta pazienza. Le aspettative erano ragionevolmente alte e sono state rispettate. Vini di equilibrio, tannini estratti bene e bilanciati dal giusto volume di polpa a centro bocca. Da comprare e comprare e comprare. Ma io sono venditore quindi il mantra sarà vendere, vendere, vendere. Accorri numeroso. Di questa annata sentiremo parlare a lungo. Faccio solo un nome: Barolo Sarmassa 2010, Brezza.

2) Barbaresco 2011. Annata calda, in cui a qualcuno è scappata la mano tra alcol, morbidezza ed estrazione amarognola sebbene questo sia rilevante ma non indicativo fino in fondo. I vinificatori più sicuri hanno messo insieme vini centrati, impeccabili e fedeli: non starei troppo a fossilizzare l’attenzione sui tanti meno convincenti o più grevi. Non l’annata del secolo ma chi ha portato in cantina uva ben matura non ha timori. Oltre al mio campione di giornata, punteggiato rigorosamente alla cieca, Rabajà 2011 Cortese (che vendo), occhi aperti sul Castello di Verduno (classico e Rabajà: azienda da visitare alla svelta) e sul Serragrilli 2011 della per me ignota azienda Bricco Grilli. Cerco su Google e trovo: “Nebbiolo Prima | Barbaresco 2009, tra Neive e Treiso. Impressioni di un deb“, dove Giovanni Corazzol tesseva le lodi del Serragrilli 2009 su un sito a caso. Vedremo.

3) Distinzione per comuni. Utilissima logisticamente per gli assaggi, mi suona fuorviante per trarre conclusioni, sebbene sia prassi come potete vedere nei video di Albeisa che raccolgono le opinioni dei giornalisti partecipanti. Dire “i vini di Castiglione Falletto” o “i vini di Barolo” ha poco senso perché i vari comuni, specie i più grandi come La Morra e Monforte d’Alba, hanno al proprio interno una quantità molto vasta di caratteri pedoclimatici differenti, microclimi ed esposizioni non riducibili all’unitarietà. Nella maggior parte dei casi anche una stessa Menzione Geografica Aggiuntiva viene intesa e proposta dai produttori con caratteristiche diverse tra loro. Basti per tutti l’esempio Villero a Castiglione: per Elena Mascarello (Mascarello Giuseppe) è il Barolo più femminile della casa, per Claudio Fenocchio (Giacomo Fenocchio) è il Barolo più polposo e ricco, per Brovia è una via di mezzo tra i cru aziendali. Bah. Ho trovato Barolo raffinati in ciascuno dei comuni come Barolo ruvidi, più scomposti o problematici. Quella del comune è solo una delle variabili e nemmeno la più importante per un’analisi approfondita. Necessaria ma sufficiente a nulla: men che meno a trovare un tratto comune tra vini diversi.

Ascoltate i video con le impressioni dei giornalisti poi ne riparliamo.

Dice Carlo Macchi (Winesurf) al minuto 2:00: “La diversità tra i comuni è una cosa interessante. Castiglion Falletto secondo me è, al momento, il migliore con vini profondi, già rotondi e pronti da bersi ma con grande prospettiva. Assolutamente una tragedia Monforte, dove non si sentono profumi, i vini sono scomposti, i tannini sono verdi. Qualcosa di buono c’è ma la base fa un po’ terrore. Serralunga bene come sempre, ancora molto morbidi rispetto alla profondità che potranno avere”.

È  poi la volta di Gigi Brozzoni (Guida Veronelli, minuto 1:23 del video sotto): “I vini sono tutti particolarmente buoni. Dei tre comuni (assaggiati in mattinata), quello che mi è piaciuto di più questa mattina è stato Monforte. Castiglione e Serralunga un po’ ripetitivi, con uno stile ingessato, mentre invece Monforte ha più varietà, più cose da raccontare. Un’annata che immaginavo più favorevole alla zona di Serralunga e invece non si è rivelata tale”. Insomma, tutto e il contrario di tutto. (Voi però date retta a me e ci pigliate di sicuro).

Premesso questo, i Barolo di La Morra sono quelli su cui c’è più da lavorare per aspirare all’eccellenza della denominazione.

4) Assaggi alla cieca. Strumento utile ma non indispensabile, vengono utilizzati dall’organizzazione per garantire che tutti i vini presentati siano degustati senza condizionamenti. Per me assaggiare alla cieca 80 vini con la stessa attenzione è stancante. Assaggiando in coppia col mio compare Maurizio Silvestri abbiamo ipotizzato a margine una modalità che mi piace: batterie scoperte per scremare più velocemente e poi riassaggi bendati con uno che sceglie lasciando la prima parola all’altro. A parte questo, però, ci si chiede da tempo se non sia il caso di lasciare libertà di scelta ai degustatori. Le bottiglie sono coperte per tutti poi ciascuno potrebbe avere la lista anonima o quella completa. Sarebbe probabilmente una soluzione migliore.

5) Qualcuno era modernista. Buone notizie dal fronte. Dopo tesi (i classiconi storici) e antitesi (che per comodità chiameremo Barolo Boys) sembrano esserci tutti gli elementi per la sintesi. La guerra è finita, gli ultimi giapponesi rimasti sono orgogliosi ma non disturbano. Il nebbiolo in botte grande viene bene con igiene, pulizia e travasi. In botte piccola servono molto senso della misura ed estrazioni limitate all’osso per non inchiodare un corredo tannico già poderoso di suo e nondimeno la gamma degli odori. Dolcezze eccessive, toni boisé evidenti e torrefazioni astruse poco hanno a che spartire con l’eleganza di rosa, viola, anice, fragolina, amaretto, terra smossa e tartufo dei grandi Barolo che strappano il cuore. Assaggiati e riassaggiati alla cieca, tra i vini interessanti e buoni con cui non avevo ancora mai trovato sintonia ci sono stati Barolo Via Nuova 2010 di Chiara Boschis (E. Pira e figli) – che con l’ingresso in azienda del fratello Giorgio sta rivisitando “in grande” la vinificazione soprattutto dei Barolo con esiti più che positivi – e Sorì Ginestra 2010 di Conterno Fantino, che non più tardi di qualche mese fa aveva messo tutti d’accordo con l’annata 2009 su The World of Fine Wine.

6) Roero 2011. 17 vini in tutto, nessun condottiero, parecchie assenze, annata calda anche qui ma gestione mediamente meno felice che oltre Tanaro: qualche imprecisione olfattiva e tannini asciuganti non contribuiscono ad una fotografia coloratissima sebbene qualcosina di buono sia uscito. Da riassaggiare con più attenzione Pier Angelo Careglio, Val dei Preti di Matteo Correggia e Fratelli Calorio: vorrei inquadrarli meglio. Mi rivedo nell’eterno dilemma di Carlo Macchi: buon vino quotidiano da nebbiolo o fratello minore di Ba. & Ba.?

7) Capitolo Riserve. Non da oggi si va dicendo che vini dall’invecchiamento già lungo (specie il Barolo: minimo 38 mesi di cui 18 in legno; per il Barbaresco: minimo 26 mesi di cui 9 in legno) rischino di essere inficiati da un surplus di permanenza in legno, per quanto il Disciplinare prolunghi l’invecchiamento (62 mesi per il Barolo e 50 mesi per il Barbaresco) senza che questo debba avvenire necessariamente in legno (sempre 18 e 9 mesi).
All’atto pratico ci sono due verità contrapposte: i migliori vini di ciascuna denominazione sono prevalentemente Riserva (Etichette Rosse di Bruno Giacosa, Monfortino, Cà d’Morissio) ma è altresì vero che in molti casi le Riserve abbiano una marcia in meno arrivando in bottiglia quasi sfibrate da una prolungata permanenza in legno.
Da segnalare le Riserve 2009 Muncagota e Rio Sordo – quelle in assaggio tra le 9 prodotte – della Produttori del Barbaresco (occhio: si dice IL lambic e LA PdB) e il Rabajà 2009 del Castello di Verduno: per il resto non moltissimo. Idem su Barolo, ci vorrebbe il lanternino. Però è anche vero che ci sono Riserva de facto a cui non si può dire proprio niente.

Conclusioni. Il numero delle bottiglie prodotte è in crescita: con l’annata 2010 il Barolo ha superato per la prima volta i 12 milioni di pezzi. Cresce il numero di etichette e il doppio percorso di degustazione (soft e hard) è stato un buon palliativo ma chi sono io per sottrarmi al suggerimento di un nuovo formato della manifestazione per tirare dentro i nomi blasonati che si tengono alla larga? Sarebbe un’Armata Rossa mica da ridere.

Certo di essermi dimenticato qualcosa di fondamentale per le sorti dell’umanità, vi rimando al prossimo anno.

[Video: Albeisa. Disclaimer per un mondo migliore: l’autore ha avuto, ha o potrebbe avere in futuro rapporti commerciali con alcune delle aziende menzionate. Diffidate delle imitazioni.]

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Alessandro Morichetti

Tra i fondatori di Intravino, enotecario su Doyouwine.com e ghost writer @ Les Caves de Pyrene. Nato sul mare a Civitanova Marche, vive ad Alba nelle Langhe: dai moscioli agli agnolotti, dal Verdicchio al Barbaresco passando per mortadella, Parmigiano e Lambruschi.

4 Commenti

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Fabrizio

circa 10 anni fa - Link

Mi dispiace ma ho trovato il testo meno interessante del titolo. Speravo che la foto del PC con lista dei vini, sputacchiera e 4 calici non fosse per dire (non so quanto inconsciamente) 'io vado ad assaggiare i Barolo e i Barbaresco in modo professionale per voi'. Purtroppo invece è difficile capire da questo testo qual'è il vero valore aggiunto dell'essere stati a quella degustazione. Devo essere un puro che ancora pensa che basti dire qualcosa sul vino su un sito per essere accreditato a queste manifestazioni. Il testo è pieno di generalizzazioni per cui si è addirittura portati a pensare che le riserve di un tale annata siano tutte uguali. Scrivere di vino non è affatto facile di per sé, ma da occasioni come questa ci si aspetterebbe di più. Forse anche chi crede di promuovere Barolo e Barbaresco così, se lo meriterebbe.

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Enzo

circa 10 anni fa - Link

Concordo.

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