Montalcino at its best: Stella di Campalto e Podere Salicutti

Montalcino at its best: Stella di Campalto e Podere Salicutti

di Emanuele Giannone

Noi siamo come le foglie che nel tempo fiorito delle anteprime rinascono e in quel tempo, simili a loro, abbiamo diletto a farci sospingere di qua e di là. Ma non casualmente: non ignoriamo il bene e il male, sappiamo scegliere la direzione e spesso ci dice bene anche muovendoci a intuito. Così, per la serie dei movimenti intorno all’anteprima di Montalcino, eccone due nuovi: uno è un recupero – avevo scritto del rimpianto per non aver ancora incrociato un paio di vini per me imprescindibili e ne ho recuperato uno; l’altro è un movimento organizzato con atterraggio e sosta lunga.

Il recupero.
Più bevo i suoi vini, più trovo corretto un paragone: Francesco Leanza come George Szell, storico direttore dell’Orchestra di Cleveland che con lui assurse a modello di precisione, rigore e purezza del suono e fu così tra le migliori al mondo. Lui, scrisse un critico, dava forma a ogni suono con la mano sinistra. Ai detrattori che trovavano le sue esecuzioni poco spettacolari e coinvolgenti, Szell rispose che esistono sfumature diverse di calore: “…dal calore casto di Mozart al calore sensuale di Čajkovskij, dalla passione nobile di Fidelio alla passione lasciva di Salomé.”. I Brunello del Podere Salicutti sono sensuali e appassionati, non lascivi; chiariscono che tra austerità e finezza il discrimine è virtuale. Kerin o’Keefe li trova Burgundy-style e la similitudine non è chimerica. Dopo un 2010 emozionante, il Piaggione 2011 replica su un registro diverso ma senza derogare alla cifra di eleganza e chiarezza espressiva. Compostezza, intensità e una straordinaria ampiezza di spettro sia all’olfatto, sia al gusto, sviluppata con ordine sovrano. Una traccia balsamica che precorre l’assaggio e lo percorre per intero. Rose, fiori blu e rossi, lampone, amarena, origano e spezie dolci, poi una gradazione discendente verso terra, cortecce, le note aspre e amare di bacche nere. Sorso di misura, presa avvolgente e leggera, freschezza saliente e incisiva. I sapori sono un insieme armonico, si svolgono in sincrono, senza successioni. Presenza misurata in apertura e via via più netta, tannini finissimi e di presenza accrescitiva, risaltano nel finale in una sensazione asciutta e quasi piccante. Un vino che serve a esemplificare la distinzione tra modo e moda, maniera e manierismo.

Il movimento organizzato.
L’atmosfera era quella dei cineclub – God bless’em – da retrospettive e maratone su Rohmer, Ivens, Cassavetes, Ėjzenštejn e Kim-Ki Duk; quelli dove i conciliaboli di cinevori attempati e di lunga militanza si impastano al vociare di parvenus con gli action movies nell’armadio e novelle velleità farinottiane; dove i vecchi tollerano le iperboli dei giovani finché gli sfondoni dei secondi travalicano la soglia del dolore dei primi, che a quel punto inarcano le barbe in un sorriso e con due soli mozziconi di parole surgelano l’idiozia dei pivellini. Al Podere San Giuseppe è andata più o meno così: tra capannelli e conversari di grisaglie e groupies, geronti e gagà, si compendiavano la composure di certi e la sicumera di certi altri. Sfondoni cocenti e callide rappresaglie meriterebbero un articolo a parte, ma per venire al punto: pare che sia d’obbligo al tracannatore sedicente esperto di conoscere i vini di Stella Viola di Campalto, vini di culto per brunellisti e non solo. Talvolta la velleità si manifesta in iattanza e la iattanza guida difilato a figure di merda coram populo durante la visita in cantina. Così è stato anche stavolta. Siparietti a parte, si è bevuto bene.

Rosso di Montalcino 2002. La dannata 2002 fu anche la prima in gestione biodinamica. Evoluto, suadente come un viale del tramonto ma radioso e aggraziato. Carne e fiori secchi, sangue, terrosità fine, spezie dolci, tabacco e nappa. Un attore all’ultimo atto dell’ultima tournée prima del ritiro. Al palato è quieto, sapido e morbido, molto fine e sostenuto da una freschezza di fondo, dolce come i tannini. Si svolge in lentezza e naturalezza regalando una moderata effusione calorica sul finale e con questa il rilancio degli aromi di frutta disidratata e carne; regalando soprattutto la sua magrezza, risolta in una traccia minerale ben nitida e fievoli aromi di contorno. Persistenza fine, fresca, pulita.

Brunello di Montalcino 2005 (magnum). Finezza, femminilità, fiori blu e rossi sull’abbrivio del primo allungo ma è mimesi (come i fiori di Queneau) di complessità che dispenserà poco dopo frutti rossi, cola, anguria, sciroppo di menta, muschio e china. La sua statura risulta più chiara al sorso: apprende, quasi punge con un tocco di bocca elegante e perentorio (ricorda Salicutti). Vino di presenza e autorevolezza, senza orpelli e per ciò stesso elegante. Oltre l’impressione tattile, grande sapidità, piccoli frutti rossi, spezie dolci e infusi d’erbe. Ci si ritorna più volte e quasi con voluttà perché ha un profumo magnifico.

Brunello di Montalcino 2008. Pieno, fitto nella trama, di un’ampiezza barocca che si svolge lentamente. Una parte eterea sorprendente, sottilissima e composita, con miele, whiskey di segale, sandalo e resine. Un carico di frutta passata e densa nella resa olfattiva, con puree di fragola, ciliegia e mirtillo rosso. Per un lato A sognante e rotondo, da Rick Wright, il lato B si presenta subito come altra storia e, si parva licet, spacca: vira tutto in croccantezza di bacche rosse freschissime, acidità fendente, liquescenza di sale Maldon, tattilità avvolgente e diffusa, arancia sanguinella, Pastiglie Leone al ribes e all’assenzio, ferro dolce e tannini aghiformi. Via le tastiere: basso, batteria, chitarra e flanger, feedback, whammy…

Brunello di Montalcino Riserva 2011. Ovviamente inedito, infatti siamo negli studios e il vinile è ancora vergine, ascoltiamo il master tape fumando canadese (fumando Du Maurier) a missaggio finito. Conoscete Summertime nella versione di Sidney Bechet? Vi chiedete che diavolo c’entra? Avete ragione: scusatemi e beccatevi la confortante sfilza di lampone mirtillo marasca miele amaro prugna tuberosa anguria. Inspirare, espirare. Elegante sapido agrumato in attacco poi sviluppo con spezie fini e frutto succulento croccante dolce. Energico e concentrato. Se permettete: tannino importato per gentile concessione di Fanny Sabre. Molto femminile, ma che cosa vorrà dire? Vuol dire Klimt, ritratto della sensualità, impiego dell’oro, pienezza di dettagli, volti e corpi animati e tesi, verticali e plastici, morbidi ma con tante angolosità e tutte giuste, come nel volto e nel corpo della seconda Giuditta.

Emanuele Giannone

(alias Eleutherius Grootjans). Romano con due quarti di marchigianità, uno siculo e uno toscano. Non laureato in Bacco, baccalaureato aziendalista. Bevo per dimenticare le matrici di portafoglio, i business plan, i cantieri navali, Susanna Tamaro, il gol di Turone, la ruota di Ann Noble e la legge morale dentro di me.

11 Commenti

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amedeo

circa 8 anni fa - Link

Tra una lingua per iniziati dal sapore vagamente huysmansiano e le note di assaggio rapide e compulsive di Gori, ci dovrà pur essere una sana via di mezzo. Faccio appello al professor Perullo. Per favore, ci indichi lei un'alternativa, una strada possibile, un sentiero, una mulattiera, qualcosa.

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Emanuele

circa 8 anni fa - Link

Amico, forse la risposta alberga in te e proprio tu sei la sintesi tra Homo Sapiens Burdensis e Homo Proto-Des Esseintes: orsù, provaci tu.

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il farmacista goloso

circa 8 anni fa - Link

Suvvia, Amedeo, Giannone è il Paolo Isotta di Intravino: non vorrà privarci della delizia di leggerlo, nevvero? Se poi la lettura la rende cefalalgico, prevenga la sindrome con un buon cachet, oppure eviti di frequentare questo prezioso e barocco autore. :)

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Daniele Longhi

circa 8 anni fa - Link

Voglio ordinare una bottiglia di brunello di questo produttore, mi suggeriresti un annata per favore? Grazie dell articolo,questa azienda agricola non la conoscevo.

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Emanuele

circa 8 anni fa - Link

Se intendi Podere Salicutti: se ne trovi ancora sceglierei la 2010. A Roma, fino a pochi mesi fa, si trovava anche qualche sparuta bottiglia di 2008. Riuscendo nel miracolo di trovarla, a me piacque moltissimo la 2004. Se hai modo, vai a visitare l'azienda. Se intendi Stella di Campalto: pur diverse, la 2005 e la 2006. O la 2008. Consiglierei una telefonata per chiedere quali annate hanno ancora in cantina. E, va da sé, una visita.

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amedeo

circa 8 anni fa - Link

Suvvia, farmacista goloso, si figuri se la lettura mi rende cefalalgico, semmai letargico.

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biotipo

circa 8 anni fa - Link

piaggione 2011 è stato il mio secondo assoluto a "benvenuto di febbraio"; 2005 e 2009 di stella, assaggiati lo scorso anno, sono un incanto, il 2011 purtroppo non l'ho provato ma il 2010 è uno dei migliori rossi italiani mai assaggiati dal sottoscritto

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Emanuele

circa 8 anni fa - Link

@biotipo: mi è difficile stilare classifiche (non sono capace di stilarne) ma Piaggione 2011 è stato anche per me una conferma. Azzardo: tra i migliori 5. E il 2010 era stato probabilmente, proprio insieme a quello di Podere S. Giuseppe, il migliore l'anno scorso. Stella di Campalto: grande 2010, grandi 2005 e 2008, ti consiglio di chiedere udienza per la Riserva 2011 perché promette evoluzioni entusiasmanti da seguire passo dopo passo. Mo' però te lo devo chiedere: il tuo primo assoluto all'ultimo Benvenuto?

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biotipo

circa 8 anni fa - Link

il vecchie vigne di riccardo campinoti

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Daniele Longhi

circa 8 anni fa - Link

Grazie mille ragas....ho chiesto ora tramite mail per stella di campalto 2007 e 2008 il 2010 dal loro sito non è disponibile purtroppo.

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suslov

circa 8 anni fa - Link

purissimo antani.

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